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 2018  gennaio 23 Martedì calendario

APPUNTI SUL NUOVO BLOG DI GRILLO PER GAZZETTA

ALESSANDRO TROCINO, CORRIERE DELLA SERA 22/1 –

Più che una conferenza stampa, è uno show, interrotto da applausi e cori, con i cronisti a far da spettatori. Lo spettacolo messo in scena da Luigi Di Maio, che rinvia sapientemente a sera l’annuncio dei vincitori delle parlamentarie (allontanando così le polemiche e la rabbia degli esclusi), trasforma il momento finale della tre giorni pescarese nella celebrazione dei 20 punti del programma di governo dei 5 Stelle e nella presentazione di alcuni volti nuovi della campagna, da Emilio Carelli al comandante Gregorio De Falco, da Gianluigi Paragone (in collegamento) a Elio Lannutti, fino a Vincenzo Zoccano, presidente del forum italiano disabilità. Sfilano anche le «tre lady di ferro», le parlamentari Paola Taverna, Giulia Grillo e Laura Castelli. Al fondatore Grillo, Di Maio riserva poche parole, relegandolo sostanzialmente al passato: «Adesso siamo in tanti, ma c’è stato un tempo in cui c’era solo una persona che era in grado di radunarci tutti».

Spiega Di Maio che «il 5 marzo potremmo svegliarci con un governo 5 Stelle». Lui ci crede: «Fanno bene ad avere paura. Triplicheremo i seggi». In arrivo, spiega, candidati di prestigio nei collegi uninominali «che faranno tremare i polsi a tutti». Nel frattempo diffonde i 20 punti che la sera delle elezioni saranno sottoposti ai partiti con «un annuncio pubblico». In cima al programma ci sono l’abolizione di 400 leggi e il reddito di cittadinanza. Poi «legge e ordine» con «10 mila nuove assunzioni nelle forze dell’ordine e due nuove carceri», stop al «business dell’immigrazione» e aiuti per le famiglie con figli. C’è il passo indietro sull’euro: il referendum per uscire è sparito dai radar. C’è, invece, la promessa di ridurre di 40 punti il debito pubblico e di fare investimenti sforando il tetto del 3% del deficit/Pil. La green economy è in coda, con il superamento della legge Fornero. Da notare la creazione di una banca pubblica d’investimenti ma anche gli agenti sotto copertura e le intercettazioni con virus negli smartphone. 

Le liste dei «promossi» arrivano quando tutti sono a casa. E ancora una volta i dati che arrivano sono incompleti, senza i voti e senza i nomi degli esclusi. Del resto la campagna per le parlamentarie ha regole strane, come spiega un candidato di colore, il nigerino adottato a Palermo Alì Listì Maman: «Non si potevano fare incontri, né comizi né cordate. Eravamo come spaventapasseri con le braccia aperte rivolte verso la provvidenza». Alla fine viene scelto come supplente in Sicilia 1. E meno male, perché negli uninominali, spiega, «lo scontro sarà così: i loro cannoni di Navarone contro le nostre cerbottane». Massimo Lazzari, che ha lavorato con Marcello Minenna e Carla Ruocco, ha puntato tutto sul potere dei social: «Ho fatto 700 mila visualizzazioni per un video con i cassonetti puliti sulla Cassia».

Tra le promosse c’è Iolanda Di Stasio, venticinquenne di Afragola, sveglia, combattiva e già (ingiustamente) bacchettata per essersi lasciata sfuggire qualche parola di troppo alla stampa. Passa anche, quarta, Valeria Marrocco, già consulente per la commissione finanze alla Camera e grande estimatrice di Danilo Toninelli («È bravissimo»). Al colloquio, fece storcere il naso ai 5 Stelle: «Da tecnica, espressi le mie riserve sulla possibile uscita dall’euro. Mi guardarono con due occhi così. Poi hanno cambiato idea». 

Sbaraglia tutti invece il comandante De Falco. Tutti citano la sua frase anti-Schettino, «vada a bordo, cazzo». Ma lui sorride e parla pochissimo. Il perché lo spiega a una carabiniera che gli dice: «Ma scusi, da militare lei non potrebbe fare politica». Vero, risponde lui: «Aspetto l’autorizzazione. Per ora, se ha notato, non ho detto nulla di politico».


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IL POST 22/1 –

Domenica sera sul blog di Beppe Grillo sono stati pubblicati i primi risultati delle “parlamentarie”, la votazione avvenuta sul blog di Grillo con cui gli iscritti al Movimento 5 Stelle hanno potuto indicare chi avrebbero voluto candidare in Parlamento. Mancano però ancora molte informazioni: non si conoscono i voti raccolti dai singoli candidati e non si conoscono ancora i nomi dei candidati ai collegi uninominali, che sono un terzo del totale e che saranno decisi personalmente da Di Maio e dal “garante”, cioè Beppe Grillo.

Le parlamentarie si sono svolte tra martedì e mercoledì scorso e sono state molto agitate. Il sistema utilizzato per il voto, la cosiddetta “piattaforma Rousseau”, ha subito numerosi rallentamenti, mentre il caricamento dei profili dei candidati ha avuto diversi problemi e numerosi attivisti e parlamentari si sono lamentati della situazione. Il sistema Rousseau ha sempre avuto problemi durante le votazioni, che peraltro non sono mai particolarmente trasparenti. L’ultima volta, durante la votazione per la scelta del capo politico del Movimento 5 Stelle, nel settembre 2017, votarono circa 37 mila persone. Nel 2016, in occasione della votazione sul nuovo statuto del Movimento, parteciparono oltre 90 mila persone.


La parte più controversa delle parlamentarie è stata però la selezione dei candidati. Tutti gli iscritti all’associazione Movimento 5 Stelle si potevano candidare, ma oltre a rispettare una serie di requisiti oggettivi (come non avere condanne e non essere iscritti ad altri partiti), dovevano superare anche la valutazione da parte del capo politico del Movimento, cioè di Luigi Di Maio. Di fatto un gruppo di persone, non si sa esattamente chi, ha passato in rassegna le oltre diecimila candidature arrivate al Movimento e ha deciso chi poteva partecipare alle elezioni, senza fornire particolari spiegazioni sulle sue scelte. Diversi esclusi dalla competizione hanno annunciato ricorsi in tribunale.

Su 135 attuali parlamentari, circa un centinaio si sono ricandidati e, tranne un piccolo numero, hanno tutti avuto l’occasione di partecipare alle parlamentarie. Come ha notato Gabriella Cerami, sullo Huffington Post, i parlamentari uscenti hanno avuto il loro incarico segnalato nella pagina delle votazioni in grassetto (con la dicitura “parlamentari” e non quella di “portavoce”, che il Movimento 5 Stelle ha spesso rivendicato ufficialmente). Di questi, i giornali calcolano che in almeno 80 dovrebbero riuscire a farsi rieleggere. Tra loro ci saranno probabilmente tutti i nomi più noti del Movimento: Luigi Di Maio, Roberto Fico e Carlo Sibilia, candidati capilista in Campania; Carla Ruocco e Nicola Morra, candidati capilista in Lazio e Calabria, e Danilo Toninelli, candidato capolista in Lombardia. Saranno candidati in buone posizioni anche Alvise Maniero, ex sindaco di Mira, in provincia di Venezia, e Stefano Patuanelli, ex consigliere comunale di Trieste, che hanno preferito non ricandidarsi ai loro precedenti incarichi per tentare l’elezione in Parlamento.

