Libero, 22 gennaio 2018
«La «razza bianca» mi ha dato fama e consensi». Intervista a Attilio Fontana
Se la fortuna è la dote principale di un politico, Attilio Fontana parte piuttosto bene. Fino a tre settimane fa, l’ex sindaco di Varese, leghista da prima della prima ora, mai si sarebbe immaginato di essere il candidato del centro-destra tutto, Parisi e centristi compresi, per la Regione Lombardia. E però, era già pronto, con tutte le credenziali in ordine.
Tre indizi, dicono gli investigatori, fanno una prova. Lui, da avvocato penalista, conferma. E gli indizi, nel suo caso, ci sono tutti: la barba fatta come piace al Cavaliere, la Cinquecento da campagna elettorale, in stile Meloni, e la Russia e Putin, così cari a Salvini: Fontana era pronto per l’uso fin da prima del primo giorno. «Come sono leghista da prima che nascesse la Lega» racconta. «Anche se io non immaginavo nulla, da un anno e mezzo ero tornato a lavorare nel mio studio legale e a vivere la Lega solo come militante. Pensavo che al massimo mi avrebbero candidato in Senato. Invece il 28 dicembre mi telefona Salvini: ti devo parlare, però a voce. «Io ero in vacanza a San Pietroburgo, la città di Putin. Torno e, ai primi di gennaio, la notizia: Bobo non si ricandida, in Lombardia tocca a te», sentenzia il segretario. Nella Lega i pettegolezzi giravano da due mesi, ma Fontana giura che non ne sapeva nulla, malgrado l’amicizia quarantennale con Maroni.
La ricordo con la barba: l’ha tagliata per convincere Berlusconi ad accettare la sua candidatura?
«Ho smesso di fare il sindaco più di un anno fa e poco dopo mi sono tagliato la barba perché mia figlia minore diceva che stavo male. Solo che poi non mi ha più fotografato nessuno, così il taglio è parso fatto apposta per la candidatura, ma non è così».
Lungimirante, sua figlia...
«È stata una streghetta».
E la Cinquecento con cui è andato ad Arcore: molti avrebbero noleggiato una Mercedes per farlo, lei ha lasciato in garage la Porsche: mossa mediatica?
«La Porsche è un ricordo di quando facevo l’avvocato e guadagnavo. Sono uno dei pochi che con la politica ha visto abbassare il proprio reddito, ora giro con una Yaris ma quel giorno era dal meccanico, così sono andato ad Arcore con l’auto di mia moglie».
Anche il viaggio in Russia, uno degli argomenti su cui Salvini e Berlusconi vanno più d’accordo, è casuale?
«Non ci andavo da anni, ma è un luogo del cuore per me. Nel 2003 ci andai come presidente del Consiglio Regionale. Dovevo solo fare un intervento, poi ho visto Putin e ho attraversato tutto il salone per stringergli la mano. Lui non sapeva chi fossi, mentre correvo verso di lui pensavo: speriamo che un cecchino non mi faccia secco. Però l’obiettivo era troppo ghiotto e ho rischiato».
Certo che questa candidatura le ha scompaginato i piani...
«Roma l’avrei presa come un prepensionamento, mi sarei portato le mazze da golf. Ho sempre lavorato sul territorio, sono contento di poterci restare».
Salvini si è molto arrabbiato per la rinuncia di Maroni: cosa ne pensa?
«Bobo ha messo in difficoltà la Lega ma i due si sono chiariti. Penso che le tensioni siano acqua passata».
Quindi Maroni tornerà buono per la Lega?
«Se lui lo vorrà, sicuramente. Le ultime dichiarazioni di Salvini su di lui sono concilianti».
Ma subito dopo Maroni ha contestato la scelta del segretario di candidare l’avvocato Giulia Bongiorno, l’avvocato che salvò Andreotti...
«Non è così. Bobo ha detto solo che noi combattevamo Andreotti, ma politicamente. La Bongiorno credo sia un’ottima scelta: è tosta, a favore della legittima difesa e non fa sconti a immigrati e criminali».
