La Stampa, 23 gennaio 2018
Tornano gli sbarchi ma cambiano le rotte. A gennaio +15%
Dall’inizio dell’anno sono sbarcati in Italia 2.749 migranti, il 14,88% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Lo dicono i dati del ministero dell’Interno. Ed è la prima volta che succede dal luglio scorso. Ma la novità di questo gennaio brucia al Viminale. Così i dati degli sbarchi vengono spacchettati: si sottolinea dunque che 2.195 sono quelli che provengono dalla Libia (l’anno scorso erano stati 2.226); i restanti 749 vengono perlopiù da Turchia e Tunisia.
È soprattutto su queste nuove rotte che si appunta l’attenzione del ministero dell’Interno. L’11 gennaio scorso, per dire, nel porto di Crotone è arrivato un barcone proveniente dalla Turchia con 264 migranti a bordo, di nazionalità siriana, afghana, pakistana e irachena. Il barcone è stato intercettato mentre era in navigazione nello Ionio e costretto a entrare in porto. Due giorni prima, un altro veliero era stato avvistato da un velivolo della Guardia di Finanza nello Ionio: a bordo hanno trovato due scafisti ucraini e 33 migranti di provenienza curda. Pare che la barca li avesse presi a bordo in Grecia e avesse garantito un ingresso facile in Italia. «La pressione migratoria è ovviamente un fatto epocale – spiegano al ministero dell’Interno – e nessuno si illude di avere un rubinetto da aprire e chiudere a nostro piacimento».
A riprova di come siano parzialmente cambiati i flussi, è cambiata anche la tavola delle nazionalità: in questi primi 22 giorni di sbarchi, al primo posto ci sono ora 257 pakistani («Per loro è facilissimo prendere un volo fino a Istanbul, poi si attiva la locale filiera dei trafficanti»), 232 tunisini (concentrati quasi tutti a Lampedusa, dove ci sono stati tafferugli nei giorni scorsi e il sindaco Totò Martello protesterà oggi con il ministro Marco Minniti), 192 libici e poi tutto il resto dell’Africa.
Visto il fenomeno con gli occhi del Viminale, si tratta ora di tamponare la falla. La polizia ha già preso contatto con i colleghi della Turchia, chiedendo più attenzione. La Tunisia garantisce di avere fatto il possibile.
E poi c’è la solita Libia. A giudicare dai numeri, siamo tornati al periodo che precede la “Dottrina Minniti”. «È la conferma che le migrazioni non si fermano con azioni di contenimento – dice Stefano Argenziano, Medici senza Frontiere – l’unica differenza emersa rispetto a un anno fa è che adesso si sa cosa accade nei campi di detenzione libici e che la gente continua a partire nonostante la capacità di intervento delle Ong sia cambiata».
È un fatto però che le partenze dalla Libia hanno avuto un’impennata tra martedì e mercoledì della settimana scorsa, quando 1.671 persone sono state recuperate da navi militari e navi umanitarie, poi sbarcate nei porti siciliani di Catania, Palermo, Augusta, Pozzallo, Messina.
E peraltro nelle statistiche italiane non ci sono nemmeno i «salvataggi» della Guardia costiera libica, quelli fatti nelle acque territoriali della Libia. Secondo i loro comunicati, almeno altri 1.393 migranti in queste prime tre settimane dell’anno sono stati recuperati e riportati indietro, negli infernali centri di detenzione. Salta agli occhi però che la stragrande maggioranza dei barconi sarebbe partita dal porticciolo libico di Gasr Garabulli, ossia Castelverde, a Est di Tripoli. Proprio qui, a Gasr Garabulli, ha raccontato nei giorni scorsi il portavoce della Marina libica, l’ammiraglio Ayob Amr Ghasem, attualmente operano i trafficanti. E siccome il governo Serraj ha avuto i suoi problemi nei giorni scorsi, con una guerra fratricida tra milizie che teoricamente dovrebbero stare dalla stessa parte, si è aperta una crepa nel meccanismo di contenimento da parte libica.
«Possiamo dire con certezza – dice intanto Gerard Canals, della spagnola ProActiva Open Arms – che questo inverno abbiamo fatto salvataggi in ognuna delle missioni di soccorso effettuata, e che i numeri di migranti a bordo di barconi e gommoni sono sempre gli stessi. L’unico problema è che ora viaggiano per più miglia, visto che noi dobbiamo stare lontani dalle acque libiche, e questo aumenta il rischio di naufragi».