22 gennaio 2018
APPUNTI SU BANCHIERI TRUFFATORI PER OGGI
CAMILLA CONTI, IL GIORNALE 20/1 –
Scattano i sequestri delle Fiamme Gialle a cinque imputati nell’udienza preliminare sul crac della Popolare di Vicenza, compreso l’ex presidente Gianni Zonin. In tutto parliamo di oltre 1,7 milioni fra disponibilità finanziarie detenute presso intermediari bancari, beni immobili e partecipazioni possedute in imprese. Ovvero 346mila euro a testa all’ex presidente Gianni Zonin, all’ex direttore generale, Samuele Sorato, all’ex consigliere Giuseppe Zigliotto, all’ex vice direttore generale dell’area Finanza, Andrea Piazzetta, e all’ex dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili Massimiliano Pellegrini. «Non conosciamo ancora i dettagli di questo sequestro perchè non ci è stato ancora notificato. Ma non c’è nessun problema, il dottor Zonin non ha fatto altro che pagare debiti in questi anni e non ci saranno certo problemi a depositare una somma se necessario», ha detto Enrico Ambrosetti, avvocato difensore dell’ex presidente della popolare vicentina. «Ovviamente vogliamo ora anche capire di cosa si tratta, ho sentito anche poco fa il dottor Zonin e anche lui ha letto siamo qui. Appena conosceremo gli estremi di questa decisione prenderemo contatto con la Procura e depositeremo la somma richiesta a garanzia». I sequestri sono stati eseguiti a Vicenza, Milano, Treviso, Padova, Venezia, Roma e Siena. Le somme non potranno essere usate per rimborsare i soci danneggiati perchè andranno in gran parte a coprire le spese relative al procedimento giudiziario affrontate finora. La Procura di Vicenza ha infatti ravvisato «la fondata ragione» che potessero mancare o si disperdessero le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato in relazione all’inchiesta. Nel decreto firmato dal giudice si fa riferimento al fatto che siano state riscontrate dagli investigatori della Gdf «azioni di trasferimento e dismissione, da parte degli imputati, di proprie disponibilità patrimoniali», rendendo necessari i sequestri. Il 12 dicembre è iniziata in Tribunale l’udienza preliminare al termine della quale il Gup dovrà decidere se accogliere le richieste di processo o prosciogliere gli imputati. Le prossime udienze sono state fissate per oggi, per il 27 gennaio e per il 3 febbraio. Zonin ha già ricevuto una multa della Consob da 370mila euro per illeciti nella vendita di azioni alla clientela, negli anni d’oro in cui la Popolare quotava il titolo 62,50 euro. Un valore polverizzato quando il meccanismo delle operazioni «baciate» è venuto alla luce. La banca, dal canto suo, nell’aprile 2017 ha presentato al tribunale di Venezia un atto di citazione in cui chiede all’imprenditore e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2 miliardi. Oggi l’ex patron della Vicenza risulta quasi «nullatenente»: dal 20 gennaio 2016 aziende e vigne della Zonin 1821 appartengono ai tre figli. Nove tenute in Italia, per 2mila ettari coltivati a vite, una in Virginia, negli Usa. Tutto intestato agli eredi con un passaggio generazionale che sicuramente era stato già previsto in tempi non sospetti, ma di certo lo ha messo al riparo dalle tempeste giudiziarie.
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GIANLUCA PAOLUCCI, LA STAMPA 20/1 –
Gianni Zonin, presidente della Popolare di Vicenza per 19 anni e creatore del gruppo vinicolo che porta il suo nome, che ha 200 milioni di fatturato e vende vino in 100 paesi del mondo, risulta possessore di un «piccolo» terreno nella sua Gambellara e di un immobile di «modesta estensione» in Toscana. Oltre a 51.920 azioni della vecchia Popolare, praticamente prive di valore. Tutto il resto è stato intestato alla moglie e ai figli. E tutto il resto significa immobili, palazzi, tenute e vigneti sparsi per l’Italia e nel mondo. La Gianni Zonin Vineyards sas e la Zonin Giovanni sas, le accomandite personali sono finite ai figli. Alienato anche il 5,38% della Casa vinicola Zonin spa, mentre alla moglie è andato il 2% di Tenuta Rocca di Montemassi che già possedeva il 98%.
