La Stampa, 24 gennaio 2018
Sant’Elena, l’ultimo viaggio del battello postale. Salpa oggi per la tratta finale la nave inglese che collega l’isola al Sudafrica
Tre fischi di sirena, qualche lacrima, poi la nave postale lascerà il molo E nel porto di Città del Capo e farà rotta per l’ultima volta verso Sant’Elena, l’isola dell’estrema lontananza e dell’esilio. «Il mio cuore va alla deriva verso Sud / alla mia casa laggiù nel mare» canterà Dave Mitchell dagli altoparlanti di bordo, intonando «My St Helena Island», il vero inno dell’isola. Quello ufficiale, ma molto meno romantico, è «God Save the Queen».
Da ottobre a Sant’Elena si può arrivare anche in aereo. Ogni sabato un volo della compagnia Airlink parte da Johannesburg e sei ore dopo atterra a Jamestown, capitale del minuscolo territorio britannico d’oltremare sperduto nell’Atlantico meridionale a duemila chilometri dalle più vicine coste africane, uno scoglio vulcanico di 122 chilometri quadrati dove vivono 4.500 abitanti chiamati the Saints, i Santi. E così la Royal Mail ha deciso di mandare in pensione la nave postale che faceva la spola fra il Sudafrica, Sant’Elena, Tristan da Cunha e Ascensione con oltre cento passeggeri, 55 marittimi, 70 container e 800 tonnellate di merci: si chiama St Helena, ed è una delle quattro navi rimaste a vantare il prefisso Rms, Royal Mail Ship, lo stesso del Titanic. Oggi comincia il suo viaggio numero 268. L’ultimo.
La chiamano «old girl», vecchia ragazza, ma non ha nemmeno trent’anni: è stata varata ad Aberdeen il 31 ottobre 1989 con la benedizione del principe Andrea. «È la nostra casa, la nostra protesi sicura verso il continente», si commuove Darrin, un fotografo di Sant’Elena che tiene un blog con la moglie Sharon (whatthesaintsdidnext.com). «Però è anche il simbolo del nostro isolamento». Un anno fa la nave ebbe un’avaria al motore di dritta e restò a Città del Capo per quattro mesi. I regali di Natale arrivarono a maggio.
L’ultimo comandante, il carismatico Adrian Fitzgerald, abituato ai megayacht e alle navi da crociera, conta di ancorarsi davanti all’isola il 29 gennaio e sbarcare con le lance i passeggeri, perché non c’è porto. Cinque giorni di traversata nel mese più caldo dell’anno. Andò molto peggio a Napoleone Bonaparte, che impiegò 67 giorni da Plymouth per arrivare nell’esilio finale di Sant’Elena il 15 ottobre 1815. Il vascello inglese Northumberland poteva fare fino a 9 nodi, quasi 17 chilometri l’ora, ma i venti soffiarono contrari.
Dopo la disfatta di Waterloo, l’imperatore prigioniero era in viaggio da 112 giorni di cui 93 in mare, prima sul Bellerophon da Rochefort a Plymouth, poi su questo veliero claustrofobico, in una cabina di 2,70 per 3,60 metri, illuminata e aerata da un portello di 70 centimetri di lato, con servizi igienici privati ai quali si accedeva attraverso un passaggio largo 45 centimetri e alto 140, non un problema per un uomo che a bordo fu misurato con grande scrupolo: era alto 169,20 centimetri. Però era «grasso, noi diremmo una botte... sembra rincagnato... fa domande banali con voce parecchio stridula e sgradevole», annotò deluso il capitano Charles Bayne Hodgson Ross, come riferisce Alberto Cavanna in un libro prezioso e documentatissimo, «L’ultimo viaggio dell’imperatore» (Mondadori). L’ammiraglio inglese George Cockburn, che accompagnò Bonaparte all’esilio senza mai onorarlo con il titolo imperiale, non si fidava di quell’ometto stempiato di 46 anni con la barba lunga e i vestiti dimessi che trascorreva ore in cabina fra mal di mare, cattivo umore, letargia, e quando si svegliava dettava al segretario le sue memorie e rivelava vecchi piani di invasione dell’Inghilterra e una proposta di pace «in termini molto moderati». Cockburn temeva l’ammutinamento dei suoi uomini, l’arrivo di un soccorso francese, il carisma residuo del generale sconfitto. E invece era proprio finita.
Napoleone in mare giocava a whist o a scacchi. Sulla Rms St Helena, invece, ci sono il bingo, il cricket sul ponte, il tè delle quattro al Sun Lounge, il quiz delle sei, e la sera si può andare al cinema, al cocktail party o al barbecue. Una cabina da quattro senza oblò e senza servizi costa 429 sterline, 487 euro a testa per alloggiare molto peggio di Napoleone, ma si può anche avere una singola superior esterna da 2.900 euro. Invece l’aereo costa 462 euro, ma è pieno fino al 17 febbraio: nell’aeroporto più caro e inutile del mondo riescono ad atterrare solo gli Embraer da un centinaio di posti, mentre i Boeing 737 non si azzardano a sfidare il wind shear, il micidiale colpo di coda del vento dell’Oceano.
«Se un giorno il Signore uscirà dalla porta del cielo / sono sicuro che passerà per Sant’Elena». I motori del postale borbotteranno sulle onde dell’Atlantico, ma più forte canterà Dave Mitchell sognando quel piccolo mondo di lava, capre e patate che attira poco più di mille turisti l’anno. Quando avvistò l’isola delle nebbie con il suo cannocchiale da campo, Napoleone restò di sasso. «Non è un bel posto. Avrei fatto meglio a restarmene in Egitto. Ora sarei imperatore di tutto l’Oriente». Morirà sei anni dopo nella modesta residenza di Longwood House, e i suoi resti torneranno a Parigi solo nel 1840.
«Goodbye Rms St Helena, è la fine di una splendida era», è il saluto di Arthur Bradshaw, pendolare di bordo. Da oggi il mondo è diventato un po’ più piccolo. Per fortuna c’è ancora l’isola di Ascensione: ci si arriva da Londra solo con un aereo della Raf e da Sant’Elena con un volo al mese. La nave cargo passa quattro volte l’anno.