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 2018  gennaio 22 Lunedì calendario

Antonio Martino: «Per svegliare il Paese serve l’aliquota unica»

Antonio Martino, 75 anni, economista allievo di Milton Friedman, già preside di Economia alla Luiss, ex ministro degli Esteri e della Difesa nei governi Berlusconi, tifa da casa per qualsiasi riforma possa scioccare il Belpaese addormentato. 
Professore, cosa pensa dei numeri sparati dai vari candidati in campagna elettorale? 
«Purtroppo i numeri sono la parte più difficile della propaganda politica, perché richiedono esperti e ricerche. Lasciamoli fare tanto si vota presto». 
La riforma chepropone Berlusconi è la flat tax al 23% per tutti. Costo ipotizzato circa 100 miliardi. È possibile? 
«Non lo ricorda nessuno, ma era nel nostro programma del 1994. Il gettito di tutte le imposte dirette sul pil è basso e anche un’aliquota minore del 23% lo farebbe aumentare. Chi è ricco oggi
non paga le tasse, ma il tributarista che lo aiuta e eludere. Quando Tremonti aprì lo studio raccontò di aver fatto erodere 600 miliardi di tasse ai clienti. Non è l’evasione che penalizza lo Stato, quanto l’elusione. La flat tax dunque non è solo possibile, ma desiderabile. È lo choc di cui l’Italia ha bisogno». 
Lei ci crede ancora a Berlusconi? 
«Ci ho sempre creduto con beneficio di inventario. Lui è fenomenale nel raccontare balle convincendosene. Non è disonesto, è onesto, solo un po’ fantasioso. Poi alcune promesse le ha realizzate, come il milione di posti di lavoro del 1994». 
Se vince il centrodestra chi potrebbe fare il premier? 
«Possiamo parlarne male da qui a Pasqua, ma nel centrodestra uno come Berlusconi non c’è». 
Lei quali riforme suggerirebbe? 
«Nessun Paese ha una crescita solida se la spesa pubblica supera la metà del reddito nazionale, dunque bisogna tagliarla. A cominciare dalla sanità affidata alla regioni, che pesa per un quarto del totale». 
Un’espressione che ritorna in campagna elettorale è che un governo M5s sarebbe un pericolo economico, in fondo lo ha insinuato anche il commissario europeo in materia Moscovici. È così? 
«Moscovici non credo che conosca il M5s, io stesso so soloilpocochevedoenonmi piace. Non sanno governare, sono privi di cultura ed esperienza. Sono vestiti in modo approssimativo e volgari, inadatti alla responsabilità della guida di un Paese come l’Italia». 
Come giudica l’operato di Gentiloni e Padoan? 
«Il governo ha ragione nel dire che ci sono margini di ripresa, ma sono minimi. Per questo serve lo choc della flat tax. Gentiloni lo stimavo già da ministro degli Esteri e ancora oggi. Padoan ha gestito bene l’esistente, ma io credo serva cambiare profondamente». 
La sinistra si è divisa e non ha una proposta forte come la flat tax. Che ne pensa? 
«Le mie idee sono all’opposto, ma ho più amici in quel campo che nel mio perché ci sono tante persone per bene, ma sono autolesiosiniste. Litigano sul sesso degli angeli e trovo incomprensibile la scissione e il comportamento di D’Alema. Renzi ha perso credibilità, la sua riforma costituzionale era sbagliata ma ci si era impegnato, però poi ha parlato troppo e ci si è accorti che non aveva sostanza». 
Da tutti i programmi è sparita l’uscita dall’euro. Come mai? 
«Il coraggio dell’anticonformismo è raro. Io sono sempre stato critico della costruzione dell’euro a tavolino. Prima o poi questo problema dovremo porcelo, magari adottando una moneta parallela per traghettarci all’uscita, ma non è questo il momento perché ora creerebbe più problemi di quanti ne risolverebbe». 
Giusta o sbagliata che sia la Brexit, il Regno Unito si attrezza senza paura a far da sé. L’Italia potrebbe? 
«Noi siamo più invischiati di loro, perché siamo dentro dall’inizio. Ho visto con favore la Brexit come segnale forte a Bruxelles. Gli inglesi avranno dei problemi, ma li risolveranno perché ne sono in grado». 
Si discute di una francesizzazione del Nord Italia. Che ne pensa? 
«È positivo: capitali esteri investiti in Italia che ci fanno più ricchi. La nazionalità della proprietà è irrilevante». 
Sta seguendo le riforme di Trump? 
«Quella fiscale è buona e darà una frustata notevole allo sviluppo americano. Lui non è Reagan, ma neanche Obama. Lasciamolo lavorare». 
Quali sono le scuole di pensiero economico ancora attuali per comprendere la realtà? 
«Le rispondo con la frase di Maffeo Pantaleoni: in economia ci sono solo due scuole, quelli che la sanno e quelli che non la sanno. E sono perennemente in guerra tra loro». 
Lei come si definisce oggi? 
«Liberale, monetarista e un po’ libertario. Non ho più l’età di essere libertino e mi dispiace».