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 2018  gennaio 22 Lunedì calendario

Zonin & Co. pagheranno mai per i crac bancari?

Dopo due anni e mezzo dall’apertura dell’inchiesta sul crac della Banca Popolare di Vicenza, il 19 gennaio sono arrivati i primi sequestri preventivi agli indagati. L’ufficio vicentino del giudice per le indagini preliminari ha autorizzato il congelamento di 346 mila euro a testa a cinque imputati nell’udienza preliminare sul crac della Popolare di Vicenza, compreso l’ex presidente Gianni Zonin. In tutto parliamo di oltre 1,7 milioni fra disponibilità finanziarie detenute presso intermediari bancari, beni immobili e partecipazioni possedute in imprese. Ovvero 346mila euro a testa all’ex presidente Gianni Zonin, all’ex direttore generale, Samuele Sorato, all’ex consigliere Giuseppe Zigliotto, all’ex vice direttore generale dell’area Finanza, Andrea Piazzetta, e all’ex dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili Massimiliano Pellegrini. La cifra equivale a quanto speso da procura, Guardia di Finanza e tribunale per mandare avanti l’inchiesta [Conti, Grn 20/1].
 
(A differenza di tutti gli altri quotidiani e delle agenzie, su Repubblica del 20/1 Vanni ha scritto che i soldi congelati sono 346mila in totale, non a testa).
 
I soldi – una cifra irrisoria rispetto ai 6 miliardi bruciati dal crollo del titolo dell’istituto nel 2016 – non andranno ai soci danneggiati, ma allo Stato, a copertura delle spese d’indagine. A chiedere il sequestro sono stati i pubblici ministeri della procura di Vicenza titolari del fascicolo, Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori, i quali hanno ravvisato «la fondata ragione» che potessero mancare o si disperdessero le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato in relazione all’inchiesta. Nel decreto firmato dal giudice si fa riferimento al fatto che siano state riscontrate dagli investigatori della Gdf «azioni di trasferimento e dismissione, da parte degli imputati, di proprie disponibilità patrimoniali», rendendo necessari i sequestri [Vanni, Repubblica 20/1].
 
L’Ufficio Studi della Cisl ha calcolato che i top manager della banca vicentina tra il 2005 ed il 2015 hanno incassato stipendi e bonus per 51,6 milioni. «I soldi che gli sono stati sequestrati dal tribunale – sostiene il segretario generale di First Cisl Giulio Romani – corrispondono al 34% del milione abbondante di euro che Zonin ha incassato nel 2015 come ultimo stipendio in Popolare di Vicenza. Nel 2014 si era concesso 1,1 milioni [Ansa 21/1].
 
 
Il processo
Il 12 dicembre è iniziata in Tribunale l’udienza preliminare al termine della quale il Gup dovrà decidere se accogliere le richieste di processo o prosciogliere gli imputati. Le prossime udienze sono state fissate per il 27 gennaio e per il 3 febbraio [Mandurino, S24 20/1].
 
Nell’udienza preliminare a carico degli ex vertici della Popolare di Vicenza – nel frattempo messa in liquidazione a spese dello Stato, con sportelli e attività rilevati da Intesa Sanpaolo – hanno presentato richiesta di costituzione di parte civile 5 mila soci, oltre a Banca d’Italia [Vanni, cit.]
 
Il procedimento vede indagata la stessa banca oltre a Zonin e a cinque ex manager. I reati contestati sono aggiotaggio, per la supervalutazione dell’azione della Popolare negli anni fino al 2015, e ostacolo alla vigilanza bancaria, in riferimento alle «operazioni baciate» con cui nel 2013 e 2014 la Popolare si è ricapitalizzata per un miliardo. In pratica, l’istituto ha rafforzato il proprio patrimonio vendendo titoli ai soci che chiedevano credito, registrando a bilancio i soldi che entravano in cassa e non quelli che uscivano [Conti, cit.]
 
Spiega Vanni su Repubblica che i sequestri del 19 gennaio scorso «seguono il fallimento di un’iniziativa ben più coraggiosa tentata dalla procura di Vicenza nel maggio scorso, ma stoppata dal giudice per le indagini preliminari cittadino. Ai pm, che chiedevano il sequestro di 106 milioni agli indagati, il gip rispose che per competenza parte del fascicolo (l’ostacolo alla vigilanza di Consob) dovesse essere trasferito alla procura di Milano. Un mese fa, la cassazione ha stabilito che l’inchiesta debba restare tutta a Vicenza. Intanto, però, il sequestro milionario non si è fatto».
 
