Affari&Finanza, 22 gennaio 2018
Pablo Isla, il re di Zara incoronato da Harvard: «È il chief executive più bravo del mondo»
È il ceo più bravo del mondo. Pablo Isla, al timone della spagnola Inditex, la holding che controlla Zara, è risultato il numero uno tra 898 amministratori delegati di imprese disseminate in 31 paesi, passati al setaccio da Harvard Business Review, della Harvard University. La rivista dei decision maker ha analizzato la storia di ciascun ceo, dal primo giorno di lavoro fino ad aprile 2017, valutando risultati aziendali, performance finanziarie, ritorno per gli azionisti, sulla base di sofisticati metodi che per esempio soppesano anche l’incidenza dell’inflazione su tutti gli altri risultati. Non solo. Se Harvard Business Review si fosse limitata a questi fattori, il numero uno sarebbe Jeff Bezos, amministratore delegato di Amazon, balzato in cima al ranking nel 2014 e da allora considerato il miglior performer finanziario. La classifica, sempre in evoluzione, da qualche tempo ha inglobato anche la valutazione delle performance ambientali, sociali e di governance, la cosiddetta Esg. Questi fattori che contano per il 20% hanno catapultato Pablo Isla in cima a tutti. Mentre hanno spinto Jeff Bezos verso il basso, al 71mo posto. Inditex è nel Dow Jones Sustainable Index dal 2001. E Isla ha sottoscritto l’impegno a diventare “toxic free”, seguendo la campagna Detox lanciata nel 2011 da Greenpeace, liberando vestiti e accessori da sostanze nocive e ponendosi come obiettivo una riduzione del 30% dei consumi energetici e del 50% del consumo di acqua entro il 2020, attestandosi nella classifica top di Greenpeace l’“avanguardia” (insieme a Benetton e H&M) ovvero le aziende che stanno guidando la rivoluzione del fashion pulito. Pablo Isla, classe 1964, una laurea in legge alla Complutense University di Madrid, tra i più antichi e prestigiosi atenei d’Europa, è a capo di Inditex dal 2005, poi nel 2011 Amancio Ortega, fondatore e proprietario di Inditex, l’uomo più ricco di Spagna, gli ha ceduto del tutto il comando dell’azienda di famiglia, nominandolo presidente. Un passaggio di mano scontato. Isla, infatti, è considerato il Delfino di Ortega. Ai tempi non erano mancati i soliti rumour. Qualche giornale aveva scritto che la scelta di Ortega avrebbe potuto creare qualche scontento in famiglia, nella figlia Marta, nata in seconde nozze, che già lavorava nel gruppo. Insinuazioni, messe a tacere dalla fredda logica degli affari. Da quando è arrivato, nel 2005, Isla ha portato una ventata di rinnovamento in un gruppo che rischiava di adagiarsi sugli allori. Ha gestito, per esempio, l’avanzata a passo di carica nei paesi asiatici, Cina in testa, il nuovo mercato a cui tutti guardano con grande attenzione. L’Asia è considerata strategica dal management di Inditex e i negozi Zara campeggiano nelle vie più esclusive dello shopping di Pechino e Shanghai. I negozi sono balzati da 2.692 a 7.300. A un certo punto si contava un’apertura ogni giorno. Sempre con lo sguardo avanti, sempre sulle nuove tendenze, con il boom dell’ex-commerce Isla ha saputo subito impartire una rapida correzione di rotta: Zara, l’ammiraglia di Inditex, numero uno del fast fashion davanti alla svedese H&M, ha ora ridimensionato e addirittura chiuso alcuni negozi, come quello di Chengdu, in Cina. Zara pone grande attenzione alle sue vetrine, devono essere sontuose, una strategia inedita nel fast fashion ma che si è rivelata una leva fondamentale. Ma in Cina è ormai considerato un brand affermato e può concedersi il lusso di aprire store anche meno grandi, ha una rete e-commerce molto solida che vuole consolidare e ha già stabilito alleanze con le principali piattaforme del Dragone, paese dove ormai le nuove generazioni comprano tutto online. Un tempo avvocato di Stato, con una rapida carriera ai vertici di grandi gruppi spagnoli, come Altadis, uno dei maggiori produttori di sigarette e sigari, e prima ancora al Banco Popular, Isla per due anni è stato anche Direttore Generale per il patrimonio di Stato presso il ministero dell’Economia, quando al governo c’era Aznar. Una carica istituzionale e non di governo. Sempre in cravatta, al contrario di Ortega che è molto schivo, tratta con il governo, tesse relazioni in Borsa, parla ai meeting aziendali. La vendita è l’ultimo anello della catena. Il gruppo, infatti, fa tutto da sé. Il loro è un modello di business diventato caso di studio in tutte le business school del mondo, si chiamano retailer integrati verticalmente, non comprano da fornitori ma fanno in casa, dalla progettazione al design alla produzione fino alla vendita. Questo consente di controllare tutta la filiera e di poter portare le nuove collezioni rapidamente in distribuzione, riducendo costi e tempi e accontentando subito le richieste dei clienti. Un modello nato in Italia, inventato dai Benetton. Poi ripreso dalla scandinava H&M e portato alla massima potenza da Inditex che ha superato tutti con un fatturato che supera i 20 miliardi di euro. Nel 2012 Michelle Obama ha fatto il suo ingresso in una cerimonia presidenziale indossando un paio di scarpe a tacco altissimo, firmate Zara, che costavano circa 50 dollari. Il segnale dei tempi che cambiano. Inditex ha esteso il modello a più marchi e più insegne e oggi in portafoglio ha otto format: oltre a Zara, il più famoso, Massimo Dutti con il quale ha toccato la fascia “Premium” la più bassa del lusso, Bershka, Pull&Bear, Stradivarius, Oysho, Uterqüe e infine Zara Home.Tanti brand per coprire ogni target, dalla figlia alla mamma alla zia un po’ âgé. Ci trovi di tutto, dall’accessorio frivolo alla cravatta in tinta unita. Insomma, un camaleonte, capace di trasformarsi continuamente nel tempo. «Adesso Isla è impegnato in una nuova fase di accelerazione con nuove strategie», racconta Armando Branchini, presidente di Intercorpora, tra i massimi esperti di moda e lusso. Spiega Branchini: «Una prima leva è il riequilibrio costi-ricavi ma non è certo una strategia difensiva, c’è anche un programma di ulteriore fase di espansione, e di ripensamento del prodotto: il consumatore “supesfaccettato” ha di fronte un’iperscelta anche nel mass market». Dal progetto allo scaffale, la moda corre sempre più veloce. È uno dei trend che caratterizzeranno il nuovo anno secondo il report “The State of fashion 2018” realizzato da McKinsey in collaborazione con la rivista Bof. La prima spinta a ridurre il tempo tra la progettazione e la distribuzione l’hanno data le insegne fast-fashion, Zara in testa. Con un ritmo medio di cinque settimane tra design e distribuzione, contro i 12 delle marche tradizionali, è ora superato dai big di Internet. Boohoo, il discount di Manchester specializzato nel vendere online vestiti che costano da 4 a 50 sterline, ha una media di due settimane. Ma il tempo sul web vola: oggi Bohoo promette centinaia di nuovi modelli ogni giorno. Isla non resta a guardare: «Sta lavorando per strutturare meglio l’offerta – racconta Branchini – diventando ancora più veloci, selezionando meglio le idee di stile per massimizzare i modelli che funzionano».