La Stampa, 24 gennaio 2018
Intervista ad Arianna Fontana: «Io portabandiera testarda. Una ribelle che si allena al gelo
L’Italia è pronta per i Giochi: 121 atleti. Era da Torino 2006 che non eravamo così numerosi e soprattutto così eclettici, 14 discipline rappresentate su 15 presenti. Questo azzurro diffuso «ci rende più quadra» come dice la portabandiera Arianna Fontana.
Si è allenata a portare il tricolore?
«Sono onorata di portarlo e ho sempre guardato con ammirazione chi mi ha preceduto in questo ruolo. Sarà l’occasione per ricordarci che siamo un grande Paese, spesso tendiamo a dimenticarlo».
Quanto si può essere squadra alle Olimpiadi? Si sente la capitana di tutti?
«Il concetto di team fa parte dello sport quindi sarebbe ridicolo pensare che la delegazione italiana non sia una vera, grande, unica squadra. Essere la capitana mi rende molto orgogliosa».
Nella sfilata ci saranno entrambe le Coree, insieme. Lei sarà testimone di un pezzo di storia.
«Queste Olimpiadi sono davvero l’occasione per ricominciare tutti a parlare. Dialogo, pace, valori in cui lo sport farà la sua parte».
Cosa ricorda dei Giochi d’esordio, a Torino?
«Avevo 15 anni e non capivo bene cosa stava succedendo. Volevo andare più veloce possibile e basta: sfrontatezza di gioventù».
Vancouver 2010, medaglia e anche protesta. Ha fatto saltare il ct. Come era quell’Arianna?
«In Canada volevo conquistare una medaglia individuale e ci sono riuscita. Sono una persona caparbia ma anche testarda: quando voglio una cosa faccio di tutto per ottenerla».
Sochi 2014. Mai avuto la percezione, anche vaga, che ci fosse qualcosa che non funzionava con i russi?
«Sinceramente no, penso sempre che tutti giochino a carte scoperte senza nascondere jolly nelle maniche».
Sui russi il Cio ha preso la decisione giusta?
«Non tutti sono colpevoli e penso che gli esseri umani possano avere delle debolezze. Ho visto il docufilm “Icaurus” sul doping e mi ha fatto molto riflettere. Lo hanno appena candidato agli Oscar, lo consiglio».
Dopo quei Giochi ha pensato di smettere. Quando ha cambiato idea?
«Nel 2014 ero arrivata a un punto in cui prima di continuare volevo riprendermi un po’ di vita e infatti mi sono sposata. Sento che c’è ancora tanto da dare in pista ma non so cosa farò a fine stagione: la decisione di smettere non è mai facile. In futuro comunque non mi dispiacerebbe allenare.».
Che parte ha suo marito, ex nazionale, nella preparazione? Avrebbe voluto per lui un ruolo nella squadra?
«Anthony mi aiuta sia in pista sia fuori. Quando siamo in America è lui che coordina e gestisce, qui in Italia ci concentriamo sul lavoro al di fuori del ghiaccio, perché non gli è permesso di lavorare con la squadra. Ma ha scritto il mio programma di palestra e creato un circuito di esercizi disegnati apposta per me».
Manca solo l’oro alla sua collezione di medaglie olimpiche. Scelga una risposta: A. È impossibile. B. È un sogno. C. Non ci voglio neanche pensare.
«Ci penso eccome. È tra i miei obiettivi: mi sento pronta. Sono in forma, soprattutto non vedo l’ora di gareggiare in Corea, lì amano alla follia questo sport e fa il tifo per tutti».
Quanto tempo passa negli Usa, patria d’origine di suo marito?
«Ci dividiamo tra Courmayeur, dove mi alleno, e Tallahassee, in Florida, dove sta la sua famiglia. Senza scordare la Valtellina dove vivono i miei genitori».
Come si vive nell’America di Trump ?
«Trump è stato eletto forse proprio perché il popolo americano aveva bisogno di una scossa...»
Lindsey Vonn ha detto: «Gareggio per gli Usa, non per Trump». Mai vissuto situazioni simili?
«Chi corre sotto il tricolore lo fa con orgoglio. Ho sempre solo pensato che la bandiera mi dia forza».
Portabandiera, ribelle, vincente. Si sente la Pellegrini degli sport invernali?
«Io e Federica siamo molto simili: tutte e due ci battiamo per quello di cui abbiamo bisogno, per poterci allenare nelle migliori condizioni possibili. Purtroppo evidentemente lo short track conta meno. Negli ultimi mesi a Courmayeur è calato letteralmente il gelo in pista e si è faticato molto proprio per le temperature basse».
Che intende per gelo?
«In un palazzo del ghiaccio la temperatura per lavorare al meglio sta sui 13-15 gradi, noi giriamo a 2 gradi».
Dopo Sochi si è sposata. Dopo PyeongChang?
«Chissà. Un paio d’anni fa mi sarei vista senza dubbio in America, oggi invece prevale il senso di appartenenza al mio Paese e ho in prospettiva un paio di bei progetti sportivi».