Vi siete sentiti, con Maroni?
«Mi ha chiamato. Mi ha dato un solo consiglio: corri, fatti vedere».
Perché Maroni non si ricandida, secondo lei è vero che vuole fare il premier?
«A me ha detto che non aveva più stimoli in Regione e ha bisogno di rimettersi in gioco altrimenti. Sono suo amico da quarant’anni, sono tenuto a credergli».
In effetti, le storie di Fontana e Maroni hanno molto in comune. Stessa città: Varese. Stesso titolo di studio: laurea in giurisprudenza. Stesso lavoro: avvocato penalista. Stessa fede calcistica: il Milan. Sul campo, stessa squadra e stesso ruolo: terzino. Pure stesso padre politico, Bossi: con lui hanno fondato un partito che in pochi anni è arrivato al governo. Davvero Fontana pare il candidato naturale per sostituire Maroni. Le loro strade si erano divise quando il Roberto era andato a Roma, al governo, mentre l’Attilio era rimasto in Lombardia, prima in Regione e poi come sindaco di Varese. Fino a un mese fa si sarebbero dovute invertire, con Fontana nella Capitale e Maroni ancora sul territorio, a portare avanti la battaglia per l’autonomia regionale. Poi improvvisamente lo scenario si è ribaltato. Bobo dice di volersi ritirare, ma sogna Roma, Fontana non chiedeva nulla al futuro, ma si candida a guidare una corazzata, la regione più ricca e popolosa del Paese.
E con Bossi, si è sentito?
«Lui è molto contento della mia candidatura. D’altronde, ero con lui quando fondò la Lega. Quando l’ho visto, mi ha abbracciato e mi ha detto che sono un ragazzo fortunato. Sicuramente mi sosterrà e si darà da fare per me in campagna elettorale. D’altronde, fu lui a propormi come sindaco di Varese, tanti anni fa».
Lei mette d’accordo tutta la Lega: è una rarità di questi tempi...
«Sì, vado d’accordo anche con Giorgetti, il nostro Richelieu, pure lui originario di Varese. Ma guardi che è tutto sotto controllo».
Beh, Salvini è il vero rottamatore: non trova?
«Credo che è giusto che candidi solo persone competenti e di cui si fida. Di me evidentemente si fida».
Cos’ha detto il segretario quando le ha chiesto di candidarsi?
«La stessa cosa che mi ha detto Maroni, come pure Berlusconi: di girare come una trottola. Il mio problema è che sono partito poco conosciuto».
Sull’autonomia non le ha detto nulla?
«È il punto uno del programma, questo lo dico io: se non ce la danno, scendiamo a Roma con i forconi».
Adesso la vogliono anche le Regioni di sinistra...
«Bisogna vedere se erano richieste vere o solo un tentativo di sminare i referendum leghisti. Certo, quando l’autonomia entrerà in vigore, ci si renderà conto che i vantaggi sono per tutti, anche per il Sud».
Ha pronunciato la parola magica: quando?
«Se vincerà il centrodestra, la consideri cosa già fatta».
Da leghista storico, quanto le è dispiaciuto perdere il Nord dalla parola Lega?
«La scelta della Lega di promuovere i referendum era già in questa direzione. Capisco i nostalgici, ma si tratta di una tappa del percorso verso una maggiore autonomia delle Regioni e delle entità territoriali».
Cosa ha detto al leader di Forza Italia per convincerlo a dire sì alla sua candidatura?
«Abbiamo parlato due ore: di politica, del Milan, della Lombardia, dell’autonomia. Non di Maroni.È convinto che il centrodestra vincerà, in Regione e a Roma».
Prenderà più voti di Salvini?
«Con il cuore mi auguro di no».
L’ha più risentito?
«Dopo la frase sulla razza bianca a rischio estinzione a causa degli immigrati mi ha telefonato per dirmi di stare tranquillo e andare avanti».
È stata una gaffe?
