il Giornale, 23 gennaio 2018
Nel paese abitato dalle pecore il cinema ha riportato gli uomini
Arrivare a Craco, dopo essersi inerpicati attraverso sei chilometri di tornanti circondati da una natura ancora incontaminata, è come tornare indietro nel tempo. A quel 1963 che ha cambiato per sempre la storia di questo borgo medievale a 54 chilometri da Matera. Qui la vita si è fermata quando una frana ha distrutto buona parte delle case, rendendo inagibili tutte le altre rimaste in piedi. Da allora questo è uno dei paesi fantasma d’Italia. Le ultime cinque famiglie sono andate via nei primi anni Ottanta, all’indomani del terremoto dell’Irpinia, raggiungendo gli altri evacuati nella nuova Craco Peschiera. E così le stradine di ciottoli, le abitazioni in pietra, la chiesa con la cupola ricoperta di maioliche e le residenze storiche sono diventate la casa di 500 pecore, due asini e le immancabili taccole, uccelli simili ai corvi che a Craco si sono insediati prima dell’arrivo degli uomini, restandoci anche quando l’ultimo residente è andato via.
«Un’antica leggenda racconta che il nome del paese derivi proprio dal verso di questi animali», dice Vincenzo, una delle guide turistiche che oggi permettono di visitare questo tesoro protetto anche dal World monuments fund. Ed è proprio il turismo l’arma vincente di questo borgo. Nonostante la frana, una violento alluvione e il terribile sisma che ha messo in ginocchio Campania e Basilicata, i suoi abitanti non si sono arresi. E sono riusciti a trasformare le tragedie in una risorsa per il futuro. Oggi Craco vecchia è una meta turistica raggiunta da migliaia di persone ogni anno, grazie anche all’impegno del Comune che è riuscito a mettere in sicurezza alcune zone e a inaugurare un percorso guidato.
«Siamo partiti con circa mille visitatori nel 2010 conferma il sindaco Giuseppe Lacicerchia per arrivare a quattromila tre anni dopo. Nel 2016 abbiamo toccato il record di 15mila presenze, un numero che quest’anno siamo riusciti a superare già a fine novembre, quando abbiamo contato circa 17mila persone». Tantissimi italiani provenienti dalle Regioni limitrofe e dal Centro-Nord. Ma anche moltissimi stranieri. «Ormai rappresentano l’otto per cento del totale prosegue il primo cittadino un numero importante per un paese minuscolo. Solo quest’anno sono arrivati in mille». Americani e inglesi soprattutto, ma anche olandesi, australiani, russi, francesi e giapponesi. Per questi ultimi il Comune ha anche inaugurato le visite in lingua. Grazie alla collaborazione di una cittadina di origine nipponica. Un successo clamoroso, per il quale Craco deve ringraziare anche il cinema. Perché questo paese disabitato è diventato un set a cielo aperto, scelto da molti registi. Da Francesco Rosi, che qui ha ambientato il suo Cristo si è fermato a Eboli (nel 1979), a Mel Gibson, che ha girato alcune scene della Passione di Cristo (2004). A partire dal 1953, sono state 16 le pellicole ambientate nel borgo lucano.
Per capirne il motivo del boom turistico basta percorrere la strada sei chilometri circa che collega Craco Peschiera (il nuovo paese a valle con i suoi 762 abitanti) con Craco vecchia. A catturare l’attenzione sono il paesaggio lunare, l’isolamento e il silenzio assoluto. Fino a quando non compare il borgo, incastonato nella roccia, sulle pendici di un colle. Un presepe immenso e completamente vuoto. Con le sue case di pietra, la sua chiesa, la sua torre eretta da Federico II di Svevia, dalla quale è possibile ammirare un panorama mozzafiato.
Il punto di riferimento, per tutti, è la mediateca comunale. Qui i visitatori vengono accolti da una delle guide e dopo aver indossato un caschetto giallo – accompagnati in questo viaggio indietro nel tempo. Il percorso messo in sicurezza comincia davanti a un cancello nero chiuso a chiave. Possono aprirlo solo gli addetti ai lavori perché il pericolo di nuovi crolli non è mai cessato. Basta varcarlo per entrare in un mondo parallelo. Alcune case sono rase al suolo – «sono quelle costruite sulla terra», racconta Vincenzo, che passo dopo passo spiega tutta la storia del borgo altre sono ancora in piedi, perché la roccia non ha ceduto. Sono quelle che il Comune spera di recuperare, affinché a Craco torni la vita. «Abbiamo preparato un accordo di programma con Regione e ministero dei Beni culturali, che prevede lo stanziamento di 24 milioni di euro conferma il sindaco -. L’obiettivo è creare un bad and breakfast e qualche attività di ristorazione e commercio. Perché vogliamo assolutamente valorizzare e tutelare il nostro centro storico».
Nel frattempo molti passi sono già stati compiuti. E Craco è diventato un punto di riferimento per gli scienziati che vogliono studiare il dissesto idrogeologico del suolo. «Abbiamo accordi con numerosi politecnici e scuole di architettura dice ancora il sindaco -. Per rinascere punteremo proprio sulla scienza. Ma anche sull’arte e la cultura». E in effetti il vicino monastero, un tempo abitato dai frati francescani, è stato già trasformato in un museo multimediale. Mentre quella che un tempo era la scuola del paese è diventata un ostello, che per il momento ospita solo studenti e troupe cinematografiche. Ma ha l’ambizione di diventare un luogo di accoglienza per i turisti che vogliano pernottare fra le rovine di Craco.
Proprio grazie a questi progetti un paese disabitato e remoto ha la possibilità di dare un futuro ai suoi giovani. Servono le guide turistiche, chi gestisce il museo, energie per organizzare eventi. E così cinque ragazzi hanno scelto di realizzare i loro sogni restando nel cuore della Basilicata. Fra loro c’è anche Vincenzo: «Ho 25 anni e ho voluto restare a Craco. È importante recuperare la nostra storia perché con i crolli si sono perse anche le tradizioni. Noi siamo nati nel paese nuovo, in mezzo alle case popolari senza storia e senza anima. Bisogna valorizzare il nostro passato». Chi non può dimenticarlo sono i cittadini anziani, che nel paese fantasma ci sono nati e cresciuti fino a quella maledetta frana. «Molti di loro sono ancora proprietari delle abitazioni inagibili conclude Vincenzo ma non hanno il coraggio di venirle a guardare. Da 50 anni vivono nel paese nuovo e da lì non si sono più mossi. Qualche volta chiedono a noi se le loro case siano ancora in piedi, con gli occhi lucidi e la paura nel cuore».