«La gran parte del patrimonio dell’imputato è stato quindi ceduto ai familiari nell’arco di un biennio e tale attività dismissiva (...) concretizza il pericolo che, in caso di condanna, l’imputato non disporrebbe delle garanzie sufficienti a coprire il credito vantato dall’erario per le spese del procedimento», scrive il gip di Vicenza nel decreto che ha autorizzato il sequestro di 346 mila euro ai danni dell’ex numero uno della Bpvi. Analogo provvedimento è stato eseguito ieri contro altri quattro dei sette indagati nel procedimento in corso a Vicenza sul crac della vecchia popolare, attualmente nella fase dell’udienza preliminare per il quale oggi è prevista una nuova udienza
Si tratta dell’ex direttore generale Samuele Sorato, del vice dg Andrea Piazzetta, del responsabile della redazione dei documenti societari Massimiliano Pellegrini e dell’ex consigliere Giuseppe Zigliotto. Per altri due indagati (i vice direttori generali Paolo Marin e Emanuele Giustini) il gip ha ritenuto di non dover procedere con i sequestri in quanto non sono stati movimenti nei patrimoni personali nelgi ultimi due anni. Un totale di 1,7 milioni di euro, un granello di sabbia nella voragine della banca vicentina che ha fatto letteralmente sparire oltre 5 miliardi di euro di 120 mila soci. Soldi che però non andranno a risarcire i soci, come hanno chiesto ieri le associazioni dei risparmiatori, ma serviranno appunto a coprire le spese processuali in caso di condanna.
Anche perché a liberarsi del patrimonio non è stato solo Zonin. Andrea Piazzetta, vice dg per l’area finanza, risulta proprietario di un garange a Milano e di una quota di una società in liquidazione. A giugno del 2015, subito dopo la sua uscita, ha donato il proprio patrimonio immobiliare a un trust che ha sede in Nuova Zelanda e venduto il 100% della sua società di consulenza, Kernel Consulting, alla moglie. Il caso più eclatante è quello di Pellegrini. Che per due anni non ha fatto nulla e poi, poco prima del Natale scorso, mentre i finanziari stavano ricostruendo le proprietà degli indagati, ha venduto il 14% che aveva nella Stia srl incassando 703 mila euro. E utilizzato una parte di questi (443 mila euro) per comprare oro preso un Banco metalli.
Zigliotto, ex consigliere della Popolare ed ex presidente di Confindustria Vicenza, risulta proprietario del 33% della Salin Immobiliare e delle quote di altre due srl già sottoposte a pignoramento. Nel corso del 2016 ha donato il suo intero patrimonio immobiliare al suo compagno (una villa e dei terreni a Longare) e alla ex moglie (un’abitazione e un magazzino a Ravenna). Poi, sempre nel corso del 2016, ha aperto un conto in Svizzera dove ha trasferito 1,3 milioni di euro prima depositati presso una banca italiana.
Zonin, tramite il suo avvocato, ha già fatto sapere di «non aver fatto altro che pagare debiti in questi anni» e di essere disponibile a depositare una somma garanzia delle spese in caso di condanna.
