Corriere della Sera, 23 gennaio 2018
Bistecche da Tiffany
L’ultima denuncia riguarda un’osteria veneziana non lontana da piazza San Marco. Entrano sette giovani giapponesi, quattro di loro ordinano una bistecca, gli altri tre annusano la fregatura e cercano scampo in una pizzeria. Il conto delle quattro bistecche più servizio (scadente) risulterà sanguinoso: 1.100 euro. O i ristoratori erano vegani arrabbiati, oppure ladri matricolati e la seconda ipotesi convince decisamente di più. Ma non è che ai tre della pizzeria sia andata molto meglio. Hanno speso 115 euro a testa per un piatto di spaghetti.
A questo punto dovrebbe partire l’invettiva autoflagellante sugli italiani che considerano i turisti non come soci da fidelizzare, ma come intrusi da spennare. Peccato che il proprietario della gioielleria di bistecche sia un cinese e il gestore un egiziano. Ormai i locali dei nostri centri storici sono nelle mani di investitori stranieri. Quasi tutto il bello che ci circonda non ci appartiene più, eppure il modo di maltrattarlo non è cambiato. I nuovi padroni si adeguano subito all’andazzo. Sanno che, anche se i sette giapponesi imbufaliti dovessero scoraggiare qualsiasi amico sano di mente dal venire in Italia, altri ne arriveranno comunque, e altri ancora, fino all’esaurimento delle scorte. La bellezza produce un pessimo effetto su chi la possiede. Lo stimola a farsela pagare cara, trascurando tutto il resto. Raramente si troverà un grande ristorante in un luogo ameno. Dove c’è una bella vista, spesso ci sono una bistecca bruciata e un conto bollente.