«È stata un’espressione infelice, ma ascoltando tutta la frase si capiva che il mio non era un discorso razzista ma logico. Tant’è che, dopo, nei sondaggi sono salito e più di una persona mi ha fermato per strada per spronarmi ad andare avanti e non mollare. La gente è stanca del politically correct e di sentirsi dire come deve parlare e pensare dai soliti benpensanti che credono di essere i soli a conoscere la verità e ciò che è giusto o sbagliato nel mondo».
Come la riformulerebbe oggi?
«Userei l’espressione popolo italiano al posto della parola razza. Ma guardi che quello scivolone ha fatto sì che il mio ragionamento venisse compreso immediatamente da tutti. E poi, c’è da ammettere che ha risolto in un secondo il problema di farmi conoscere».
L’ha fatto apposta, ammetta.
«Non ho uno staff della comunicazione tanto diabolico da inventarsi una cosa simile. E poi la gente lo sa, non sono razzista e non mi sarei mai fatto volontariamente pubblicità in questo modo. Tutto questo polverone è stato sollevato perché sono leghista, candidato in una Regione importante e in testa nei sondaggi. È un po’ come con l’allarme fascismo: la sinistra non sa più a che santo votarsi e, per non precipitare ancora di più, si aggrappa a tutto».
Perché la sinistra è così in crisi?
«Guardi, pensare alla sinistra mi provoca angoscia. Sono divisi su tutto e 25 anni di antiberlusconismo li hanno svuotati, sono incapaci di formulare un piano di governo, anche solo una proposta sensata».
Dovrebbe esserne contento, non angosciato.
«Mi angoscia la loro cultura, che distrugge il mondo operoso e borghese dal quale provengo. La sinistra della globalizzazione vuole eliminare il ceto medio. Io sono un avvocato e ho il mio studio, ma questa sinistra è contro i professionisti, vuole sostituirli con le multinazionali, che produrranno avvocati tutti dipendenti. Lo spirito e la gente che hanno fatto grande la Lombardia sono diversi».
Da elettore le chiedo: qual è la sua posizione con gli immigrati?
«Razionale. Ci sono un miliardo di persone che vogliono venire in Europa. Non possiamo permetterci di accoglierle. Un governo serio deve porsi il problema, denunciarlo e trovare una soluzione, non accoglierli senza avere le case dove metterli e un lavoro da garantire».
Lei che soluzione ha?
«Se sarò eletto, la prima cosa che farò è espellere i centomila clandestini che ci sono in Lombardia: persone abbandonate a loro stesse che costituiscono un enorme problema sociale e di sicurezza. Da amministratore cittadino ha ben presente l’allarme che destano nei cittadini gli eserciti di immigrati allo sbando nelle nostre strade e vicino alle stazioni. In un anno e mezzo dal mio addio, quella di Varese è diventata un Far West. E quella di Bergamo non fa differenza. D’altronde al sindaco Gori che importa, abita in un villone con un muro altissimo, neppure li vede gli immigrati».
Siluro al suo rivale per la Regione, sindaco della città orobica...
«Poverino, è costretto a inseguire la sinistra, magari dicendo cose nelle quali crede anche poco. Ma sarà inutile, è un fighetto e quelli di Liberi e Uguali non lo voteranno. All’inizio della campagna elettorale puntava al voto moderato, i suoi santini ricordano il suo passato in Mediaset più che le battaglie dei compagni. Poi quella mia frase sulla razza bianca l’ha convinto a fare dell’immigrazione e delle frontiere aperte il suo cavallo di battaglia. È un calcolo sbagliato, ma dovevamo aspettarcelo: a Bergamo ha dato il via libera alla moschea finanziata con i soldi del Qatar, uno Stato canaglia».
Lei cosa pensa dell’islam?
«È poco compatibile con i valori occidentali. La Jihad è insita nella struttura della religione, e non lo affermo io, rozzo leghista: l’ha scritto pure Micromega, la rivista degli intellettuali di sinistra. E poi anche l’integrazione mi pare una chimera: in Inghilterra gli attentati li fanno i ragazzi della terza generazione, con l’auto regalata dal papà nel garage e la musica occidentale nelle cuffie».