la Repubblica, 23 gennaio 2018
La maestra Jedi che ha in mano il futuro dell’arte
Selfie sfocati, screenshot con pixel enormi, disastri con Photoshop: ogni giorno i nostri schermi sono inondati da una marea di immagini di bassa qualità, riprodotte e condivise in massa a ciclo continuo. Criticarle è facile, ma l’artista tedesca Hito Steyerl dimostra invece che hanno una loro validità.
«Possono divulgare cose piacevoli o minacce di morte, teorie della cospirazione o immagini piratate, resistenza o istupidimento» scrisse nel suo saggio del 2009 intitolato In defense of the Poor Image. «Le immagini povere ci mostrano la rarità, l’ovvio e l’incredibile».
Possono rivelarci anche segreti, dice, se soltanto fossimo disposti a guardare.
Nei suoi film, nelle sue conferenze e nei suoi saggi, la cinquantunenne Steyerl non si è mai tirata indietro quando era il caso di rivelare i segreti che aveva scoperto. Nel suo lavoro fa luce sulle strutture di potere nel mondo, le ingiustizie, le oscurità e le delizie. Mentre lancia parabole, mette sempre in moto qualcosa. Il suo lavoro non è mai stato più riconosciuto o più importante di adesso: nel 2017 è diventata la prima artista donna ad arrivare in vetta alla Power List graduatoria della rivista britannica Art Review.
A ottobre è stata pubblicata la sua ultima raccolta di saggi intitolata Duty- Free Art: Art in the Age of Planetary Civil War.
Steyerl incarna il nuovo paradigma dell’artista, considerato non un genio solitario, ma un pensatore connesso a più livelli e su varie reti. I suoi film sono pellicole dense di immagini, che mescolano realtà e finzione, documentari, riprese, immagini generate al computer e spesso comparsate di lei stessa. Zoomano in profondità e si dilatano a raggiera a partire da alcune delle tematiche più complesse e pressanti della nostra epoca, tra le quali la sorveglianza, il lavoro alienante, la militarizzazione, la cultura della protesta, il predominio delle multinazionali e l’ascesa di economie alternative. Ma l’aspetto politico delle sue pellicole è sempre presentato con un’estetica da cultura pop affascinante e accessibile, condita con umorismo sardonico e qualche trivialità.
Pur di entrare ad ammirare le installazioni di Steyerl, che presenta i suoi filmati in ambienti simili a un’onda gigantesca o alle linee blu del film fantascientifico Tron del 1982, i visitatori sono rimasti a lungo in coda fuori dal Moca di Los Angeles o dal Padiglione tedesco della Biennale di Venezia del 2015. «Nei miei filmati, mi impegno a curare in particolare l’accessibilità» ha detto Steyerl. Quando non tiene conferenze o non insegna media art all’Università di arte di Berlino, lavora a casa sua, nella capitale tedesca. «Non voglio fare film così specialistici da poter essere comprensibili soltanto da chi ha già riferimenti precisi». Spiega infatti che i suoi lavori sono stratificati e che almeno uno strato è sempre comprensibile a chiunque.
Steyerl ha subito varie influenze, da Godard e dal nuovo cinema tedesco al lavoro del regista sperimentale Harun Farocki, dalle pellicole sulle arti marziali a Monty Python. I suoi riferimenti vanno da Bruce Lee a Theodor W. Adorno. Oltre ai film, Steyerl produce scritti e “performance-conferenze”, ed è risaputo che sono ipnotiche.
Le sue parole, pronunciate con la voce lenta, suadente e tranquillizzante di un insegnante di yoga o di un maestro Jedi, mescolano e intrecciano idee diverse.
Gli studenti universitari e i professori sono affascinati da neologismi alla Steyerl come “circolazionismo” (quanto più un’immagine viaggia tra il mondo digitale e quello reale tanto più acquista potere) o junktime (l’esperienza di tempo frammentaria e distratta).
Per Steyerl l’“arte duty-free” «potrebbe essere un’arte non sottomessa al dovere di rappresentare la cultura di una nazione o qualche altro interesse coinvolto nella presentazione e produzione».
Si tratta del sogno avanguardistico di un’arte davvero autonoma? «Non esiste un’autonomia assoluta – risponde lei – si può soltanto iniziare a pensare all’autonomia in rapporto ad altre cose». Molti saggi del nuovo libro erano stati già pubblicati sull’ e- flux journal, un periodico concettuale online. «Tra Hito e la rivista c’è un rapporto incredibile» dice la cofondatrice del sito, Julieta Aranda.
In Defense of the Poor Image è diventato subito un classico negli ambienti concettuali artistici. Quanto a Steyerl, lei si considera prima di tutto e più di ogni altra cosa una regista cinematografica. Nata (nel 1966) e cresciuta a Monaco, ha ricevuto la formazione di cineoperatrice, poi ha studiato cinema sia in Giappone che nella sua città natale. Alla fine degli anni Ottanta, ha lavorato come assistente del regista tedesco Wim Wenders.
E ha sempre avuto intenzione di diventare una documentarista classica.
Secondo lei potremmo diventare a tal punto dipendenti dal web da perdere traccia del mondo materiale oppure «semplicemente annoiarci e disconnetterci».
Il panorama artistico è anch’esso in evoluzione e in cambiamento. «Lentamente, si vanno formando varie correnti, che spingono in direzioni diverse. Una è fortemente coinvolta nella moda e nel branding. Poi c’è una parte del mondo artistico che invece è non commerciale. Queste e altre strade si differenzieranno sempre più nei prossimi due anni».
Si tratta di qualcosa di positivo o di negativo? «Io sono sempre ottimista» spiega. «Non credo che Internet o una grande multinazionale digitale sarà in grado di cogliere le relazioni umane nella loro interezza. È troppo noioso… Dopo un po’ alla gente piace chiacchierare di persona».
Traduzione di Anna Bissanti