Zonin ha già ricevuto una multa della Consob da 370mila euro per illeciti nella vendita di azioni alla clientela, negli anni d’oro in cui la Popolare quotava il titolo 62,50 euro. La Popolare di Vicenza, dal canto suo, nell’aprile 2017 ha presentato al tribunale di Venezia un atto di citazione in cui chiede all’imprenditore e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2 miliardi di euro [Conti, cit.]. 
 
Intanto, sul fronte della gestione dei due fallimenti bancari veneti (il secondo riguarda Veneto Banca), dovrebbe aprirsi a breve in Veneto due uffici per la gestione dei crediti difficili, quei 18 miliardi tra sofferenze e crediti deteriorati relativi a famiglie, ditte individuali e imprese, rimasti senza soluzioni [Mandurino, cit.].
 
 
Zonin
Gianni Zonin, presidente della Popolare di Vicenza per 19 anni e creatore del gruppo vinicolo che porta il suo nome, che ha nove tenute in Italia e una in Virginia (Usa), 200 milioni di fatturato e vende vino in 100 paesi del mondo, risulta possessore di un «piccolo» terreno nella sua Gambellara e di un immobile di «modesta estensione» in Toscana. Oltre a 51.920 azioni della vecchia Popolare, praticamente prive di valore. Tutto il resto – immobili, palazzi, tenute e vigneti sparsi per l’Italia e nel mondo – è stato intestato alla moglie e ai figli. La Gianni Zonin Vineyards sas e la Zonin Giovanni sas, le accomandite personali sono finite ai figli. Alienato anche il 5,38% della Casa vinicola Zonin spa, mentre alla moglie è andato il 2% di Tenuta Rocca di Montemassi che già possedeva il 98% [Paolucci, Sta 20/1].
 
Ha ricordato Vanni su Repubblica: «La prima volta che la magistratura si è occupata degli immobili di casa Zonin è stato nel 2001. La procura vicentina indagò sui prestiti concessi nel 1999 dalla Popolare alla Querciola Srl diretta da Silvano Zonin, uno dei sette fra fratelli e sorelle di Gianni. L’istituto avrebbe pagato affitti eccessivi, con danno per i soci. L’allora procuratore capo di Vicenza, Antonio Fojadelli, chiese l’archiviazione. Anni dopo, lasciata la magistratura, sarà nominato nel cda della Nordest Merchant, banca d’affari della Popolare. Da allora Zonin è uscito indenne da una seconda inchiesta, aperta a Vicenza nel 2008 e poi archiviata, nata da una denuncia di Adusbef per “azionisti costretti a diventare tali con metodi estorsivi, pena la mancata concessione di prestiti, mutui, fidi”. Dopo quel primo incidente con l’immobiliare del fratello, il rapporto fra banca e affari di famiglia non si è interrotto. Un flusso di denaro continuo, ma via via meno corposo. La casa vinicola oggi ha prestiti dalla Popolare per 15 milioni. Altri 12,5 milioni sono stati affidati alla società che detiene i terreni. Poca cosa, va detto, rispetto al credito concesso alle aziende da Intesa, Mps e Unicredit. Se lo Zonin banchiere con i soldi dei soci (fra cui se stesso, titolare di azioni per 24 milioni) è stato condottiero spregiudicato, l’azienda di famiglia l’ha sempre gestita in economia».
 
