La Stampa, 23 gennaio 2018
Morire di freddo a Torino a 30 passi dal dormitorio
È la stessa strada che porta a tutte le vite dimenticate. Vestiti marci, escrementi, un libro sui grandi pittori, un pezzo di specchio, del profumo, una lametta da barba, l’ultima confezione di succo di frutta all’albicocca marca «Half». Su una vecchia tavola scardinata e recuperata chissà dove, c’è scritto in rosso: «Non toccare». Dietro quella porta, sul pavimento, le coperte che non sono bastate.
Ieri notte un ragazzo è morto di freddo in un cantiere abbandonato, a trenta passi dall’accampamento della Croce Rossa dentro al parco della Pellerina a Torino. È morto cioè davanti al posto che avrebbe potuto salvarlo. Sono i moduli abitativi dell’emergenza freddo inaugurati nell’inverno del 2004. Sessanta letti ricavati dentro piccoli container, che tutti gli anni appena arriva la primavera vengono smontati e portati via. Ma il ragazzo lì non c’è andato. E loro non sono andati da lui.
Sono passate 12 ore, ancora non sappiamo il suo nome. Da dove venisse con certezza. Non hanno trovato un documento. Dicono soltanto: «Pelle scura, trent’anni, africano». Che è come dire nulla. Ma lontano da qui. «Forse era somalo», dice un ragazzo marocchino che si chiama Adil. Abita la stessa città di fantasmi. Qualcuno cucina una zuppa di lenticchie su un paiolo, e la fiamma viva annerisce il muro. «Stava male da due giorni», racconta Adil. «Non si alzava più dal suo letto. Era malato. Abbiamo chiesto aiuto alla Croce Rossa, ma non sono venuti finché è morto». Ieri mattina alle 8, il medico legale ha scritto nel referto: «Probabile causa del decesso, assideramento».
Si muore ancora di freddo nel 2018 in Italia. È successo in un garage di Rovereto, sotto i portici di Palermo, su una panchina di Verona e alla stazione Tiburtina di Roma. Tre giorni fa, una signora di 61 anni è morta dentro un capannone abbandonato di Moncalieri. E adesso qui. Alla Pellerina, Torino. Dentro un parco dove di giorno i cani scorrazzano felici, le ragazze fanno jogging con la musica nelle orecchie e i pensionati giocano a bocce. Uno di questi, ora sta commentando: «Qui intorno è sempre un gran movimento di gente strana».
Sul cancello di ingresso del centro per l’emergenza freddo c’è un foglio stampato in italiano, in arabo e romeno. Il titolo è: «Progetto umanitario inverno 2017/2018. Norme di comportamento». Dodici regole. La prima: «Il centro di accoglienza notturno apre alle 19 e accoglie fino ad esaurimento posti e comunque non oltre le 23». E poi ancora, una pagina fitta: «Ciascun ospite viene registrato quotidianamente fornendo le proprie generalità e nazionalità. Ogni posto letto è attribuito giornalmente dagli operatori. È assolutamente vietato fumare, mangiare e bere all’interno delle strutture adibite a dormitorio…».
Nella notte fra domenica e lunedì, quando è morto il ragazzo senza nome, nei container c’erano dieci posti vuoti. Fuori la temperatura è scesa a un grado sotto zero. «Da noi non si è presentato», dice il presidente del comitato della Croce Rossa del Piemonte Graziano Giardino. «Sono venuti due ragazzi. Hanno detto che dentro quella catapecchia c’era una persona che stava dormendo. Ma da noi, lui non è venuto. E non si può chiedere ai nostri operatori di andare di notte dentro un posto del genere. È una questione di sicurezza. Noi siamo responsabili del nostro compound». Domanda: chiedete i documenti prima di accettare gli ingressi? «No, non servono. Questo è un campo di emergenza sociale. Registriamo il nome e la nazionalità che ci viene dichiarata dagli ospiti». La polizia sta cercando di capire se ci siano delle responsabilità, se i soccorsi siano scattati in ritardo, mentre lavora per arrivare all’identificazione del ragazzo morto.
La catapecchia, come è stata definita, in realtà è lo scheletro di un cantiere abbandonato da 4 anni. Un edificio di due piani davanti alla piscina comunale Carrara. È dal 2006 che ci sarebbe un progetto di ristrutturazione. Coprire una parte della vasca per renderla utilizzabile anche di inverno, costruire degli spogliatoi nuovi. Ma è tutto fermo. Mancano i soldi. Il Comune e la società di gestione stanno litigando. Resta una fideiussione da 700 mila euro ancora da pagare, e non è chiaro da chi.
Lì in mezzo, fra i muri di cemento di quello spogliatoio mai ultimato, dentro quel pezzo di città schiacciato dalla crisi, da mesi hanno trovato riparo dei senzatetto. Quasi tutti sono migranti. Molti di loro hanno cercato di ricavare una stanza al riparo dagli altri con tende, piccole barriere e travi recuperate nel cantiere.
All’inizio al ragazzo senza nome deve essere sembrata sonnolenza: brividi, tachicardia, disorientamento. Sono i primi sintomi. Il sangue cerca di preservare gli organi vitali. Si concentra sul cuore, ma non riesce più affluire alle mani e ai piedi, che lentamente perdono sensibilità. Poi i riflessi rallentano e le pupille si dilatano. Nessuno sopravvive quando la temperatura del corpo scende sotto i 24 gradi.
Ora sul pavimento c’è una coperta termica. È una di quelle coperte color argento e oro, che i soccorritori danno ai migranti appena sbarcati. La lunga attraversata del ragazzo senza nome è finita a Torino davanti a una piscina vuota.