Tra chi si trova in posizioni che probabilmente non garantiscono l’elezione c’è il deputato Paolo Bernini, diventato famoso per le sue dichiarazioni sui “microchip sottopelle”. Tra gli altri probabilmente esclusi, il Corriere della Sera ricorda anche:

«Giorgio Sorial, che nel 2014 diede del boia a Giorgio Napolitano, all’epoca capo dello Stato, terzo in Lombardia. C’è il senatore No Tav Marco Scibona o la sua collega Elisa Bulgarellli, che si lamentò per i «cerchi magici» nel Movimento. L’elenco degli onorevoli a rischio comprende anche la nutiana Chiara Di Benedetto (il suo compagno Mauro Giulivi ha fatto causa ai Cinque Stelle per l’esclusione alle Regionali in Sicilia) o l’ex capogruppo a Palazzo Madama Andrea Cioffi. E poi ancora: fuori l’abruzzese Daniele Del Grosso e il pugliese Emanuele Scagliusi, in bilico il lombardo Cosimo Petraroli, il siciliano Francesco D’Uva o il campano Salvatore Micillo»

Repubblica aggiunge alla lista anche Andrea Colletti, Daniele Del Grosso e Stefano Buffagni, consigliere regionale uscente in Lombardia, definito dal quotidiano un “fedelissimo di Di Maio” e «finito nel suo collegio dopo la deputata Paola Carinelli (ora compagna del senatore riconfermato Vito Crimi). Se nel suo listino non passeranno in due, Buffagni potrebbe non farcela, nonostante l’impegno accanto al candidato premier». Uno dei problemi per i parlamentari uscenti uomini sono state le quote che impongono di alternare nei listini del proporzionale uomini e donne. Per questa ragione diversi parlamentari uscenti si sono trovati superati da attiviste donne, finendo in alcuni casi in posizioni a rischio di mancata rielezione.

Per il momento non sembra avere avuto un successo particolare l’iniziativa di Luigi Di Maio di sollecitare candidature provenienti dalla “società civile”, cioè persone note al pubblico per il loro impegno sociale ma esterne all’attivismo del Movimento 5 Stelle. Alle parlamentarie si sono presentati soltanto in tre: Gregorio De Falco, comandante della capitaneria di porto di Livorno durante il disastro della Costa Concordia, Elio Lannutti, presidente dell’associazione di tutela dei consumatori Adusbef, e il giornalista Gianluigi Paragone. Vincenzo Zoccano, presidente del forum delle associazioni dei disabili, ed Emilio Carelli, ex giornalista Mediaset e Sky, non hanno partecipato alle parlamentarie ma saranno candidati direttamente in un collegio uninominale.

Sulle candidature in questi collegi, al momento, non si conoscono altre informazioni. Il Movimento dovrà presentare la lista entro il prossimo fine settimana, quando scadranno i termini di presentazione. Nei collegi uninominali saranno scelti un terzo dei futuri parlamentari e il Movimento dovrà presentare una lista con 348 nomi, un terzo del totale dei candidati. A parte alcuni criteri oggettivi, come la residenza nel collegio di candidatura, il regolamento del Movimento prevede che le candidature ai collegi uninominali siano decise arbitrariamente da Luigi Di Maio, dopo aver consultato Beppe Grillo. Non sono previste elezioni o votazioni. Non è stato ancora annunciato quando saranno presentate le liste, né quando saranno rivelati i numeri dei votanti alle parlamentarie.


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M5S: DI MAIO, GRILLO CHE SGANCIA BLOG E’ SEGNO CHE STIAMO CRESCENDO = 

Roma, 23 gen. (Adnkronos) - «Il garante è un riconoscimento che si dà a chi ha fondato il M5s. Ma l’indirizzo politico lo danno gli eletti nelle istituzioni e il capo politico». Così a Porta a Porta il candidato premier del M5S Luigi Di Maio, parlando del nuovo ruolo di Beppe Grillo. «Il segnale di Beppe che sgancia il blog è un ulteriore segno che stiamo sempre più crescendo», ha aggiunto il vicepresidente della Camera. (Ant/Adnkronos) ISSN 2465 - 1222 23-GEN-18 18:29 NNNN

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M5s: Di Maio, noi avanti senza nessun parricidio = 

(AGI) - Roma, 23 gen. - «Il M5s sta facendo quello che ha sempre detto, ma adesso il Movimento cammina sempre di piu da chi è stato eletto nelle istituzioni, Grillo resta il garante e il padre nobile». Lo ha detto Luigi di Maio a Porta a porta, a proposito dello sganciamento del blog di Beppe Grillo. Lo ha fondato lui il Movimento «ma adesso va avanti senza nessun parricidio», ha aggiunto il candidato alla presidenza del consiglio dei ministri per M5s. (AGI) Mao 231823 GEN 18 NNNN

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Di Maio: no alleanze prima del voto ma appello a tutti dopo 

Roma, 23 gen. (askanews) - «Alleanze prima delle elezioni non ne facciamo». Lo ha ribadito Luigi Di Maio, candidato premier del Movimento 5 stelle, ospite di Porta a Porta su Raiuno. «Sarebbe probabilmente la strada più semplice, se chiamassi Berlusconi e gli dicessi alleiamoci smetterebbe di parlare di noi come di una setta. Salvini del resto ha costruito la sua segreteria dicendo che non si sarebbe alleato con Berlusconi e poi...». «Se gli italiani non ci dovessero dare i numeri per governare da soli - ha aggiunto - farò un appello alle forze politiche, a tutti i gruppi parlamentari e dirò che è finita l’epoca degli scambi di poltrone, diteci le vostre priorità, le nostre sono queste. Non parlo di governo del presidente, la squadra di governo la presenteremo, non ci sono preclusioni». "Ieri - ha raccontato l’esponente stellato - mi ha chiamato un nostro candidato uninominale del Sud e mi ha detto “Ho deciso stamattina di candidarmi con voi. Mi ha chiamato un segretario di un partito e mi ha chiesto di non candidarmi con voi, mi ha offerto un assessorato regionale”». «I candidati li conoscerete, ci sono nomi che faranno tremare i polsi ai partiti», ha detto ancora Di Maio. Bar 20180123T184503Z

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M5s: Di Maio, Casaleggio? Non prende decisioni politiche = 

(AGI) - Roma, 23 gen. - «Davide per me, oltre che essere un tecnico, è un grande amico. Non è persona che prende decisioni politiche, ma ci dà un supporto». Lo ha detto Luigi Di Maio a Porta a porta. «Siamo una forza politica che ha una struttura molto leggera». (AGI) Mao 231832 GEN 18 NNNN

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IL POST –

Da questa mattina il blog di Beppe Grillo, fin dall’inizio una delle principali pagine online – se non la principale – del Movimento 5 Stelle, è cambiato completamente. I vecchi post sono spariti. Il layout è stato completamente cambiato insieme ai colori, passati dal giallo e nero – i colori del partito – al rosso e bianco. Soprattutto sono spariti tutti i riferimenti al Movimento 5 Stelle e alla politica italiana, tranne due piccoli link che portano al nuovo portale del Movimento e al suo cosiddetto “sistema operativo”, Rousseau. In altre parole, con il suo nuovo blog Grillo sembra voler rimarcare il suo crescente disinteresse per la politica.

Nel post inaugurale, scritto in uno strano stile pieno di errori sintattici e grammaticali (sembra essere la trascrizione di un video di introduzione al blog), come se fosse stato dettato, Grillo non parla di politica o di elezioni e fa un unico riferimento al Movimento 5 Stelle. «Inizia adesso un’avventura straordinaria di liberazione, di mente, di fantasia, di utopie, di sogni, di visioni», ha scritto Grillo nelle prime righe del post. L’articolo sembra indicare l’intenzione di Grillo di ritornare alle origini del blog, quando si occupava di ambiente e tecnologie alternative attraverso reportage di viaggio, articoli e interviste con esperti o presunti tali.


«Io voglio sognare voglio avere qualcosa che mi spinga sempre in avanti. E con voi voglio farlo tornando al blog come era, nel senso che facciamo interviste, Mohamed Yonus, Stiglitz, Fo, c’erano premi nobel che ci scrivevano e adesso abbiamo un sacco di interviste, se vedete qui in basso ci sono le interviste di persone che lavorano nei robot, di qua ci sono persone nel hyper-loop, nell’alta velocità, smart city».

