la Repubblica, 23 gennaio 2018
I senza neve che vanno alle Olimpiadi
Avanzano i senza neve.
Quelli delle pari opportunità, che vengono da paesi senza montagne e senza fiocchi. Ricordate il fisico bestiale di Pita Taufatofua, portabandiera del Tonga, che a Rio 2016 sfilò a torso nudo, avvolto nell’olio di cocco? Tonga è un arcipelago della Polinesia, a sud delle Samoa e a est delle Figi: neve mai pervenuta. Nudo alla meta, scrissero di lui che divenne subito un sex symbol.
Peccato che Pita, che vive a Brisbane, in Australia, nel taekwondo a Rio fu eliminato al primo turno. Però ci riprova in Corea dove gareggerà nel cross country. Si è appena qualificato nell’ultima gara in Islanda. Come? Allenandosi al mare, sulla sabbia, e pattinando sulle rotelle. Se non si congelerà, lo rivedremo sulla neve di PyeongChang (magari in pile?). Non sarebbe il primo di Tonga. Già a Sochi 2014 debuttò lo slittinista Fuahea Semi, noto come Bruno Banani, nome di una marca di slip tedesca che lo sponsorizzò. Anche se un solo tongano è riuscito finora a salire su un podio olimpico (ma quello estivo) con il pugile Paea Wolfgramm che ad Atlanta ‘96 vinse l’argento nei supermassimi. Ma il primo a rompere le barriere nei Giochi Invernali in rappresentanza dell’Africa sub-sahariana era stato Lamine Guèye, del Senegal, che a Sarajevo ‘84 disputò discesa (45esimo) e slalom (57esimo ) per confessare in lacrime «che a sciare gli veniva da vomitare».
Ora in Corea ci sarà un altro esordio. La Nigeria parteciperà nel bob con un equipaggio femminile. Alla guida Seun Adigun, 31 anni, ex ostacolista ( 110 hs a Londra 2012), con Ngozi Onwumere, 25 anni, ex sprinter e con Akuoma Omeoga come rimpiazzo. Tutte e tre sono nate in America da genitori nigeriani, vengono da università statunitensi, le prime due hanno studiato a Houston dove un altro giocatore, con le loro stesse origini, Hakeem Olajuwon, ha vinto due titoli Nba con gli Houston Rockets e un oro olimpico del basket nel ’96.
Chiaro che il tentativo di qualificarsi per i Giochi aveva bisogno di soldi. Le tre si sono rifatte all’odissea giamaicana sul ghiaccio, ai “Rasta Rockett”, a quell’equipaggio caraibico di Calgary ’88, su cui è stato girato il film “Cool Running”, con i quattro atleti che tagliano il traguardo a piedi, spingendo il bob (rovesciato). Così le tre hanno lanciato un crowdfunding con cui hanno raggiunto visibilità e la cifra di 75.000 dollari.
Ellen DeGeners le ha chiamate nel suo show, anche se le altre avversarie non l’hanno presa bene: «Sono delle incompetenti che ci mettono in imbarazzo, basta vederle negli allenamenti». Per la canadese Kaillie Humphries, doppia campionessa olimpica, l’equipaggio nigeriano è indietro di «un minuto». Che significa anni luce. Seun Adigun lo sa, non se la tira, dice che la prima volta che ha pilotato un bob nel 2014 a Whistler, in Canada, «ho pregato, pregato, perché mi rendevo conto di non essere pronta». Ngozi Onwumere, per confermare, si è messa i pattini all’incontrario. Il loro bob si trova in Lettonia e sperano di averlo a disposizione in Corea. Già perché in Canada si sono allenate su quello in affitto per il pubblico. La Nigeria ha 186 milioni di abitanti e zero partecipazioni alle Invernali, né l’Africa ha mai avuto qualificati nel bob. Anche l’America, nel pattinaggio di velocità, schiererà Maame Biney, 17 anni, nata in Ghana, prima donna nera a stelle e strisce a qualificarsi (negli uomini c’è già stato Shani Davi, short track, nel 2002).
Segno che qualcosa si sta sbrinando: a PyeongChang alla partenza ci saranno cinque nuovi paesi: Ecuador, Malesia, Singapore, Eritrea e Nigeria. Il mondo, anche quello del freddo, deve essere di tutti. Brividi a parte.