 
Gli altri indagati per la Pop Vicenza
Oltre a Zonin, altri quattro indagati per il crac di Vicenza si sono liberati in vario modo i loro patrimoni nel tentativo di sottrarli alle richieste risarcitorie della banca e dei soci. Solo per due indagati (i vice direttori generali Paolo Marin e Emanuele Giustini) il gip ha ritenuto di non dover procedere con i sequestri in quanto non sono stati movimenti nei patrimoni personali negli ultimi due anni. Spiega Paolucci sulla Stampa: «Andrea Piazzetta, vice dg per l’area finanza, risulta proprietario di un garage a Milano e di una quota di una società in liquidazione. A giugno del 2015, subito dopo la sua uscita, ha donato il proprio patrimonio immobiliare a un trust che ha sede in Nuova Zelanda e venduto il 100% della sua società di consulenza, Kernel Consulting, alla moglie. Il caso più eclatante è quello di Pellegrini. Che per due anni non ha fatto nulla e poi, poco prima del Natale scorso, mentre i finanziari stavano ricostruendo le proprietà degli indagati, ha venduto il 14% che aveva nella Stia srl incassando 703 mila euro. E utilizzato una parte di questi (443 mila euro) per comprare oro preso un Banco metalli.  Zigliotto, ex consigliere della Popolare ed ex presidente di Confindustria Vicenza, risulta proprietario del 33% della Salin Immobiliare e delle quote di altre due srl già sottoposte a pignoramento. Nel corso del 2016 ha donato il suo intero patrimonio immobiliare al suo compagno (una villa e dei terreni a Longare) e alla ex moglie (un’abitazione e un magazzino a Ravenna). Poi, sempre nel corso del 2016, ha aperto un conto in Svizzera dove ha trasferito 1,3 milioni di euro prima depositati presso una banca italiana».

E i risparmiatori?
Sembra difficile al momento che i 120mila risparmiatori della Popolare di Vicenza possano ottenere una qualche forma di rimborso dai patrimoni personali degli ex vertici della banca.
Sentito dalla commissione bicamerale sulle banche, lo scorso 29 ottobre, il Procuratore della Repubblica di Vicenza Antonio Cappelleri ha spiegato che «la Banca Popolare di Vicenza è stata svuotata di qualunque sostanza effettiva» e che già nel 2015, quando scoppiò lo scandalo, «chiedemmo il sequestro del patrimonio dei vertici della Popolare, ma il gip lo negò». Un cavillo giuridico che permise a Zonin, Sorato e a tutti gli altri di evitare di mettere in gioco il loro patrimonio personale. 
Andò così, ha raccontato Sunseri su Libero: «Il gip dopo avere studiato per quattro mesi il fascicolo, si dichiarò incompetente per territorio. Trasmise gli atti a Milano, ritenendo che lì si fosse consumato il reato di ostacolo alla vigilanza nei confronti di Consob. Un passaggio apparentemente senza senso, visto che la Consob ha sede a Roma. Risultato: provvedimento bloccato. I pm di Milano rinviarono le carte all’ufficio gip, dichiarandosi a loro volta incompetenti. A decidere doveva essere la Cassazione.Tanto girare di carte tra i diversi tribunali italiani è stato fondamentale per Zonin e compagnia. Hanno potuto occultare il loro patrimonio personale lasciando i creditori a bocca asciutta. Gli azionisti dovranno accontentarsi del 28% di rimborso messo a disposizione dalla banca prima di essere assorbita da Banca Intesa insieme a Veneto Banca. Per il resto non vedranno un soldo. Anche su questo Cappelleri ha strappato ogni illusione. Ha spiegato che i creditori possono aggredire solo la bad bank: vale a dire la carcassa della Popolare che Intesa non ha voluto. La polpa, invece, è finita all’istituto guidato da Carlo Messina. A proteggere il passaggio c’è il decreto approvato a tutta velocità dal governo all’indomani della transazione. Risultato? I risparmiatori non vedranno un centesimo».
 
Eppure lunedì 22 gennaio si è venuto a sapere che i commissari liquidatori della Banca Popolare di Vicenza (Fabrizio Viola, Giustino Di Cecco e Claudio Ferrario) hanno fatto partire le prime azioni revocatorie verso gli ex vertici con l’obiettivo di ricostruire l’integrità del patrimonio degli ex vertici, così da permettere alla liquidazione, in caso di vittoria nelle azioni di responsabilità e risarcitorie, di veder soddisfatte almeno in parte le proprie pretese. I commissari liquidatori hanno anzitutto chiesto la revoca di due patti di famiglia con cui Zonin ha ceduto ai figli Domenico, Francesco e Michele la piena proprietà del 26,9% e i diritti di usufrutto sul 23% del capitale della «Gianni Zonin Vineyards sas di Giovanni Zonin&C» e il 38,5% della «Zonin Giovanni S.a.s», holding dell’impero vitivinicolo del banchiere. Un’altra revocatoria è stata notificata all’ex presidente di Confindustria Vicenza, Giuseppe Zigliotto, per il conferimento di un immobile in un fondo patrimoniale. Mentre due revocatorie sono state indirizzate all’ex consigliera Macola per i conferimenti delle quote nella società Turistica Partecipazioni, nella società Agricola Partecipazioni e nella Società agricola Bonsembiante di Maria Carla Macola C [Ansa 22/1].
 