L’unico riferimento al Movimento in tutto l’articolo è un passaggio ambiguo, in cui Grillo si riferisce al suo partito con la lettera minuscola parlando della necessità di rialzarsi dopo aver commesso un errore: «Noi siamo un po’ come, noi quelli del movimento, io sono un rabdomante col cellulare in mano, con l’iphone in mano e guardo, guardo, guardo il mondo così e cerco fonti d’acqua, cerco delle fonti d’acqua, ma ogni tanto trovo una fogna. E allora, allora ho dei dubbi, mi fermo, sbaglio, ma lo sbaglio mi dà poi la forza di recuperare, è il coraggio lo sbaglio». Non ci sono altri articoli sul Movimento o la politica sul sito e, secondo quanto hanno scritto i giornali, la Casaleggio Associati non si occupa più della sua gestione. Inoltre, con l’arrivo del nuovo blog tutti i vecchi post pubblicati fino ad oggi sono scomparsi. Più di cinque anni di storia del Movimento, comprese prese di posizione, dichiarazioni dei leader, decisioni sulle espulsioni, sono così stati eliminati e al momento non risultano più accessibili. Non è chiaro se torneranno ad esserlo in futuro.

Da qualche anno ormai Grillo allude a un suo desiderio di abbandonare la politica e tornare a fare una vita da uomo di spettacolo. In diverse occasioni si è lamentato della fatica che gli costava il ruolo di capo politico del Movimento e ha parlato del sollievo che gli ha dato affidare il ruolo a Luigi Di Maio. Nel suo ultimo spettacolo, “Grillo contro Grillo”, mette costantemente in scena questa tensione ed è divertente quando imita i militanti che lo chiamano continuamente per avere consigli o per chiedergli di risolvere le loro dispute interne. Alla cerimonia con cui Di Maio è stato proclamato nuovo capo politico del Movimento, Grillo gli ha cantato una canzone in cui una delle strofe recitava: «E ora tutti i cazzi sono tuoi».

Da allora si è sempre più allontanato dal Movimento. Fino a questo momento non ha partecipato alla campagna elettorale e ha risposto con smentite poco convinte ai numerosi articoli di giornale che nelle ultime settimane hanno parlato di un “divorzio” tra lui e il Movimento. A rendere sempre più probabile una sua futura uscita dal Movimento ci sono anche le regole del nuovo statuto, presentate alla fine del 2017. Grillo è sempre stato il “Garante” del Movimento 5 Stelle, una figura non elettiva dotata sostanzialmente di poteri assoluti sul partito. Con il nuovo statuto i poteri del Garante non solo vengono meglio esplicitati – continuano a essere sostanzialmente assoluti – ma viene specificato che la carica è elettiva, un segnale per molti che in un prossimo futuro potrebbe non essere più Grillo a occuparla.


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LASTAMPA.IT –

Completamente rinnovato nella veste grafica, il blog di grillo ha sostituito al nero e al giallo del vecchio blog il rosso e il bianco del nuovo. La pagina è ricca di interviste e articoli e si apre con un lungo video di Grillo che spiega il perché di questa scelta. «Inizia adesso un’avventura straordinaria di visioni - annuncia il garante del M5S - Andrò in cerca di folli, di artisti, mi piace avere dei punti di vista, ma di idee, perché io sono stufo delle opinioni. È vero, ognuno ha diritto alla propria opinione, ma ha anche diritto ai fatti. Io voglio sognare, voglio avere qualcosa che mi spinga sempre in avanti. E con voi voglio farlo tornando al blog come era, nel senso che facciamo interviste». Grillo, poi, ricorda il blog degli esordi che ospitava interventi di Mohamed Yonus, Stiglitz, Fo. «Sto inseguendo questo futuro che ogni volta che arrivo lui non c’è, va avanti, va avanti. È l’utopia che ti porta ad andare avanti». 

Nel suo lungo e corposo video, Grillo non rinuncia comunque a parlare di politica. E se la prende con chi gli ha dato del pauperista, sostenendo che non sappia nemmeno il significato della parola: «Confondono la causa con l’effetto: il pauperismo sono sacche di povertà determinate da brutte economie, brutti governi. Questa gente è stata al governo, ha causato una sacca di povertà, quindi un depauperamento nel limitare di 10 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà e poi danno del depauperista a me che non sono altro che stupito da questa, da questa ignoranza cosmica, veramente». 

 

Il nuovo blog di Grillo è gestito dall’agenzia di web design Happy Grafic che ha sostituito la Casaleggio & Associati. Gli unici riferimenti al Movimento 5 Stelle sono due link sopra la testata in rosso della pagina: uno porta al Blog delle Stelle, il nuovo blog del movimento che continuerà a essere gestito dalla Casaleggio, e l’altro alla piattaforma Rousseau. 


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REPUBBLICA.IT –

Rivoluzione grafica per il blog di Beppe Grillo, che da oggi si presenta in una veste più paludata,  più da "centro studi". Insomma meno d’attacco e meno legata al Movimento. "Il M5s lo ha iniziato lui ma ora va avanti sulle sue gambe e sempre più forte questo senza parricidio e senza rinnegare il passato", commenta così la separazione il candidato premier M5s, Luigi Di Maio, intervenendo a Porta e Porta.  
Il cambiamento segna la divisione storica con la Casaleggio associati, che gestirà il sito internet dedicato al Movimento 5 Stelle. Il sito di riferimento del M5s sarà infatti da ora in poi "ilblogdelleStelle" che, al momento, mantiene la stessa impaginazione del vecchio blog di Grillo. Mentre la piattaforma Rousseau continuerà a svolgere le sue funzioni di "democrazia digitale" per tutti gli iscritti.
"Inizia adesso un’avventura straordinaria di liberazione, di mente, di fantasia, di utopie, di sogni, di visioni. Io andrò in cerca di folli, di artisti, mi piace avere dei punti di vista, ma di idee, perché io sono stufo delle opinioni, sono stufo delle opinioni - scrive Grillo nel post di presentazione- sì d’accordo ognuno ha diritto alla propria opinione, ma ha diritto ai fatti. Io voglio sognare voglio avere qualcosa che mi spinga sempre in avanti".
Il comico genovese sottolinea: "Ecco sto inseguendo un po’ questo futuro che ogni volta che arrivo lui non c’è, va avanti, va avanti. È l’utopia che ti porta ad andare avanti. E con voi voglio farlo tornando al blog come era - continua -  nel senso che facciamo interviste, Mohamed Yonus, Stiglitz, Fo, c’erano premi Nobel che ci scrivevano e adesso abbiamo un sacco di interviste, se vedete qui in basso ci sono le interviste di persone che lavorano nei robot, di qua ci sono persone nel hyper-loop, nell’alta velocità, smart city. Abbiamo sistemi di comunicazione meravigliosi che stanno arrivando, come il

Li-Fi. Quindi bisogna capire che bisogna essere sempre curiosi, il mio mantra è questo qui, la vita è essere curiosi", conclude.
Il nuovo blog sarà gestito da Happy Grafic, agenzia di web design che aperto nel 2004 ed ha sede a Roma.


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MANUELA PERRONE, ILSOLE24ORE.COM –

Beppe Grillo non sceglie le parole a caso. Nell’inaugurare il nuovo blog di cui torna proprietario e protagonista parla esplicitamente di «liberazione»: «Inizia adesso un’avventura straordinaria di liberazione, di mente, di fantasia, di utopie, di sogni, di visioni. Io andrò in cerca di folli, di artisti, mi piace avere dei punti di vista, ma di idee, perché io sono stufo delle opinioni». Una citazione, chissà se voluta, di Barack Obama. Ma anche uno schiaffo alle chiacchiere della politica in piena campagna elettorale.

Stop alla politica, largo alle “visioni” 

Nel blog tornano i temi cari al comico, dall’intelligenza collettiva alla robotica, e i punti di riferimento culturali, a partire da Dario Fo. Il riferimento alla sua creatura politica, cofondata nel 2009 con Gianroberto Casaleggio, è limitato a due link in alto: uno al nuovo Blog delle Stelle, che diventa il sito ufficiale del M5S, eredita la veste grafica del vecchio blog di Grillo ed è comparso anche nel simbolo depositato al Viminale, e l’altro alla piattaforma Rousseau.

