La Stampa, 24 gennaio 2018
Bengasi, attentato contro gli 007 di Haftar
Un doppio attacco con autobomba decapita l’Intelligence del generale Khalifa Haftar nella sua roccaforte Bengasi e apre un nuovo capitolo della guerra civile libica. È il terzo, e il più devastante, segnale che la lotta fra i gruppi islamisti, che controllano gran parte della Tripolitania, e le forze dell’uomo forte della Cirenaica sta entrando di nuovo in una fase acuta. Alimentata anche dalla rivalità fra potenze regionali sunnite: da una parte Turchia e Qatar con le milizie islamiche, specie di Misurata, dall’altra Egitto ed Emirati con Haftar.
L’attacco di ieri sera ha colpito prima la moschea di Baiat al Ridwan, proprio mentre gli uomini si stavano radunando per la preghiera della sera. La moschea è frequentata dai miliziani della Brigata 210, una delle più forti formazioni alleate di Haftar a Bengasi, e parte del suo Esercito nazionale libico. Decine di uomini rimanevano straziati davanti all’ingresso, ma non era finita. Pochi minuti dopo una seconda autobomba faceva saltare in aria l’Ufficio Passaporti, a poca distanza, sempre nel quartiere centrale di Al-Salmani.
Era questo in realtà il colpo più micidiale, e mirato, perché nell’esplosione veniva ferito gravemente il generale Al-Mahdi al-Fallah, a capo dei servizi di controspionaggio dell’Esercito nazionale libico, mentre il capo dell’Unità investigativa, i servizi interni, Ahmed al-Oraibi, rimaneva ucciso. Gli occhi e le orecchie del generale a Bengasi e in tutta la Libia. Un primo bilancio parlava di oltre 20 morti e decine di feriti, ma si teme possano essere di più.
Bengasi era stata dichiarata “liberata” solo pochi mesi fa da Haftar, che in seguito ha lanciato un’offensiva per prendere il controllo della Mezzaluna del Petrolio, nella Libia centrale, poi parte del Fezzan, fino ad avvicinarsi con un alcune milizie alleate fino alla stessa Tripoli. Ma le sue ambizioni sono contrastate dalle milizie islamiste.
Il 15 gennaio la Brigata 33, una formazione islamista sciolta dallo stesso governo di Tripoli, ha attaccato la prigione accanto all’aeroporto Mitiga, per liberare alcuni suoi combattenti arrestati da una milizia alleata di Al-Serraj, quella del signore della guerra Abdul Rauf Kara. Negli scontri ci sono stati almeno 20 morti e oltre cento feriti, quattro aerei della compagna Afriqiya sono stati danneggiati, lo scalo è rimasto chiuso per quasi una settimana.
Ad alimentare il caos sono anche le rivalità regionali. Haftar accusa la Turchia di sostenere gli islamisti. A sostegno della sua tesi c’è anche il sequestro da parte della guardia costiera greca, una settimana fa, di una nave cargo, Andromeda, partita dal porto turco di Alessandretta e diretta, pare, a Misurata. A bordo 29 container carichi di esplosivo. L’equipaggio si è difeso dicendo che erano per “uso industriale” ma l’Intelligence di Haftar era convinta che servissero per preparare un’ondata di attentati. Che è puntualmente arrivata, alimentata per altre vie.