Com’è andato il salvataggio delle banche venete
Lo scorso 25 giugno il governo Gentiloni ha approvato un decreto che prevedeva la procedura particolare di liquidazione coatta amministrativa per Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, salvando quei due istituti dall’insolvenza. Banca Intesa ha acquistato la parte sana delle banche per un prezzo simbolico di un euro, mentre lo stato si è fatto carico della cosiddetta bad bank. Esborso dell’erario per convincere Intesa a San Paolo a sacrificarsi: 4,7 miliardi. Intesa aveva imposto al governo che il decreto, pieno di clausole in deroga alla legge fallimentare, venisse varato dal Parlamento senza il cambiamento di una virgola rispetto ai patti. Il Parlamento, poco consapevole della propria dignità, ha approvato senza fiatare [Dell’Arti, Gds 26/6].
 
Il costo esatto di quest’operazione per i contribuenti sarà chiaro probabilmente solo tra molto tempo. Per il momento lo Stato ha dato 4,7 miliardi di euro a Intesa San Paolo, che serviranno sostanzialmente a mantenere inalterati i suoi indici patrimoniali dopo essersi presa le attività della parte buona delle due banche (alcuni notano che si tratta di un grosso favore a Intesa, già oggi una delle banche più solide d’Italia ed Europa). Altri 12 miliardi di euro per il momento sono garanzie di vario genere emesse sempre dallo Stato: non è detto che saranno spesi [il Post 26/6].

Il salvacondotto del governo per i banchieri
Va poi ricordato che il decreto approvato lo scorso giugno salvando i due istituti dall’insolvenza esclude di fatto un’azione penale per bancarotta fraudolenta nei confronti degli ex amministratori, in testa Gianni Zonin e Vincenzo Consoli. Un sostanziale salvacondotto agli ex amministratori che hanno gestito quegli istituti di credito portandoli al crac. Ha spiegato Bechis su Libero: «Da cosa deriva l’immunità penale per Zonin, Consoli e gli altri ex amministratori delle venete? Dalla struttura stessa dell’operazione scelta, che ha portato a non registrare nella contabilità delle due vecchie banche il debito per i 17 miliardi circa di Npl ceduti alla bad bank. È vero che nelle vecchie banche così non ci sarà più patrimonio, ma nemmeno debito, scongiurando in questo modo lo stato di insolvenza accertato che avrebbe aperto le porte alle azioni penali per bancarotta fraudolenta. Probabilmente questa strada è stata scelta anche per garantire l’immunità da questo rischio all’ultimo amministratore delegato della stessa Vicenza, l’ex ad del Monte dei Paschi di Siena Fabrizio Viola, che ora è stato nominato dalla Banca di Italia come membro di entrambi gli organi liquidatori di Veneto Banca e Popolare di Vicenza». 
 
Dove sono i banchieri responsabili dei crac?
Che fine hanno fatto i responsabili dei fallimenti e delle grandi crisi bancarie? In generale non se la passano male. Certo, la reputazione è ormai bruciata e per molti di loro non è semplice farsi vedere in giro con il rischio di incrociare i risparmiatori traditi. Ma nessuno è in prigione. Cause, richieste di danni e processi sono però solo all’inizio. Scrive Camilla Conti sul Grn: «Giuseppe Mussari va a cavallo con l’amico Aceto e cucina per gli amici nella villa di proprietà della moglie Luisa a due passi da Siena; il suo braccio destro Antonio Vigni fa il coltivatore diretto nella sua tenuta a Castelnuovo Berardenga, sempre sulle colline del Chianti. Meno ruspanti i pomeriggi del patron – per quasi vent’anni – di Pop Vicenza, Gianni Zonin che la scorsa estate è stato fotografato con la moglie in via Montenapoleone a Milano mentre faceva shopping con un tempismo perfetto, ovvero a poche ore dal decreto salva-venete».

(a cura di Luca D’Ammando)