Dalla Casaleggio alla Beppegrillo Srls 

La separazione dai canali di comunicazione web del Movimento è anche giuridica. La proprietà del sito di Grillo è della società Beppegrillo Srls, che ha sede a Genova, è stata istituita lo scorso 22 dicembre e risulta capogruppo del “Gruppo Grillo”. Capitale sociale: 10 euro. Amministratore unico: Grillo in persona. La gestione dei contenuti è affidata a Tiziano Pincelli, marito di un’ex assistente di Roberta Lombardi. La grafica è curata dall’agenzia romana Happy Grafic. La Casaleggio Associati non ha più alcun ruolo. Si avvera così una delle richieste di Grillo che negli ultimi tempi si erano fatte più pressanti: essere sgravato dalle responsabilità civili e penali collegate ai contenuti di natura politica pubblicati sul blog. Ultima grana, quella degli iscritti alla prima associazione del 2009: il curatore nominato dal tribunale ha appena dato il via libera al ricorso contro Grillo (accusato di conflitto d’interessi) e contro la terza associazione per l’uso del nome e del simbolo. Troppe le scatole cinesi alla base dell’organizzazione del Movimento, troppa confusione tra gli interventi a titolo personale e le note ufficiali diramate dal potente staff della comunicazione del Movimento, che ruota ancora una volta intorno a Casaleggio e a Milano.

Grillo torna Grillo, ma fino a che punto? 

In sintesi: mentre il M5S si trasforma in un partito, lungo l’asse Casaleggio-Di Maio, e punta a Palazzo Chigi, Grillo torna Grillo. Mattatore, comico, provocatore, istrione. Libero, sostiene. Ma fino a che punto, visto che resta il garante del Movimento? Nel post di esordio sul blog scrive: «Noi siamo un po’ come, noi quelli del Movimento, io sono un rabdomante col cellulare in mano, con l’iphone in mano e guardo, guardo, guardo il mondo così e cerco fonti d’acqua, cerco delle fonti d’acqua, ma ogni tanto trovo una fogna. E allora, allora ho dei dubbi, mi fermo, sbaglio, ma lo sbaglio mi dà poi la forza di recuperare, è il coraggio lo sbaglio». Su quali siano le fogne che ha incontrato finora è lecito interrogarsi. Fuori e dentro il M5S.


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ANDREA VIGANI, RIVISTASTUDIO.COM –

Alla vigilia delle elezioni politiche del 2013, quando Beppe Grillo salì sul palco di piazza san Giovanni a Roma nell’ultima tappa dello Tsunami Tour, non c’erano dubbi: lui era lo tsunami. Il Movimento era una sua creatura, nato dal suo blog, e lui era la guida politica incontrastata. O almeno così sembrava. Quella stessa sera si manifestò sul palco anche Gianroberto Casaleggio, fino a quel momento una figura anodina e sfuggente – spin doctor? webmaster? – ma nel dubbio subito elevato dai media a “guru” e “ideologo”. «Oltre alla fantasia al potere», disse Casaleggio, «abbiamo bisogno della trasparenza, dell’onesta e della competenza. Con queste cose cambieremo l’ Italia», elaborando in tre concetti la sua offerta politica. Lo slogan vendette molto bene, il Movimento era ancora una scatola chiusa, non se ne conoscevano le dinamiche interne e prometteva di rovesciare un sistema politico.

Una legislatura è stata sufficiente per spogliare il mito della democrazia diretta: i portavoce intercambiabili, le votazioni on-line, le contraddizioni nella linea politica, la protezione dell’ortodossia affidata all’uso disinvolto delle espulsioni, come in un reality, mentre Casaleggio e la sua società si sono rivelati meno rumorosi ma più incisivi di Beppe Grillo: uno vale uno, forse, ma gli impulsi partono da Milano, non da Genova. Una politica parlamentare fondata sulla massima confusione con il minimo sforzo.

La democrazia on-line e l’armamentario futuribile di certe visioni si sono spesso concretizzate in dinamiche più vicine a un’assemblea di istituto che a una distopia, e nei cinque anni di opposizione il Movimento è trasfigurato in un partito vero e proprio, con leadership, gerarchie interne, conflitti. Un partito anomalo, perfettamente inserito nell’ondata populista europea, con buona pace di chi lo considerava una “costola della sinistra”. In questo percorso il Movimento ha eletto con un mini-plebiscito un nuovo capo politico, Luigi Di Maio, che dalla rivoluzione è passato a certificare la propria affidabilità presso investitori, istituzioni internazionali, cancellerie. Nonostante le amministrazioni di Roma e Torino.

Le dinamiche pentastellate sono state dissezionate nel libro di Jacopo Iacoboni, L’Esperimento – Inchiesta sul Movimento 5 Stelle, pubblicato da Laterza, che ne ricostruisce la storia, la discutibile democrazia interna, il rapporto simbiotico tra on-line e off-line, tra la gestione del sito di Beppe Grillo e la linea politica, ma soprattutto il ruolo di Casaleggio e della sua società nella vita del partito, anche dopo la morte del fondatore. Una leadership che si è trasmessa di padre in figlio per via ereditaria, come si fa nelle aziende di famiglia. In vista delle prossime elezioni il Movimento di lotta ha provato a vestirsi da governo: si è dato un nuovo Statuto, un Codice Etico e una molto novecentesca suddivisione tra guida politica e guida carismatica, tra potere temporale del blog e potere spirituale del comico. Ma più che un divide et impera, sembra la velleità nostalgica di un album solista.

Anticipato in un videomessaggio – che solo con una certa accondiscendenza può essere chiamato “discorso di fine anno” – Beppe Grillo aveva annunciato la nascita di un blog separato dal Movimento. E così è stato. Oggi è nato il nuovo blog di Grillo, che è un dichiarato ritorno alle origini, senza alcun riferimento al Movimento 5 Stelle. «Un’avventura straordinaria di liberazione, di mente, di fantasia, di utopie, di sogni, di visioni», scrive nel post di apertura. Non un viaggio, ma un’allucinazione, in cui non sembra esserci più spazio per Roma, le parlamentarie, la politica. Un po’ di visione, un po’ di futuro. Una separazione digitale che riguarda il cuore ideologico e l’attivismo del Movimento, perché chi governa il blog e la piattaforma Rousseau può dettare la linea politica, ha il database degli iscritti, i banner pubblicitari.

Dall’esterno è difficile capire se sia un divorzio rabbioso o una rivoluzione pacifica, ma la mutazione dei 5 Stelle si era già manifestata con la designazione di un nuovo leader, lasciando a Grillo la figura sfocata del garante. La furia distruttiva del capo comico sostituita dalla burocrazia minima e ordinaria dei completi di Di Maio. Il Movimento senza Beppe Grillo è già un’entità diversa, ma l’elezione di Di Maio è un atto che ne libera l’identità: la presenza di Grillo disorientava, perché ogni dichiarazione correva lungo la linea di demarcazione tra comico e politico, un’assurdità per una democrazia compiuta. La designazione di un nuovo capo chiarisce finalmente le ambiguità di una politica in costante fibrillazione tra la proposta e la provocazione, dietro cui nascondere gli istinti peggiori. Di Maio vuole essere un politico, non un comico, almeno di questo siamo certi. Ma la mutazione, per ora, non ha spostato il Movimento dalle suggestioni di un populismo vagamente autoritario e antieuropeista, per cui la competenza tecnica non è un valore, ma lo sono l’onestà e lo spontaneismo.

