Libero, 22 gennaio 2018
«Vivo di sconfitte e continue resurrezioni». Le confessioni del grande schermidore Aldo Montano
Forte, efficace. Di successo. Aldo Montano, una vita in pedana, si porta appresso l’immagine dello sportivo blasonato, capace di coniugare l’impegno agonistico con le lusinghe delle cronache rosa. Eppure, nasconde un passato travagliato. «Il punto d’approccio allo sport è stato molto difficoltoso per me», spiega Montano, che ha deciso di raccontare la sua carriera in Campi di Battaglia, su Alpha (canale 59 del dtt) dalle 21.05 di questa sera. «Vengo da una dinastia di schermidori, è stato il tempo a permettermi di trovare la mia dimensione», racconta l’atleta, cui il programma ha permesso di «rivivere la finale di sciabola che mi ha portato a vincere l’oro ad Atene». Era il 2004, e Montano ha abbracciato suo padre, Mario Aldo, con una consapevolezza inedita. «Il mio successo era il suo, la sua gioia la mia. Papà non è mai riuscito a vincere l’oro individuale. Quel gesto ha racchiuso tutto», continua Montano, che in Campi di Battaglia spiega come un motto gli abbia cambiato la vita. «Non mollare mai» è un mantra che mi porto dietro sin da quando sono bambino. Grazie all’incapacità di arrendermi, sono riuscito a fare della mia storia un continuum di resurrezioni».
In che senso?
«Ho perso tanto e vinto molto. Ho subìto grandi infortuni e ottime riprese. In generale, sono caduto spesso e mi sono rialzato una volta di più. Si è sempre risolto tutto per il meglio: la vittoria è sempre tornata».
Quanto, nel corso della sua carriera, le sono servite le sconfitte?
«La sconfitta fa parte della vita, sportiva e non. Io sono uno che ha vinto tanto e perso tanto. Questo mi ha permesso di sviluppare un carattere molto umano».
E il carattere l’ha aiutata?
«Ha fatto sì che tanti altri sportivi mi apprezzassero, che si rivedessero nell’esempio mio. Di un uomo arrivato alle stelle e poi caduto».
Lei viene da una famiglia di schermidori pluridecorati. Quanto è stato difficile doversi confrontare con un tale modello?
«Molto. Morivo di passione per questo sport. Mio nonno, Aldo Montano, è stato molto bravo a farmi innamorare della scherma, ma la pressione era immensa. Con un nonno olimpionico, arrivato a Berlino nel ’36 e a Londra nel ’48, con un padre, atleta alle Olimpiadi nel ’72, nel ’76 e ’80, con i cugini campioni, pensavo: “Il più scemo, qui, ha vinto un Mondiale”».
La sua famiglia ha mai spinto perché seguisse la “tradizione”?
«Assolutamente no».
Lei ha sempre fatto anche televisione, La Fattoria nel 2006, le
ospitate. Perché?
«A differenza del calcio, gli altri sport olimpici hanno bisogno di essere “integrati”. Io sono stato fra i primi a scegliere di incrementare quello che, invece, nel calcio viene naturalmente: la popolarità».
È compatibile la vita di uomo di spettacolo con il rigore richiesto allo sportivo?
«In palestra, in pedana, io ci sto 4-5 ore al giorno: è giusto dare il massimo in gara. Ma, fuori, c’è la vita: la famiglia, gli hobby, lo spettacolo».