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Pop.Vicenza: Cisl, sequestro ’goccia’ a fronte 51 mln a vertici
Romani, 346 mila euro solo 34% di compensi di 1 anno per Zonin (ANSA) - ROMA, 21 GEN - "Una goccia nel mare dei suoi faraonici compensi da presidente della Popolare di Vicenza, ecco cosa sono i 346 mila euro sequestrati a Zonin. Adesso la politica ci spieghi perché non ha mai frenato le scandalose retribuzioni dei vertici delle banche". Lo afferma in una nota il segretario generale di First Cisl, Giulio Romani, illustrando l’analisi dell’Ufficio Studi del sindacato sulle retribuzioni dei top manager della banca vicentina che elenca compensi ed emolumenti per 51,6 milioni in 10 anni tra il 2005 ed il 2015. "I soldi che gli sono stati sequestrati dal tribunale - aggiunge Romani - corrispondono al 34% del milione abbondante di euro che Zonin ha incassato nel 2015 come ultimo stipendio in Popolare di Vicenza. Nel 2014 si era concesso 1,1 milioni. In entrambi i casi la cifra era attorno al 20% dei compensi totali degli amministratori. Prima non sappiamo quanto abbia preso, perché i bilanci non erano tenuti a dichiararlo ma non ci stupiremmo se i compensi del suo ultimo biennio fossero solo una minima parte di quelli che ha ricevuto complessivamente".(ANSA). PAT-DOA 21-GEN-18 15:02 NNNN
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FRANCO VANNI, LA REPUBBLICA 20/1 –
Dopo due anni e mezzo dall’apertura dell’inchiesta sul crac della Banca Popolare di Vicenza, arrivano i primi sequestri preventivi agli indagati. L’ufficio vicentino del giudice per le indagini preliminari ha autorizzato il congelamento di 346 mila euro in totale, presso i conti e i depositi titoli di Gianni Zonin - per 19 anni presidente dell’istituto fino al novembre 2015 - e di altri quattro ex manager. La cifra equivale a quanto speso da procura, Guardia di Finanza e tribunale per mandare avanti l’inchiesta. I soldi - una cifra molto più bassa di quella di 1,7 milioni circolata ieri e irrisoria rispetto ai 6 miliardi bruciati dal crollo del titolo dell’istituto nel 2016 - non andranno ai soci danneggiati, ma allo Stato, a copertura delle spese d’indagine.A chiedere il sequestro sono stati i pubblici ministeri della procura di Vicenza titolari del fascicolo, Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori. Il procedimento, arrivato all’udienza preliminare, vede indagata la stessa banca oltre a Zonin e a cinque ex manager. I reati contestati sono aggiotaggio, per la supervalutazione dell’azione della Popolare negli anni fino al 2015, e ostacolo alla vigilanza bancaria, in riferimento alle “ operazioni baciate” con cui nel 2013 e 2014 la Popolare si è ricapitalizzata per un miliardo. In pratica, l’istituto ha rafforzato il proprio patrimonio vendendo titoli ai soci che chiedevano credito, registrando a bilancio i soldi che entravano in cassa e non quelli che uscivano. I sequestri di ieri - gli unici consentiti dal codice, a questo punto - seguono il fallimento di un’iniziativa ben più coraggiosa tentata dalla procura di Vicenza nel maggio scorso, ma stoppata dal giudice per le indagini preliminari cittadino. Ai pm, che chiedevano il sequestro di 106 milioni agli indagati, il gip rispose che per competenza parte del fascicolo ( l’ostacolo alla vigilanza di Consob) dovesse essere trasferito alla procura di Milano. Un mese fa, la cassazione ha stabilito che l’inchiesta debba restare tutta a Vicenza. Intanto, però, il sequestro milionario non si è fatto. Nell’udienza preliminare a carico degli ex vertici della Popolare di Vicenza - nel frattempo messa in liquidazione a spese dello Stato, con sportelli e attività rilevati da Intesa Sanpaolo - hanno presentato richiesta di costituzione di parte civile 5 mila soci, oltre a Banca d’Italia. Nuove udienze sono fissate oggi, sabato prossimo e il 3 febbraio. Fra due settimane, in sede civile, si aprirà un procedimento per valutare la solvibilità dell’istituto, al cui esito la procura vicentina potrebbe decidere di aprire anche un fascicolo per bancarotta.
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KATY MANDURINO, IL SOLE 24 ORE 20/1 –
Mentre è di recente memoria l’interrogatorio di Gianni Zonin davanti alla Commissione parlamentare sulle banche - solo poche settimane fa - in cui l’ex banchiere, ventennale presidente della Banca Popolare di Vicenza della cui vita è stato regista indiscusso, ha esposto le ragioni della sua autoassoluzione, si aggiunge, sul fronte del procedimento processuale, un nuovo elemento.
