Libero, 22 gennaio 2018
Gli immigrati che delinquono di più arrivano dal Gambia e dal Mali
Gli immigrati non sono tutti uguali. Lo dicono i numeri, con la loro particolare capacità di essere politicamente scorretti: tra gli stranieri presenti nel nostro Paese l’attitudine al crimine varia moltissimo a seconda della nazionalità, ma non nel modo in cui di solito si crede. È noto che sulla maggior parte dei reati compiuti dai non italiani ci sono le impronte digitali di cittadini romeni. Nell’ultimo anno per il quale sono disponibili dati definitivi, il 2015, si sono contati 270.216 reati ad opera di immigrati e nel 22% dei casi (58.555), secondo le nostre forze di polizia, gli autori hanno il passaporto emesso dal governo di Bucarest. Accanto, sul discutibile podio, figurano i marocchini (15% dei reati) e gli albanesi (10%). Le stesse tre nazionalità, a posti scambiati (nell’ordine marocchini, albanesi e romeni), guidano la classifica degli stranieri “ospiti” dei nostri penitenziari. Ma questi numeri dicono poco, perché, dopo quella italiana, le cittadinanze romena, albanese e marocchina sono anche le più rappresentate nella nostra penisola. “Pesato” così, il dato che riguarda i romeni, ad esempio, assume tutt’altro valore: costoro sono il 23% degli immigrati e sono ritenuti responsabili del 22% delle illegalità compiute da stranieri. Delinquono nella media, pur avendo un’incidenza molto alta nello sfruttamento della prostituzione e nelle rapine, come dimostrano le tabelle in questa pagina.
LE SORPRESE
Per capire qual è la propensione alla delinquenza delle diverse comunità occorre rapportare il numero delle violazioni del codice penale a quello degli individui. Lo ha fatto Libero, elaborando dati Istat di pubblico dominio. I reati, divisi per Paese di provenienza degli autori, si riferiscono all’intero 2015, mentre le cittadinanze degli immigrati presenti in Italia sono quelle fotografate dall’istituto di statistica il primo gennaio dello stesso anno: incrociandoli, è possibile calcolare il numero di illegalità ogni mille individui (per ovvie ragioni, sono stati presi in considerazione solo le nazionalità di una certa rilevanza). Anche se questo conteggio non comprende i clandestini e non tiene conto delle variazioni nella presenza degli stranieri durante l’anno, fornisce una classifica attendibile, in cui non mancano le sorprese.
Prima notizia: scordiamoci romeni, albanesi e marocchini. I peggiori immigrati vengono dal piccolo Gambia, che è esteso poco più dell’Abruzzo e conta appena 1,7 milioni di abitanti. All’inizio del 2015 risultavano presenti sul suolo italiano 3.306 gambiani, che i nostri uomini in divisa hanno ritenuto responsabili di 2.455 reati, 831 dei quali legati al traffico di droga. Numeri che assegnano a costoro un tasso di criminalità elevatissimo, pari a 743 reati ogni mille individui. Il rapporto scende a 306 se si considerano i cittadini del Gambia presenti il primo gennaio del 2016 (il loro numero è cresciuto molto durante il 2015), ma non cambia l’assegnazione del primo posto. Seguono i maliani: 6.245 censiti, per un totale di 1.332 reati, anch’essi legati soprattutto allo spaccio, col risultato di 213 delitti ogni mille persone.
Medaglia di bronzo (chiamiamola così) ai tunisini: 187 delitti ogni mille di loro, con “specializzazioni” in droga e furti. Seguono somali, algerini e primi europei gli immigrati dalla Bosnia-Erzegovina. Quindi nigeriani, afghani, serbo-montenegrini (che le tabelle Istat ancora non dividono tra loro) e senegalesi.
Secondo dato degno d’interesse: le nazionalità con il più alto tasso di criminalità coincidono in gran parte con quelle i cui cittadini presentano regolarmente richiesta agli uffici italiani per ottenere il diritto d’asilo o altro tipo di protezione. È il caso di chi proviene da Gambia, Mali, Somalia, Nigeria, Afghanistan e Senegal. Terzo dato, forse il più interessante: la propensione a delinquere delle varie nazionalità è diversissima. I filippini, che per consistenza sono la sesta comunità straniera, hanno un tasso di delitti davvero basso, pari a 5 ogni mille individui, incomparabilmente inferiore a quello di chi proviene dai Paesi africani che abbiamo visto. Un governo e un parlamento non ideologizzati userebbero questi indicatori per selezionare gli immigrati da accogliere, anziché predicare una politica delle porte aperte indiscriminata.