In Fire and Fury, il libro in cui Michael Wolff racconta da insider l’elezione e i primi mesi della presidenza Trump, si descrive lo sconcerto di alcuni membri della sua campagna elettorale per una vittoria che nessuno si aspettava. Se per le elezioni politiche del 2013 può restare il dubbio che qualcuno nel Movimento – e buona parte del corpo elettorale- abbia sospirato di sollievo per la mancanza di una maggioranza per governare, ritagliandosi un comodo ruolo di opposizione in cui consolidarsi e crescere, queste elezioni sono diverse: il Movimento corre apertamente per essere il primo partito italiano. L’Esperimento però– come spiega Iacoboni nel suo libro – ha una dinamica nascosta che si riflette all’esterno, influenzando l’azione politica e di marketing parlamentare. L’allontanamento di Grillo dal Movimento 5 Stelle si è già consumato: non detta più la linea politica, almeno non a questo giro. Lo tsunami è degradato a rally per andare al governo, e la devastazione ridotta a un controsterzo sulla Vesuviana.

Fa effetto leggere il nuovo Grillo scrivere «sono stufo delle opinioni, sono stufo delle opinioni», lui che ha sostenuto un mondo in cui uno vale uno, e tutti possono parlare di astrofisica e vaccini. Le conseguenze della separazione della diarchia grillina si vedranno nel lungo periodo. Per ora il Movimento continuerà a identificarsi nell’immagine deformante di Grillo: leader carismatico, comico spirituale, sintesi dell’infallibilità. Ma è un pianeta che si sta allontanando, entrato in un’orbita che conduce verso il futuro, verso i dilemmi etici della robotica, verso «una tartaruga che se gli fai vedere il più bel figo del mondo, la tartaruga vedrà due piedi enormi e due buchi di narici in cima», qualunque cosa voglia dire.

Dopo le elezioni, senza i vaffanculo, gli tsunami, i tutti a casa, resterà Luigi Di Maio, probabilmente circondato da tanti piccoli e ordinati tribuni. Niente visione, niente tartarughe. Un futuro prossimo che non è più quello di Beppe Grillo.


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AFFARITALIANI.IT –

Il nuovo blog di Beppe Grillo è stato inaugurato oggi con un lungo editoriale dello stesso comico genovese che scrive, ci dice, da Barcellona dove si trova per una fiera sulle smart city, le città intelligenti del futuro, quelle servo - comandate dalla ipertecnologia, quelle fantascientifiche fatte da alti torre cromate di acciaio e vetro che si stagliano sull’oceano, riflettendo una struggente luce arancione del tramonto.

Grillo ci racconta come ora abbia sentito la profonda necessità di tornare alle origini del suo blog, quello che 10 anni fa era ricco di interviste ed informazioni e che poi negli anni si è inesorabilmente trasformato in un contenitore politico del suo Movimento.

Cambiamento totale: abbandonati i vecchi colori giallo - nero che facevano tanto anarco - capitalismo, esordisce un inedito e prussianissimo bianco - nero che la sua giusta dose di inquietudine la regala tutta.

Da tempo la notizia girava ed ora si è trasformata in realtà.

Ma come è cambiato, a parte la resa cromatica, il sito stesso?

Quello che salta subito in evidenza, anche ad una analisi superficiale, è che i riferimenti politici sono molto scarsi con solo piccoli rimandi al sito del Movimento e alla piattaforma Rousseau mentre ci sono molti articoli di tecnologia e quello che colpisce, per chi se ne intende, è che sono di una certa raffinatezza e qualità, due termini che in genere abbiamo imparato a considerare assolutamente non abbinabili al Movimento Cinque Stelle.

Ma vediamo il dettaglio della prima pagina di oggi.

Un bell’articolo di Geoff Mulgan, Università di Harvard, sull’impegnativo concetto di intelligenza collettiva che avrebbe fatto la gioia di Casaleggio padre.; un altro articolo di Robert Muggah, Università di Oxford, sulla fragilità delle città, mentre di qualche giorno fa un articolo dello stesso Grillo sulla capacità dei computer di apprendere, e cioè sulla Intelligenza Artificiale.

Vi sono poi collegamenti a siti di start - up.

Questo per la parte, diciamo, puramente tecnologica.

Ma, naturalmente, l’interesse per il cambiamento del blog è politico e non può non far pensare che abbia a che fare molto da vicino con le prossime elezioni che segneranno un punto assolutamente dirimente per il suo Movimento che si gioca tutto il suo futuro.

Leggendo l’editoriale contenuto nel sito ci si può fare l’idea di un Grillo che voglia tornare alle origini, un po’ come fece San Francesco con il cristianesimo: nel suo scritto c’è molto del Casaleggio compagno di utopie e di una visione ultratecnologica, perfino transumanista ed apocalittica, della società e degli uomini.

Una tecnologia potente ed onnicomprensiva che domina menti e corpi e proietta verso un futuro globale e integrato. Un sogno per alcuni, ma indubbiamente un incubo per altri.

Ma sarà vera (ri)conversione?

Grillo più volte ha detto di voler fare salti a destra, a sinistra e, soprattutto, di lato nel senso di allontanarsi dalla sua creatura politica per tornare allo spettacolo, alla curiosità e all’utopia. Riporto un passo significativo dell’editoriale denso, in pieno stile Grillo, di mistero e allusioni in una prospettiva catartica e tecnologicamente gnostica:

“Noi siamo un po’ come, noi quelli del movimento, io sono un rabdomante col cellulare in mano, con l’iphone in mano e guardo, guardo, guardo il mondo così e cerco fonti d’acqua, cerco delle fonti d’acqua, ma ogni tanto trovo una fogna. E allora, allora ho dei dubbi, mi fermo, sbaglio, ma lo sbaglio mi dà poi la forza di recuperare, è il coraggio lo sbaglio».

Diciamo che il percorso è coerente con chi l’ha preceduto.

Un modello di studio è sicuramente quello di Italia dei Valori, di Antonio Di Pietro, che del Movimento di Grillo è stato senza dubbio l’antesignano e l’apripista, vuoi per le tematiche trattate, la giustizia, l’ambiente, i diritti dei consumatori, vuoi per lo stile comunicativo e non per niente Casaleggio gestì inizialmente anche il sito web di Di Pietro.

Questo aspetto di contiguità e continuità politica è stato quasi sempre trascurato ed è invece fondamentale per fare qualche previsione sul futuro in una sorta di webbologia sociologica.

Se fosse vero, ed enfatizzo il “se”, Grillo veramente volesse fare un passo indietro dal suo Movimento le conseguenze per il Movimento stesso sarebbero chiaramente disastrose perché Beppe Grillo “è” il Movimento Cinque Stelle e personaggi come Luigi Di Maio, Virginia Raggi, Chiara Appendino si affloscerebbero all’istante come delle marionette a cui fossero tagliati i fili.

Personaggi così dirompenti come Grillo non possono esistere se non in questa dimensione subordinata ad elementi di un mondo virtuale in cui vi sono solo comparse e di cui lui è il vero ed unico demiurgo, il deus, l’imperatore, il Signore della Matrice.

Per affermare questo basta solo osservare la fine che ha fatto Italia dei Valori senza il suo demiurgo e cioè Antonio Di Pietro; ora è solo l’ombra di sé stessa che rimedia imbarazzanti percentuali telefoniche.

E questo perché Di Pietro era Italia dei Valori come Beppe Grillo è il Movimento Cinque Stelle.

Tuttavia mi permetto di dubitare che Grillo voglia farlo questo salto perché la logica gli è contro.

Perché mai dovrebbe infatti abbandonare il progetto di una intera esistenza ora che è a pochi metri dalla vetta? Quale oscuro spirito di sconfitta, quale demone meridiano, potrebbe consigliarli una mossa così perniciosa?

Perché dovrebbe buttare a mare i tanti rospi ingoiati nel nobile e generoso, ma sfiancante impegno quotidiano di mettere toppe agli strafalcioni linguistici di Di Maio o alle solenni cavolate della Raggi?

Anni di lavorio instancabile, con parolacce represse, bestemmie accennate, sudore e rabbia da rattoppatore di soggetti lontani anni luce dalla sua pur diabolica genialità, misto di guittitudine, fascismo allo stato puro e populista, comunismo cristiano e tanta rabbia.

Piuttosto, si può immaginare che lo scopo recondito (e neppure mica tanto) sia quello di incantare di nuovo gli elettori prendendo fintamente le distanze solo per comparire ancora di più con la sua finta assenza.