Ieri mattina la Guardia di Finanza di Vicenza ha eseguito nei confronti di Gianni Zonin, imputato nell’ambito dell’inchiesta penale sul fallimento dell’istituto vicentino (ora in fase di udienza preliminare), un sequestro conservativo, relativo a disponibilità finanziarie detenute in intermediari bancari, ma anche a beni immobili e mobili di proprietà e a partecipazioni in imprese. Il provvedimento non riguarda solo l’ex presidente della BpVi, ma anche l’ex direttore generale Samuele Sorato, l’ex responsabile della Divisione Finanza Andrea Piazzetta, l’ex dirigente preposto alla redazione del bilancio Massimiliano Pellegrini e l’ex membro del cda (e ex presidente di Confindustria Vicenza) Giuseppe Zigliotto. Rilevante la motivazione addotta dalla Procura vicentina, che ha chiesto il sequestro: «Per effetto dell’avvenuta rilevazione - cita la nota diffusa dalla stessa Guardia di Finanza -, a seguito di approfondimenti sviluppati dalle Fiamme Gialle, di azioni di trasferimento e dismissione, da parte degli imputati, di proprie disponibilità patrimoniali, la Procura della Repubblica ha ravvisato la fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato in relazione all’inchiesta penale in argomento». Di conseguenza, il giudice dell’udienza preliminare Roberto Venditti ha disposto i sequestri conservativi - che sono stati eseguiti dai finanzieri a Vicenza, Milano, Treviso, Padova, Venezia, Roma e Siena - per un importo di oltre 346mila euro per ciascun imputato, quindi complessivamente per 1,75 milioni. La cifra è stata calcolata come ipotesi di copertura delle spese processuali e potrà essere utilizzata, nella parte residuale, per risarcire i risparmiatori danneggiati, anche se si tratterà di somme minime rispetto al danno complessivo subìto. Si tratta del primo sequestro conservativo che viene effettuato nei confronti di ex membri della Popolare di Vicenza.
Intanto, sul fronte della gestione dei due fallimenti bancari veneti (il secondo riguarda Veneto Banca), dovrebbe concretizzarsi a giorni l’apertura in Veneto di due uffici per la gestione dei crediti difficili, quei 18 miliardi tra sofferenze e crediti deteriorati relativi a famiglie, ditte individuali e imprese, rimasti in una situazione di empasse. Una nota del sindacato Fabi comunica che «su una platea di circa 120 colleghi, tra ex Veneto Banca e ex Banca Popolare di Vicenza, per ora sono stati individuati 64 colleghi già contattati per il distacco fino a dicembre 2018», che lavoreranno con la Sga a Vicenza e a Montebelluna.
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GIUSEPPE PIETROBELLI, ILFATTOQUOTIDIANO.IT 21/1 –
Associazioni di risparmiatori e avvocati chiedevano i sequestri da qualche anno, non fosse altro per il rischio che i beni personalidegli ex vertici della Banca Popolare di Vicenza si volatilizzassero. Adesso che la Procura della Repubblica ha ottenuto dal Tribunale i primi congelamenti di beni, titoli e conti correnti di cinque imputati del procedimento che sono nella fase dell’udienza preliminare, si scopre che certe preoccupazioni erano fondate. Gli indagati avrebbero infatti cercato di trasferire le risorse alla moglie o ai figli, in qualche caso a persone di cui si fidano o attraverso conti esteri. Uno di loro stava per acquistarelingotti d’oro, facilmente reperibili a Vicenza che è una della capitali italiane del commercio del metallo prezioso. Se li sarebbe portati via con uno zainetto.
L’ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, imprenditore vitivinicolo, è uno dei più bersagliati dai risparmiatori visto che nella banca faceva il bello e il cattivo tempo, anche se ora si dice essere stato all’oscuro delle decisioni operative. Il giudice scrive: “La grande parte del patrimonio dell’imputato è statoceduto ai familiari nell’arco di un biennio, e tale attività dismissiva (…) concretizza il pericolo che, in caso di futura condanna, l’imputato non disponga delle garanzie sufficienti a coprire il credito vantato dall’erario per le spese di procedimento”. Zonin ha scelto la strada della donazione del patrimonio immobiliare (in due occasioni nel 2016) a favore di un figlio e della moglie. I finanzieri hanno scoperto la cessione alla consorte del 2 per cento di Tenuta Rocca di Montemassi Srl (il restante 98% è già della signora), e ai figli del 5,38 per cento di Casa Vinicola Zonin spa, nonché e delle partecipazioni in due società del gruppo, la Zonin Giovanni sas e la Gianni Zonin Vineyards. Non si tratta di bruscolini, ma di partecipazioni dal valore che si aggira sui 10 milioni di euro. Cosa rimane nella disponibilità dell’ex presidente dell’istituto vicentino? Un terreno a Gambellara, azioni della Popolare con cui al massimo può comperarsi una pizza e qualche quota di società minori.
