Libero, 22 gennaio 2018
In volo con i cuori da trapiantare per salvare migliaia di persone
La chiamata arriva sempre nel cuore della notte. Lo squillo del telefono squarcia il silenzio con lei che ogni volta si alza di soprassalto. Sa già cosa è accaduto: una vita si è spezzata e da questo momento consentirà a un’altra di ricominciare. Lei è Elisa Lodi, perfusionista di 31 anni che, con gli altri componenti dell’équipe medica, si occupa di chirurgia dei trapianti. Nelle notti ai mille all’ora, corre negli ospedali d’Italia a rimettere insieme le vite quando altre sono capitolate via. L’errore di un automobilista, la stretta al cuore di un infarto, o la malattia che ruba l’ultimo respiro ai polmoni di una madre, di un padre o di un ragazzino. È in quel momento che Elisa e gli altri specialisti ridanno speranza. Un kit di ultima tecnologia, trac-ciabilità e contenitori gelidi: lì dentro trasportano una chance di vita e poi un’altra e altre ancora.
«Può sembrare difficile, ma basta soffermarsi a pensare per vedere (e capire) che la fine di un’esistenza può rappresentare la salvezza di una vita quando questa sembra ormai perduta. Sì, la vita dietro una morte. È qualcosa di straordinario quanto immenso», dice Elisa Lodi «purché si faccia in fretta e si arrivi in tempo. E a patto che quel cuore, quel fegato o quel rene che sono la speranza, vengano ossigenati, irrorati, insomma salvati... o, come usiamo dire noi, a patto che “l’organo sia e resti bello”».
Li chiamano “Angeli della vita” oppure “Angeli dei trapianti”, quelli come lei. E di loro non si conoscono i nomi e i cognomi, né si vedono mai i volti; perché lavorano nel buio, nel
silenzio e dietro una mascherina di colore verde o arancione a seconda della sala operatoria.
Elisa e gli altri attraversano l’Italia intera, avanti e indietro. In macchina oppure alzandosi in volo la notte. Ogni volta la destinazione cambia: Roma, Pisa, Padova, Cagliari. O anche Atene e Malta. Più lontano non si può. Perché loro devono agire in fretta. Sei ore di tempo, al massimo, sono niente anche se stai a tremila metri da terra. Una task force di 110 persone: medici, piloti, autisti, tecnici e valigette. Un piccolo esercito sempre pronto a combattere per la vita. Più di mille operazioni all’anno. Ospedali volanti, che si alzano 365 notti all’anno, sette volte su sette. È una missione per conto dell’Uomo.
NIENTE ESITAZIONI
La flotta è quella di Avionord, fondata dall’imprenditore Eugenio Cremascoli. Milanese di nascita: 30 dicembre 1941. Un gigante di uomo nonostante la corporatura esile e l’incedere soltanto all’apparenza felpato. Aveva cominciato il padre, già nel 1954, con una sua società a fornire agli ospedali e alle cardiochirurgie, tecnologie di altissimo livello. La passione per gli aerei di Eugenio, ci ha messo il resto e da allora a oggi con Avionord, non si sono visti rivali. «Corriamo contro il tempo. Non possiamo permetterci esitazioni. La macchina deve funzionare. E anche il più piccolo intralcio può rivelarsi fatale. Buttare un organo significherebbe buttare una vita, e noi non possiamo permetterlo» racconta Elisa, «certo abbiamo “corsie” preferenziali anche nei cieli, rotte che solo noi possiamo attraversare ma sono soltanto un aiuto. Di fatto siamo noi quelli da cui dipende il successo dell’operazione». C’è più senso del dovere che orgoglio, in ognuno di questi “angeli”.
E ogni viaggio è una storia da raccontare, «nessuno di noi conosce il nome di chi riceverà l’organo. Sappiamo che c’è il dramma di una vita (quella sì che ha nome e cognome) che si è spezzata di solito troppo presto. E sappiamo che c’è la speranza di chi aspetta di ricominciare. E a ogni alba guarda i medici con gli stessi occhi che chiedono prima ancora di vedere», spalanca un sorriso Elisa. Il suo compito è fare in modo che un cuore non smetta mai di battere, un rene di filtrare, un fegato di depurare e produrre bile. Così che un altro essere umano possa tornare a correre, a bere, a mangiare. Lavora per rimettere in sesto l’organo o gli organi di un donatore, scommettendo che diventino pronti per essere trapiantati. «Ho poche ore per attivare i macchinari e salvare un rene, un fegato, un cuore e fare in modo che un’altra vita possa continuare». Così quando arriva la telefonata (a scanso di rischio la suoneria è il fischio di un treno) Elisa raccoglie le sue cose in fretta, indossa quel che trova e in men che non si dica è in strada oppure in volo. Da Milano corre verso uno dei tanti ospedali, dove il chirurgo l’aspetta per eseguire, da lì a poche ore, il trapianto. Operazione che non sarebbe realizzabile senza “l’Angelo” che rende l’organo o gli organi di nuovo funzionanti.