Insomma, una specie di morettiano “mi si nota di più se vengo o non vengo (alla festa)?”.

Grillo ha le rughe dei portuali genovesi scavati sulla sua faccia e sono rughe di chi ne ha passate tante nel mondo e sa come è difficile il percorso per raggiungere qualcosa di importante che lo elevi dall’unica cosa di cui un artista ha un terrore sacro: la sua mediocrità.

Proprio per questo la mossa di Grillo, suggellata e cromaticamente modellata nella ceralacca del web, sa di furbizia mirata verso l’obiettivo finale che è la conquista dell’Italia attraverso la sapiente coniugazione junghiana degli opposti e la riproposizione di koan buddisti di cui solo lui conosce la soluzione, non certo il Di Maio o la Raggi di turno.

Il fine non è un salvifico e rigenerante ritorno alle origini come questa mossa ci vuol far credere; il fine è sempre quello che lui ha perseguito in anni di umiliazioni politiche, a partire dalla cacciata dal Pd. Il fine, cari lettori, è solo e sempre il Potere, quello con la P maiuscola.


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SEBASTIANO MESSINA, LA REPUBBLICA 23/1 –




Non era mai successo, in Italia, che migliaia di persone offrissero simultaneamente il proprio nome per una candidatura al Parlamento, e che gli iscritti al partito fossero chiamati a scegliere con una votazione online. Ha ragione dunque il Movimento 5 Stelle a dire che è successo qualcosa di nuovo, con le “ parlamentarie” che si sono appena concluse. E sarebbe pure un bell’esempio di democrazia diretta, se non fosse per quelle opacità e quei misteri che purtroppo impediscono all’esperimento dei grillini di essere additato come modello di trasparenza.

La prima opacità riguarda il modo in cui le candidature — si parla di 15 mila richieste per 945 posti, una proporzione che ricorda quelle dei concorsi pubblici per l’assunzione alle Poste — sono state scremate da Di Maio, da Grillo e da Casaleggio. Sul blog del Movimento si possono leggere numerosi messaggi di iscritti che domandano conto e ragione della loro esclusione, ma non una sola risposta. Del resto, il regolamento approvato in gran fretta dal terzetto magico che ha le chiavi del Movimento prevede come motivo di esclusione automatica « comportamenti che possano pregiudicare l’immagine o l’azione politica del Movimento 5 Stelle», una formula così elastica che bastava un like a un post con richiesta di chiarimenti per essere depennati.

La scrematura dev’essere stata così minuziosa, così capillare, che sono passati 12 giorni dal giorno in cui sono arrivate le richieste di candidatura al giorno delle “parlamentarie”. E naturalmente in quei 12 giorni nessuno, né gli aspiranti onorevoli — pardon: “cittadini” — né gli iscritti, sapeva chi sarebbe stato candidabile. Poi, improvvisamente, il 16 gennaio si è alzato il sipario e i militanti — solo loro, usando una password — hanno potuto leggere nomi e profili di chi voleva diventare deputato o senatore. Nomi che per quasi tutti erano sconosciuti, mai sentiti prima, accanto a quelli dei portavoce pentastellati: e non c’è bisogno di fare pensieri maliziosi per capire come mai i parlamentari uscenti siano risultati quasi ovunque in cima alle liste. Se un comune cittadino non ha la possibilità di far vedere se è in grado oppure no di fare quel delicatissimo lavoro che si fa a Montecitorio e a Palazzo Madama, non ha alcuna chance di battere chi ha avuto cinque anni per farsi conoscere. Neanche un nuovo Barack Obama italiano — nell’improbabile ipotesi che avesse voluto candidarsi con Di Maio — avrebbe potuto farsi conoscere in 48 ore e battere personaggi del calibro, si fa per dire, di Paola Taverna o di Carlo Sibilia. Questa è stata la seconda opacità.

Poi c’è il mistero dei tempi e dei numeri. Le votazioni online si sono concluse una settimana fa, mercoledì 17 gennaio, ma fino alla sera di domenica 21 i nomi dei vincitori sono stati gelosamente custoditi dal trio Grillo- Di Maio- Casaleggio, più due notai per dare il sigillo della legalità a questo black- out di informazione. Perché tenere segreti per quattro giorni i risultati di una consultazione democratica, quelle cifre che di sicuro i computer della Casaleggio & C. hanno sfornato in un nanosecondo? Il 5 aprile scorso, quando gli iscritti al Movimento furono chiamati a votare il programma sulla politica estera, lo stesso Grillo annunciò nel giro di pochi minuti che il « ripudio della guerra » aveva ottenuto 6814 preferenze mentre «la risoluzione dei conflitti in Medio Oriente» si era fermata a 4219 (ci fosse stata nell’elenco “la pace nel mondo”, avrebbe stravinto).

Stavolta, invece, non sappiamo quanti sono stati i votanti. Non sappiamo quanti voti ha preso ciascun candidato. Non sappiamo chi ha controllato, e come, che quelle cifre corrispondano effettivamente ai voti espressi dai clic degli iscritti. Prima o poi qualcosa sapremo, certo. Di Maio ha promesso che ce lo dirà. Con calma. Senza fretta. La trasparenza può attendere.


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ANNALISA CUZZOCREA, LA REPUBBLICA 22/1 –


Niente referendum sull’euro. Alla fine, dopo tanti avanti e indietro, la consultazione sulla moneta unica non compare nel programma del Movimento targato Luigi Di Maio. Quello battezzato ieri a Pescara, in una convention all’americana, con le slide gialle con sotto il loghino “ Di Maio presidente”. Quello con in prima fila Davide Casaleggio, il suo braccio destro Pietro Dettori, i ras della comunicazione Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, l’astro in ascesa Enrica Sabatini (organizzatrice e volto della scuola politica di Pescara), il deputato Alfonso Bonafede e il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo. Senza Roberto Fico, a Napoli per motivi familiari. Senza Alessandro Di Battista, in televisione a farsi intervistare da Barbara D’Urso. Senza Beppe Grillo, per il quale il candidato premier chiama l’applauso con una frase che segna un distacco: « C’è stato un tempo in cui una sola persona poteva riunire tutta questa gente ed era Beppe Grillo, che sarà sempre una parte fondamentale del Movimento » . Applausi, ma si volta pagina. Di Maio presenta tre donne uscenti, necessarie alla narrazione visto che i volti esterni portati qui sono tutti uomini: riconfermate le deputate Giulia Grillo, Laura Castelli e la senatrice Paola Taverna. Poi largo al capitano Gregorio De Falco, che parla di coerenza, fa un passo avanti per distanziarsi dagli altri e a un attivista che lo accoglie: « Benvenuto a bordo, cazzo » , ribatte: « Quanto tempo ci avevi pensato? » . Al presidente del Forum per le invalidità Vincenzo Zoccano, non vedente. Al giornalista Emilio Carelli che dice: « Il Movimento è l’unica speranza » e a Elio Lannutti, ex Italia dei valori, che chiama l’ovazione attaccando i vecchi partiti e ricordando il «visionario mite» Gianroberto Casaleggio. Mentre il giornalista ex Lega Gianluigi Paragone collegato al telefono dice: « Vorrei cantarle e suonarle a chi ha cancellato i diritti». Doveva presentare le liste complete del proporzionale e le coperture per il programma, il candidato premier, ma non fa nulla di tutto questo. Il format in stile convention americana non lo consente, e le questioni noiose vengono affidate alla cura del blog: meglio rivelare gli esclusi quando a Pescara non ci sarà più nessuno.