Anche l’ex direttore generale dell’istituto Samuele Sorato ha ceduto alla moglie la metà di due immobili (ma ha tenuto per sé il diritto d’uso). E’ ugualmente possessore di tre case. Il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Vicenza ha però scoperto che nel 2016 ha trasferito titoli per 2 milioni di euro a un mandato fiduciario intestato ai figli minorenni, che ha poi avuto come destinatario finale un intermediario in Svizzera. Un altro milione di euro è stato infine versato, attraverso tracciabilissimi bonifici, alla moglie. Anche l’ex presidente degli Industriali vicentini ed ex componente del consiglio di amministrazione di PopVicenza, Giuseppe Zigliotto, ha giocato d’anticipo nel 2016 quando la proprietà di una villa e alcuni terreni sono stati donati a una persona di sua conoscenza. Anche nel suo caso un punto di riferimento è la moglie, che ha ricevuto in regalo due unità immobiliari a Ravenna. Contemporaneamente 1,3 milioni di euro hanno preso la via della Svizzera, in una banca del Canton Ticino. Nel 2017 ha invece acquistato le quote di una società immobiliare per 600mila euro.
Il più previdente però è stato il quarto indagato, l’ex vicedirettore generale della banca, Andrea Piazzetta. Le sue operazioni sono avvenute addirittura nel 2015 attraverso la donazioni di immobili che si trovano in provincia di Treviso a un trust con sede ad Auckland in Nuova Zelanda, il cui rappresentante legale è Mario Gesuè. Si tratta di un finanziere piuttosto noto che opera a Londra e che tra l’altro gestisce gli affari di calciatori di serie A. Anche qui spunta la moglie, che ha ricevuto tutte le quote di una società di consulenza del marito. Chiude la lista Massimiliano Pellegrini, il dirigente della banca che si occupava dei documenti contabili. Appena un mese fa ha ceduto una partecipazione societaria per circa 700mila euro. I finanzieri sono intervenuti quando hanno scoperto che si era rivolto a un compro oro per acquistare lingotti per un valore di circa 400mila euro. Il ritiro sarebbe avvenuto “con uno zainetto”. Il che faceva pensare all’intenzione di un trasporto immediato all’estero.
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FUBINI E SARZANINI, CORRIERE DELLA SERA 20/11/2017 –Donazioni per occultare i beni. E trasferimenti di proprietà, spostamenti di immobili: così gli ex vertici della Popolare di Vicenza hanno provato a mettere al sicuro i propri beni. Probabilmente invano. Perché proprio il ritardo nel cercare di proteggersi fa sì che i loro immobili siano «aggredibili», dunque che potrebbero essere utilizzati per risarcire i risparmiatori truffati da chi ha portato al dissesto l’istituto di credito. Finora l’unica istanza presentata dai magistrati per il «blocco» preventivo di 104 milioni di euro non è stata accolta dal giudice.
ROMA Trasferimenti di proprietà, donazioni, spostamenti di immobili e quote in fondi patrimoniali: così gli ex vertici della Popolare di Vicenza hanno provato a mettere al sicuro i propri beni. Ma la maggior parte di loro lo ha fatto tardi, quasi in un riflesso di panico quando l’inchiesta era cominciata e il tracollo già evidente. Tra il 2015 e il 2017, mentre i magistrati ordinavano perquisizioni e sequestri e la Guardia di Finanza spulciava nei bilanci alla ricerca delle operazioni sospette, i componenti del Cda si occupavano di occultare case e terreni.
Le mosse tardive
E questo apre nuovi scenari, perché proprio il ritardo nel cercare di proteggersi fa sì che i loro immobili siano «aggredibili», dunque che potrebbero essere utilizzati per risarcire i risparmiatori truffati proprio da chi ha portato al dissesto l’istituto di credito. Finora l’unica istanza presentata dai magistrati per il «blocco» preventivo di 104 milioni di euro non è stata accolta dal giudice, mentre non risulta che analoghe richieste siano state depositate nell’ambito delle azioni di responsabilità avviate contro gli ex amministratori. Per questo bisognerà capire se sono il segno di spregiudicatezza, scarso acume o convinzione degli amministratori di essere intoccabili. E perché i liquidatori, in rappresentanza dello Stato, non abbiano ancora chiesto, come si fa normalmente in questi casi, i sequestri cautelativi dei beni.