Fuori dal finestrino è sempre buio pesto. «Vero», racconta Elisa «è raro trovare traffico, ma il tempo a disposizione è sempre pochissimo e bisogna evitare che l’organo rischi l’ischemia. Buttarlo significherebbe rimandare il tempo di un’altra vita, compromettere la possibilità di una salvezza. Inaccettabile».
Non guarda il contachilometri, le strade sono semideserte, mentre il piede destro preme con forza sull’acceleratore tra le curve e le gallerie dell’autostrada. Da tre anni, ossia da quando Avionord ha importato in Italia i macchinari in grado di rigenerare gli organi più malandati (attraverso l’alimentazione continua con farmaci, sangue e ossigeno), il lavoro di Elisa viene richiesto da sempre più ospedali. «Sono stata in Olanda, all’Università di Groningen che, per prima, ha sperimentato con successo questi speciali apparecchi. Ora tutto viene usato anche in Spagna e in altri paesi in Europa, oltre che nel nostro Paese ovviamente», aggiunge Elisa.
«La grande novità di queste tecniche è che consentono di portare a termine i trapianti, un tempo impraticabili, di organi cosiddetti “marginali”, ovvero che non rispettano tutti i requisiti di selezione, perché appartenenti a donatori diabetici, obesi, troppo avanti con l’età, o afflitti da qualche altra patologia che ne ha compromesso la funzionalità. Oltre a rendere possibile il trapianto di polmoni, fegato e reni, la perfusione dimezza i rischi di rigetto e accorcia i tempi di ripresa post operatori per il ricevente gli organi».
Più di cinquanta trapianti l’anno sono stati resi possibili grazie ai cosiddetti “organ assist”. Oggi quasi tutti i centri trapianti in Italia hanno adottato i macchinari di Avionord. Mentre negli ospedali più piccoli, è Elisa stessa a caricarli in auto di notte. «Ci vogliono circa cinque ore per fare tutto». Può capitare che, nonostante venga fatto il possibile, l’organo non possa essere trapiantato? «Succede purtroppo, e ogni volta è uno sconforto che non va più via».
«Della persona deceduta noi sappiamo tutto. Ogni volta è come fosse la prima, non ci fai mai l’abitudine. Mi è capitato di dover perfondere l’organo di una persona che conoscevo. Ma in quel momento è sempre più forte il pensiero della vita che salverai, della persona che potrà ricominciare a sorridere. Anche se non sappiamo mai a chi andrà l’organo, quel che conta è che grazie a queste nuove tecniche si possano fare operazioni un tempo impensabili. Miracoli, li chiamerei così». E ancora: «Pochi mesi fa abbiamo salvato un piccolino di cinque mesi. Gli serviva un fegato. Un intervento complicato e delicatissimo perché l’organo oltre che rigenerato, doveva essere ridimensionato. In poco tempo, mentre io lo perfondevo, il chirurgo è riuscito a ridimensionarlo al tempo stesso. Prima non sarebbe stato possibile e il bambino non ce l’avrebbe fatta. Ecco l’esempio del miracolo».
IL MIRACOLO
Gli apparecchi olandesi adottati da Avionord sono diventati così richiesti e gli interventi talmente numerosi che, da circa un anno, accanto a Elisa lavora Marcella Gambino, che con lei ha imparato a utilizzare i macchinari dei miracoli. Entrambe donne: sangue freddo, “pilotesse” alla guida, le uniche in Italia capaci di salvare gli organi più difficili da recuperare. «Possiamo usare la nostra auto solo per i viaggi fino a Pisa. Da lì in giù diventa troppo complicato raggiungere gli ospedali in poche ore. E allora si vola». Avionord ha la base di partenza nell’aeroporto milanese di Linate. «Possiamo arrivare a Roma», spiega Marco Insogna, direttore tecnico di Avionord, «in circa 35 minuti».
Ed è nell’hangar sanitario di Eugenio Cremascoli che le due perfusioniste, di giorno, lavorano a fianco di professionisti del volo, che anziché perfondere, accompagnano l’équipe di chirurghi a espiantare l’organo per poi trasportarlo alla massima velocità nell’ospedale dove si avvererà il miracolo.