Corriere della Sera, 23 gennaio 2018
Imprenditori, nobili, famosi. Indagati i clienti del barone Dollfus
Milano Che cosa hanno in comune un costruttore ed ex editore dell’Unità, eredi di industriali maxi-risarciti dallo Stato, rampolli dell’acciaio o degli hotel, un coimputato di Berlusconi, la moglie di un grande fotografo, dirigenti sportivi già re del calciomercato, e prìncipi dalle ascendenze secolari? Hanno in comune – ad avviso della Procura di Milano – l’essere stati tutti clienti del barone italosvizzero Filippo Dollfus per «avvalersi dei suoi schermi societari offshore al fine di evadere le imposte».
Così, a tre anni dall’arresto di Dollfus – che con i legali Roberta Guaineri e Paolo Tosoni ha patteggiato 1 anno e 11 mesi per associazione a delinquere finalizzata a riciclaggio – ora la Procura di Milano in un «avviso di conclusione delle indagini» accusa di evasione fiscale 23 clienti di Dollfuss non indagati nel 2015 (alcuni dei quali hanno poi «scudato» i soldi con «collaborazioni volontarie» col Fisco ritenute però tardive e dunque invalide dai pm), e di associazione a delinquere 8 professionisti delle strutture riciclatorie offshore del barone, tra i quali il suo 77enne braccio destro Gabriele Bravi.
Sulla scorta del lavoro della Guardia di Finanza di Busto Arsizio e poi del consulente Giangaetano Bellavia, i pm Paolo Filippini e Giovanni Polizzi calcolano ad esempio che il costruttore Massimo Pessina, presidente anche del gruppo di acque minerali Norda-Sangemini ed ultimo controverso editore dell’ Unità fino alla chiusura del quotidiano del Pd, non abbia pagato nel 2010-2012 oltre 19 milioni dovuti al Fisco a fronte di quasi 44 milioni di redditi sottratti all’imposizione. L’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone (patron del gruppo Acqua Marcia, nel cda di Alitalia nel 2009-2012, cugino del costruttore-editore Francesco Gaetano), e sua moglie Rita Rovelli (figlia dell’industriale Nino protagonista del maxirisarcimento Imi-Sir), sono accusati di aver evaso lui 12 milioni nel 2010-2013 e lei 6 milioni nel 2010-2012.
A Vitaliano Borromeo, cugino della moglie (Lavinia) di John Elkann e esponente della famiglia nobiliare che tra gli avi ha San Carlo Borromeo e che sul Lago Maggiore possiede la rocca di Angera e l’Isola Bella, i pm addebitano di non aver pagato 3,8 milioni di Irpef a fronte di 9,6 milioni di redditi non dichiarati nel 2010-2014. A Kirsti Moseng, moglie norvegese dell’artista della fotografia Oliviero Toscani, è contestato non aver versato al Fisco 311.000 euro nel 2015; 225.000 euro nel 2010 sono il problema per Franco Dal Cin, ex direttore sportivo dell’Inter e direttore generale dell’Udinese che portò in Italia il fuoriclasse brasiliano Zico; 660.000 euro nel 2010-2012 per Daniele Lorenzano, l’ex manager Mediaset condannato con Berlusconi nel processo sui diritti tv; 600.000 euro nel 2010 per Filippo Aleotti, fino al 2013 senior partner del fondo Investindustrial guidato da Andrea Bonomi; 850.000 euro per Nello Picella, banchiere a Londra nella galassia Rothschild e figlio del segretario generale del Quirinale con Einaudi, Saragat e Leone.
L’imprenditore dell’acciaio Vanni Mandelli è chiamato in causa per 1,5 milioni nel 2010-2015; l’imprenditore piemontese Floriano Bonanato per 5,8 milioni nel 2010-2013; Francesca Bortolotto e Alessandro Possati (gruppo hotel Bauer a Venezia) per 850.000 nel 2015 e 830.000 euro nel 2011; il principe Augusto Ruffo di Calabria (parente di Paola regina del Belgio) per 187.000 euro nel 2010; e i pure sangue blu partenopei, Luigi e Federico Pignatelli della Leonessa, per 970.000 euro.