Blitz e donazioni
Il 22 settembre del 2015 l’indagine guidata dal procuratore Antonino Cappelleri per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza, viene svelata con una perquisizione nella sede della banca e l’iscrizione nel registro degli indagati del presidente Gianni Zonin. Tre mesi dopo cominciano le «dismissioni». Il 4 dicembre 2015 il consigliere Marino Breganze – dopo essersi disfatto delle abitazioni che possiede a Verona – vende con due rogiti distinti tutti i terreni dei quali era proprietario nella stessa provincia. Il 23 di quello stesso mese un altro consigliere, Andrea Monorchio, dona ai figli i beni che possiede a Roma. Il giorno successivo – quasi ci sia stato un tam tam – Breganze trasferisce ai figli una parte dei beni che possiede a Vicenza. L’11 dicembre Gianfranco Pavan vende un immobile alla Usl di Vicenza. Il 30 dicembre tocca a Maurizio Stella: beneficiari del patrimonio sono i figli e la moglie anche se in questo caso si riserva il diritto di usufrutto.
Avvisi e dismissioni
Nel giugno 2016 i magistrati compiono altri atti istruttori. Molte proprietà degli amministratori sono già passate di mano. Il 1 gennaio di quell’anno Gianni Zonin dona al figlio una parte dei beni con diritto di abitazione, mentre il 13 maggio cede la restante parte alla consorte. Più articolata la scelta del consigliere Giorgio Colutta che il 26 febbraio costituisce un fondo patrimoniale con «vincolo per fini meritevoli» in favore della moglie e dei figli e tre giorni dopo, con un altro atto, conferisce alla società di famiglia gli altri immobili. Il più tempestivo, dunque oggi il più protetto, è Giovanni Dossena, che già nel 2013 – ben prima delle inchieste – ha fatto confluire i propri beni in un fondo patrimoniale costituito nel 2002, il 18 febbraio 2016 concede una ipoteca volontaria a favore di Mps – superiore al valore del mutuo – come garanzia di un finanziamento da 200 mila euro. Molto attiva è anche Maria Carla Macola: il 16 marzo dello scorso anno dona le proprietà che ha a Belluno; con due rogiti – 16 marzo e 18 maggio 2016 – dona ai figli gli appartamenti che possiede a Padova riservandosi il diritto di abitazione; tra agosto e ottobre vende invece la parte dell’azienda agricola di famiglia a lei riconducibile. Il 27 ottobre Giuseppe Zigliotto fa confluire in fondo patrimoniale alcuni beni acquistati quello stesso giorno. Il 22 dicembre Gianfranco Pavan termina la liquidazione del patrimonio che aveva cominciato il 28 febbraio 2013 a favore dei familiari.
I sequestri finali
A fine dicembre 2016 i nuovi soci guidati dal neo amministratore delegato Fabrizio Viola avviano l’azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici. Il 2017 è invece segnato dalla svolta giudiziaria: a luglio gli indagati ricevono l’avviso di fine indagine, a ottobre viene chiesto il rinvio a giudizio di Zonin e altri. Breganze vende tutto ciò che gli è rimasto a Venezia e Vicenza. Il 9 agosto Roberto Zuccato mette un’ipoteca da 250 mila euro sugli immobili che possiede a Schio e Venezia.
