Il Sole 24 Ore, 23 gennaio 2018
Bitcoin nella stretta antiriciclaggio
In attesa che economisti ed esperti di teoria monetaria stabiliscano se il bitcoin sia o meno una unità di scambio – e cioè se assolve ai compiti primari della moneta, almeno come siamo abituati a riconoscerli – è sul versante della prassi e dei riflessi applicativi che si sta formando una teoria circa gli algoritmi figli della tecnologia blockchain.
Adempimenti antiriciclaggio e tassabilità delle operazioni di “incrocio” tra moneta reale e virtuale sono i primi tentativi di inquadramento delle criptovalute, terreno su cui l’Italia e più in generale anche l’Europa stanno svolgendo un ruolo pionieristico in assenza di una regolamentazione da parte delle banche centrali.
La valuta virtuale, ammesso che come tale debba essere considerata, è comparsa per la prima volta in un testo normativo nell’aggiornamento del Dlgs 231/2007 nel contesto degli obblighi di prevenzione del rischio riciclaggio che incombono su intermediari (banche, assicurazioni eccetera) e professionisti. Qui il legislatore italiano, declinando le nuove regole sulla IV direttiva europea antiriciclaggio, ha preteso che nel momento in cui la valuta reale prende la via della criptovaluta – cioè al momento dell’acquisto di bitcoin – deve rimanere traccia reale di chi investe nell’algoritmo, cioè prima che si immerga nel mondo molto poco tracciabile delle catene digitali ad espansione continua, qual è la tecnologia delle blockchain.
Perché se resta tutta da provare la funzione “monetaria” delle criptovalute – che ieri sono scese di nuovo come dopo la stretta minacciata da Corea del Sud e Cina e che non possono nemmeno lontanamente competere con i tempi millesimali di transazione garantiti dalle monete classiche – secondo i giudici europei e l’agenzia delle Entrate la transazione madre con cui si “comprano” i bitcoin o gli epigoni è una transazione reale a contenuto economico.
Anche Bruxelles, preso atto che le operazioni in valute virtuali beneficiano di un maggior grado di anonimato rispetto ai classici trasferimenti di fondi, ha inserito nella proposta di modifica alla IV direttiva antiriciclaggio nuove misure per contrastare l’uso di valute virtuali per scopi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Inoltre, per motivi di certezza del diritto viene proposta anche una definizione di valuta virtuale come «la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente» (Dlgs 231/2007).
In questa prospettiva si muove la prima decisione di un giudice italiano. Il Tribunale di Verona ha risolto il caso di investitori che avevano comprato bitcoin versando euro senza però riuscire a vedersi aperto il cosiddetto wallet di moneta virtuale. Il giudice ha qualificato le operazioni di cambio «come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori».Trattandosi di servizi finanziari conclusi a distanza nei confronti di un consumatore, il Tribuale ha ritenuto applicabile il Codice del consumo e i previsti obblighi di informativa nei confronti del cliente, oltre all’esistenza di un documento contrattuale in forma scritta. Il giudice ha poi suggerito di inquadrare la fattispecie nell’«offerta al pubblico di prodotti finanziari» (descritta dall’articolo 1, lettere t) e u), del Dlgs 58/1998) ovvero a quella dei «servizi e attività di investimento» in «valori mobiliari» (ex articolo 1-bis, comma primo, lettere c) e d), nonché comma 5, lettera a), del Dlgs 58/1998), avendosi riguardo a negoziazione per conto proprio di «qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquistare o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere» (ossia azioni e altri titoli equivalenti di società, di partnership eccetera) ovvero di «qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure». Insomma gli spunti per una organica regolamentazione della materia non sembrano mancare.