Nel programma ci sono novità, come la quota 100 per le pensioni, il superamento della legge Fornero, 2 miliardi di euro per la riforma dei centri per l’impiego che si accompagna al reddito di cittadinanza, la pensione mai sotto i 780 euro, riduzioni dell’aliquota Irpef per il ceto medio, no tax area fino a 10mila euro, riduzione del cuneo fiscale e abbattimento dell’Irap, abolizione di studi di settore e spesometro perché « un cittadino è onesto fino a prova contraria » , 10mila nuove assunzioni tra le forze di polizia e due nuove carceri. E ancora, per il contrasto all’immigrazione, «10mila nuove assunzioni nelle commissioni territoriali che decidono chi ha diritto all’asilo » in modo da mandare indietro chi non è un rifugiato, 5 miliardi alla cooperazione internazionale, 17 miliardi per aiutare le famiglie con figli sul modello francese (rimborsi per asili nido, iva ridotta sui prodotti per la prima infanzia). «Se serve assumiamo», dice quando parla della giustizia da velocizzare. Promette di abolire Buona scuola e precariato. C’è perfino un sito, Italia. it, attraverso cui il nostro Paese dovrebbe mettere in vendita i suoi prodotti con l’e-commerce ( uno dei pallini di Davide Casaleggio). Il nuovo slogan è “Partecipa, Scegli, Cambia”. La sfida alle altre forze politiche è lanciata: « Ci spieghino perché dicono no a questi 20 punti, il 4 marzo glielo chiederemo».


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ILARIO LOMBARDO, LA STAMPA 23/1 –

L’ultima speranza degli esclusi del proporzionale sono i collegi uninominali. Per il M5S è la sfida più complicata di questa legge elettorale. Servono portatori di consensi, nomi di esterni che contano sul territorio, per compensare lo scarso radicamento del M5S. Luigi Di Maio ha annullato tutti gli impegni per restare a Roma e definire le liste con il suo staff. Promette: «Ci saranno molte sorprese, molti nomi noti, persone che vengono dalle forze armate, dal mondo dell’università, dal mondo dell’imprenditoria, attori impegnati su temi sociali». Il casting continua e in queste ore i grillini stanno provando a convincere i più riluttanti. Ma riempire oltre trecento caselle, tra Camera e Senato, non è così semplice. Anche perché, secondo Di Maio, «molti hanno paura di associare la loro faccia a noi per non subire il trattamento riservato a Orietta Berti». A dire di no ai 5 Stelle, come lei stessa ha svelato, è stata l’ex conduttrice di Report, Milena Gabanelli.

Per questo il leader è già pronto a sfruttare i volti del M5S e chi è rimasto fuori dalle parlamentarie, sia tra gli eletti uscenti sia tra i candidati meno noti. Finiranno a giocarsela nell’uninominale della loro regione, un modo per recuperare anche chi è rimasto tra le riserve a causa di una legge che prevede l’alternanza di genere. Le new entry, infatti, saranno soprattutto donne, anche se in molti casi hanno preso meno dei candidati maschi finiti terzi nel listino bloccato e con poche chance di passare se il collegio non è favorevole al M5S. Si capirà di più quando finalmente usciranno le preferenze, tenute ancora sotto chiave assieme ai nomi di tutti i candidati. Francesco D’Uva, terzo in Sicilia, dovrebbe correre nel suo collegio uninominale. Lo stesso potrebbe fare in Abruzzo Daniele Del Grosso, in panchina dopo il voto online.
A pesare sulle scelte è stata sicuramente la fama conquistata dai parlamentari, soprattutto i big, tra i capilista anche grazie a presenze televisive insistite. La tv ha aiutato anche le star prestate al M5S, Elio Lannutti, Gianluigi Paragone, il capitano Gregorio De Falco. Un’accusa che dal M5S respingono, facendo notare che ai primi posti ci sono deputati e senatori che non erano ospiti fissi in tv ma sempre presenti sui territori, premiati dagli attivisti per aver lavorato meglio di altri. È anche vero però che i parlamentari hanno avuto più possibilità di organizzare eventi e di coltivare consenso. Cosa che non è stata permessa a tutti. Se ne lamenta Alì Listì Maman, candidato a Palermo senza riuscire a sfondare: «C’era il divieto di campagna elettorale. Non abbiamo potuto fare comizi, incontri pubblici, costruire cordate».
Ora toccherà a Di Maio decidere a chi dare un’altra opportunità. Due saranno i criteri: competenza e notorietà, soprattutto a livello locale. Il modello è Salvatore Caiata, il presidente del Potenza calcio, che, come  La Stampa aveva anticipato, ha detto sì ai grillini. Logico che, avendo questa libertà di scelta, Di Maio punterà su personalità più affini al suo stile e alle sue idee, non chi si è fatto conoscere per frasi imbarazzanti o posizioni politiche più radicali. Difficile che ritroveremo in Parlamento il No Tav Marco Scibona, quarto nel listino e con un piede ormai fuori. Ma anche il complottista dei microchip Paolo Bernini o Chiara Di Benedetto, vicina al gruppo dei palermitani travolti dallo scandalo firme false. Potrebbero invece rispuntare all’uninominale i nomi di tre sconfitti alle primarie online: Pino Masciari, l’imprenditore che ha combattuto la ’ndrangheta, Franco Fracassi, il giornalista autore assieme a Lannutti di un libro-denuncia su Mps e Daniele Raco,il comico di Zelig che si batte contro il gioco d’azzardo. Un attore impegnato sui temi sociali, proprio come ha detto Di Maio.


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EMNUALE BUZZI, CORRIERE DELLA SERA 23/1 –

Visioni opposte. L’euro? «Non è più il momento di uscire», ha detto più volte Luigi Di Maio. «Il sistema dell’euro costringe e stritola gli Stati nazionali come una camicia di forza», ribatte invece Francesco Forciniti, 32 anni, Dettaglio: Forciniti, avvocato, è capolista in Calabria alla Camera e ha altissime possibilità di sedere fianco a fianco a Di Maio a Montecitorio.«Non è una moneta, o meglio, non è solo una moneta — argomenta il candidato pentastellato —, ma piuttosto uno strumento di controllo attraverso cui una ristretta élite sta imponendo ai popoli europei un modello sociale». I nuovi volti che si accingono a sbarcare a Camera e Senato sembrano a volte stridere, andare in contrasto con le idee del capo politico del Movimento, che — per esempio — a novembre aveva dichiarato: «L’Italia sta diventando il campo profughi d’Europa». Ora Di Maio si trova in lista nel vicentino anche Gedorem Andreatta, un aspirante deputato finito al centro delle polemiche meno di un anno fa, quando montava la polemica sulle Ong, per un motivo preciso: a lui è riconducibile l’hotel Adele di Vicenza, centro di accoglienza dei profughi. La struttura sarebbe di proprietà per il 5% dello stesso Andreatta e, per il restante 95%, della San Francesco Srl, la sua società di costruzioni e ristrutturazioni. «Stanno costruendo un castello in aria», tagliò corto Andreatta all’epoca. Davanti a lui in lista c’è Sara Cunial. Per lei ci sarà una terza svolta di vita: prima manager in una multinazionale, poi imprenditrice nell’allevamento (o «contadina» come si era definita al Giornale di Vicenza ), ora deputata. «Pensavo sempre più spesso che non avevo studiato chimica per inquinare il mondo e le resine che producevamo non erano certo a basso impatto ambientale», aveva spiegato all’epoca della sua svolta a favore del mondo dell’allevamento e dell’agricoltura. 

Volti nuovi, storie molto diverse. Che a volte sui social lambiscono solo la politica. È il caso dell’abruzzese Valentina Corneli, che su Facebook si fa chiamare von Trier e lascia ampio spazio al cinema e alle citazioni di Marilyn Monroe. Ma a prevalere è il mondo della militanza, come per Margherita Del Sesto. Molti i portaborse o i comunicatori M5S, come Sabrina De Carlo in Friuli Venezia Giulia o Luca Carabetta in Piemonte. C’é chi, invece, si è già mostrato critico verso i colleghi. «Consiglio a tutti un bagno d’umiltà, specialmente ad alcuni portavoce che non hanno veramente contezza della realtà che li circonda», scriveva dopo le ultime Amministrative il siciliano Antonio Lombardo. E spiegando che al Movimento interessa il bene comune ha anche aggiunto: «Se Pizzarotti è un bravo sindaco e viene riconfermato io sono felice per Parma». Quasi eresia per molti militanti. Base che viene presa di mira anche dal candidato «europeo» Ferruccio Cittadini: «Ma quelli che spammano i loro video su tutte le pagine? Non è che non avendo mai fatto attivismo non avete altra scelta per far sapere che esistete?».

