Il Sole 24 Ore, 23 gennaio 2018
Primi colpi su anonimato e tassazione per i bitcoin e le altre criptovalute
Il debutto in borsa a Chicago dei futures sui bitcoin e lo straordinario interesse che ultimamente circonda il mondo delle criptovalute, sollecitano una attenta ricognizione delle fonti normative e giurisprudenziali che disciplinano la materia per valutarne anche gli aspetti e gli impatti fiscali.
Il fatto che le valute virtuali non siano governate da una banca centrale non significa, infatti, che esse sfuggano a qualsiasi regolamentazione legislativa e tributaria. Come si è avuto modo di vedere (si veda anche «Il Sole 24 Ore» di ieri) sul versante giurisprudenziale, la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 22 ottobre 2015 (causa C-264/14), ha stabilito che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso.
I giudici lussemburghesi hanno annoverato tali operazioni tra quelle «relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio» di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112. Muovendo da tale assunto, l’agenzia delle Entrate con la risoluzione 72/E del 2016, ha stabilito che tali operazioni sono esenti Iva, in base all’articolo 10, comma 1, n. 3 del Dpr 633/1972.
In questa stessa prospettiva, si muove la prima sentenza di un giudice italiano in tema di criptovalute (sentenza. 195/2017) del Tribunale di Verona che equipara l’acquisto di criptovalute a un contratto di investimento.
Particolare attenzione alle monete virtuali è riservata anche nella circolare 1 del 2018 della Guardia di Finanza sugli accertamenti da fare sui conti correnti dei contribuenti in cui si pone evidenza alle ipotesi di accredito sui rapporti intestati al contribuente di somme rinvenienti da entità giuridiche le quali gestiscano piattaforme informatiche che convertano moneta avente corso legale in valuta virtuale o criptovalute.
La definizione normativa di valuta virtuale ormai codificata dal decreto sull’antiriciclaggio ha infatti due conseguenze dirette: la prima è la perdita dell’anonimato del cliente al momento del cambio della valuta virtuale con quella legale, la seconda l’eventuale tassabilità dei proventi dovuti a tale cambio in caso di plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso della valuta virtuale.
In Italia, l’agenzia delle Entrate con la risoluzione 72/E del 2016, nel richiamare la sentenza della Corte Ue, ha statuito che tali operazioni siano esenti da Iva (articolo 10, comma 1, n. 3 del Dpr 633/1972).
Ai fini delle tassazione diretta Ires ed Irap, l’Agenzia ritiene invece che il contribuente debba assoggettare i componenti di reddito derivanti dall’attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di bitcoin, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività.
Per le persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, l’Agenzia ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili quando manca la finalità speculativa.
In dottrina però alcuni ritengono, a seguito della diffusione di massa degli investimenti in criptovalute che si tratta di capital gain da tassare come redditi diversi in base all’articolo 67, lettera c-ter), del Tuir, e c’è anche chi sostiene che tali operazioni debbano essere tassate come quelle effettuate con valute estere fermo restando l’obbligo di monitoraggio fiscale quando queste valute virtuali vengano cambiate da piattaforme estere che utilizzano conti esteri.
La definizione legislativa delle criptovalute che le identifica come valute lascia lo spazio a molteplici interpretazioni che a questo punto necessitano una presa di posizione dell’amministrazione finanziaria.