Nel dibattito politico è entrato anche l’avvocato sardo Ettore Licheri (capolista), precisamente nella querelle tra vaccinisti e antivaccinisti. Di Maio ha dichiarato di voler cambiare la legge Lorenzin. Licheri a maggio sosteneva l’opportunità di «nominare una commissione scientifica o interpellare un organismo terzo internazionale» e concludeva un lungo e articolata post «festeggiando la salute ritrovata dei nostri figli. Big Pharma e Bayern ( sic )lo stanno già facendo». Intanto per il Movimento arriva una piccola doccia fredda: Milena Gabanelli ha annunciato di aver rifiutato la candidatura a Bologna.


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PAOLO MIELI, CORRIERE DELLA SERA 22/1 –

Su che tipo di combinazione governativa potremo contare dopo le elezioni? Di chiaro, al momento, ci si può appoggiare solo a tre prese d’atto, tutte e tre in negativo.

Prima: presumibilmente nessun partito o coalizione conquisterà la maggioranza assoluta dei voti, né quella dei seggi in entrambe le Camere. Seconda: se anche ci riuscisse il centrodestra (lo schieramento che ha più chance), si tratterebbe di una maggioranza esigua, attraversata per di più da una gigantesca faglia politica e senza un plausibile candidato di Forza Italia (il partito che i sondaggi danno in vantaggio) per la guida dell’esecutivo. Terza: anche in conseguenza di quel che si è detto, neanche uno dei leader indicati sulle schede otterrà l’incarico di formare il governo (e se lo dovesse ricevere, sarà un mandato esplorativo, «di cortesia», talché poi difficilmente riuscirà nell’impresa). 

Quindi? L’ipotesi più probabile è che, dopo uno stallo, pur di non tornare immediatamente al voto, si cerchi una soluzione e forse la si trovi in un «governo del Presidente». Ma il governo che dovesse nascere da un incontro tra parte del centrodestra, centrosinistra e truppe di transfughi da altri partiti disporrebbe di una maggioranza piuttosto ridotta e, in una situazione del genere, ogni riferimento all’unità nazionale sarebbe alquanto improprio.

L e Grandi Coalizioni (ancorché travestite da governi appunto «del Presidente», «tecnici» o comunque la fantasia ci suggerisca di chiamarli) si realizzano di norma mettendo assieme i due partiti che alle elezioni hanno ottenuto il maggior numero di voti, a cui eventualmente se ne possono aggiungere un terzo e un quarto. Questo per consentire a tali formazioni — in genere quelle che rappresentano la destra e la sinistra — di disporre quanto meno del sessanta per cento dei parlamentari, così da mettere la coalizione stessa al riparo dalle insidie dei voti a scrutinio segreto. Voti su leggi spesso in contrasto con gli impegni assunti nel corso della campagna elettorale dall’uno o l’altro contraente del patto dal momento che i programmi dei governi imperniati su partiti fino a poco tempo prima antagonisti, sono, per loro natura, basati su compromessi e rinunce simmetriche. Ciò che, ad ogni evidenza, può offrire il pretesto per accuse di «tradimento delle promesse elettorali», provenienti oltre che dall’esterno, anche dalla parte più intransigente dei partiti coalizzati. E tali accuse sono destinate a moltiplicarsi anche perché coprono un fisiologico (e assai meno nobile) istinto a rendere instabile la coalizione così da provocare un ininterrotto ricambio ai posti di governo e di comando. Ecco perché le coalizioni devono essere «grandi»: perché quando invece i parlamentari sono in numero tale da consentire il varo del governo con una manciata di voti, cresce a dismisura il potere di ricatto delle minoranze inquiete. 

Se poi, come si prospetta, ad essere escluso dalla Grande Coalizione è il partito di maggioranza relativa — caso, nella storia, piuttosto infrequente — i governi rischiano ancor più, dal momento che ai problemi di cui si è detto si aggiunge quello della sofferenza indotta da crisi di legittimazione. Cosa, quest’ultima, da tenere bene a mente: potrebbe darsi, infatti, che alle elezioni successive venga premiato proprio il partito escluso dalla Grande Coalizione se si sarà dedicato nei tempi dell’intera legislatura ad un’ininterrotta campagna elettorale imperniata sulla recriminazione per il proprio mancato inserimento nel governo (a dispetto dell’esser stato il partito più votato dagli elettori). È vero, stando alla Costituzione, questa circostanza non dovrebbe essere neanche presa in considerazione: per guidare i governi il presidente della Repubblica è tenuto solo a scegliere chi è in grado di coalizzare una maggioranza. Nient’altro. Ma non dovremmo dimenticare che abbiamo alle spalle venticinque anni in cui gli italiani hanno introiettato il mito che sia il corpo elettorale a decidere chi debba andare a Palazzo Chigi (il che, tra l’altro, è, almeno in parte, accaduto). Di conseguenza, dovremmo considerare rischioso provocare un brusco risveglio da un sogno durato un quarto di secolo, per dar vita oltretutto ad un governo dalla maggioranza risicata. 

Ma c’è anche uno scenario su cui si sta ragionando. Lo schema differente potrebbe essere che il capo dello Stato avvii le consultazioni, constati l’impossibilità di mettere in piedi una coalizione che abbia i numeri per governare e prospetti, conseguentemente, nuove elezioni. Con l’aggiunta, però, di una «piccola avvertenza»: prima di avviare il Paese ad una seconda consultazione, anche ad evitare di ritrovarci — dopo lo scrutinio dei voti — al punto in cui si era, si imporrebbe di rimetter mano alla legge elettorale. E al partito di maggioranza relativa verrebbe conferito un ruolo di primo piano nel processo per la definizione delle nuove norme in vista del ritorno alle urne. Contemporaneamente, per dare alle Camere il tempo di riuscire in questa non semplice impresa, il Parlamento dovrebbe votare la fiducia ad un gabinetto di «limitatissime ambizioni». Nella fattispecie — se i risultati del 4 marzo fossero più o meno quelli annunciati dai sondaggi — un parlamentare Cinquestelle avrebbe la regia della Commissione per la riforma elettorale e uno appartenente al secondo partito per numero di voti, il Partito democratico, otterrebbe la guida del governo. Con ogni probabilità verrebbe richiamato a Palazzo Chigi l’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni (mai uscito di scena), che darebbe vita, però, ad un nuovo gabinetto nel quale entrerebbero anche esponenti della destra e forse del partito di Pietro Grasso. In questo modo il movimento di Luigi Di Maio entrerebbe in possesso delle chiavi per l’accensione e lo spegnimento del motore dell’intera legislatura; in cambio dovrebbe garantire l’astensione o quantomeno un’opposizione morbida al governo e si configurerebbe così una coalizione, questa sì davvero grande, in grado di coinvolgere, in senso lato, anche il partito di Beppe Grillo. Nel caso poi, tutt’altro che improbabile, i Cinquestelle controproponessero un’inversione di ruoli (a loro il governo, agli altri la guida della commissione per rivedere la legge elettorale) si potrebbe optare per un gabinetto politicamente più scolorito a partire dalla figura del presidente del Consiglio.

C’è però una pecca. Essendo questo — o un altro dello stesso genere — lo scenario più plausibile, si può comprendere perché, quando manca poco più di un mese dal giorno del voto, nessun partito (sottolineiamo: nessuno) si senta in dovere di sottoporre ai propri elettori un progetto per avviare l’Italia sulla via dell’abbattimento del debito. Già è consuetudine che in campagna elettorale venga il tempo dei demagoghi, inclini esclusivamente agli annunci di revisione del fiscal compact, di detassazione e di spesa. Per di più con le coalizioni prospettate, l’unico punto su cui potrà esserci accordo unanime — si può esserne certi — è l’abdicazione, in materia di riduzione del debito, ad ogni principio di responsabilità. Grande, piccolo? Anche minimo.