Il ruolo dei liquidatori
Nell’atto di cessione delle parti industrialmente sane di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo firmato il 26 giugno scorso nello studio notarile Marchetti a Milano, c’è un paragrafo che non lascia dubbi. Si specifica che restano esclusi dalla cessione a Intesa «i diritti e le azioni di responsabilità e risarcitorie promosse dagli organi sociali di BpVi e VB prima della loro messa in liquidazione o promosse dagli organi della procedura di liquidazione». Significa che tocca ai liquidatori della Vicenza, lo stesso Viola, Claudio Ferrario e Giustino Di Cecco, chiedere il sequestro cautelativo dei beni dei 32 amministratori di Vicenza già citati per mala gestione. Al di sopra di loro tre, tocca però al governo: è il ministero dell’Economia che ha nominato i tre liquidatori, quindi finanziato il loro intervento ed è ai contribuenti italiani che spettano gli eventuali proventi di ogni azione risarcitoria su chi ha guidato la Vicenza al tracollo. Quando rappresentava il fondo Atlante, Viola si era già mosso con una richiesta per oltre un miliardo. Adesso che rappresenta lo Stato italiano non ha però ancora chiesto i sequestri cautelativi che sventino i tentativi dei vertici della Vicenza di sottrarre i loro beni con varie operazioni. Tanta riluttanza ad aggredire quei patrimoni non sarebbe inevitabile: in casi minori, per esempio la Banca di credito cooperative del Veneziano commissariata dalla Banca d’Italia, i nuovi amministratori hanno chiesto (e ottenuto) il sequestro cautelativo dei beni dei vecchi. Nel caso di Vicenza no, anche se in gioco c’è molto di più.
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NINO SUNSERI, LIBERO 30/10/2017 –Ancora uno sfregio al risparmio. Il banchiere che la fa franca. I soci e gli altri creditori destinati a restare a bocca asciutta. È questo il verdetto emesso ieri mattina dal Procuratore della Repubblica di Vicenza Antonio Cappelleri. Nel corso dell’audizione alla commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche il magistrato è stato molto netto: «La Banca Popolare di Vicenza è stata svuotata di qualunque sostanza effettiva e dunque ogni richiesta di sequestro sarebbe inutile. Oramai temo che uno strumento concreto ed efficace non lo abbiamo più in mano». Lo stesso insuccesso cui andranno incontro le eventuali richieste di rimborso fatte direttamente a Gianni Zonin e agli altri dirigenti che hanno contribuito a distruggere la ex popolare. Primo fra tutti l’ex direttore generale Samuele Sorato uscito nell’estate del 2015 con una liquidazione di poco inferiore a cinque milioni. «Chiedemmo il sequestro del loro patrimonio ricorda Cappelleri ma il gip lo negò». Un cavillo giuridico che permise a Zonin, Sorato e a tutti gli altri di evitare di mettere in gioco il loro patrimonio personale.
La pausa ha permesso ai protagonisti di mettere al sicuro i loro beni. Zonin, che era andato via con una buonuscita di un milione di euro risulta oggi nullatenente. Ha girato ai figli la proprietà della casa vinicola di famiglia. Il passaggio è stato giustificato come un normale passaggio delle consegne vista l’età di papà (80 anni a gennaio). Il sospetto che non sia esattamente così è molto forte. Tuttavia ormai è fatta e non sembra possibile tornare indietro. Oggi il patrimonio dell’ex banchiere è composto da una cappelletta di 75 mq a Radda in Chianti, un bosco a Gambellara e un vigneto. Mettendo tutto insieme non si arriva, probabilmente, nemmeno a cinquantamila euro. Una goccia nell’oceano di perdite provocate da vent’anni di gestione sciagurata della banca vicentina.
A Pierferdinando Casini e agli altri membri della commissione che l’ascoltavano Antonio Cappelleri ha fornito un’analisi con molti sospetti sul comportamento degli altri magistrati che in passato hanno occupato la sua poltrona: «Questa vicenda è una riedizione di comportamenti già verificati indietro nel tempo. Ci sono stati altri due procedimenti di indagine, uno intorno al 2001 uno al 2007-2008, entrambi orientati all’accertamento di irregolarità e quello del 2008 è per molti aspetti speculare all’indagine effettuata. Quelle indagini ha concluso si sono chiuse con archiviazioni». Certo i comportamenti sospetti non erano mancati. Dall’acquisto effettuato da Silvano Zonin fratello di Gianni di un palazzo a Venezia subito affittato a caro prezzo proprio a BpVi. Ad altre anomalie «che rappresentavano come Zonin usasse la banca come una delle sue tante aziende: un viaggio a Parigi a spese della banca, l’uso della carta di credito dell’Istituto per una vacanza personale, la elargizione di denaro della banca a sindacalisti e parrocchie del Veronese, l’uso personale di un aereo della banca...».
La Procura di Vicenza, però, non si era mai mossa. Quando scoppia lo scandalo è il tribunale a dare una mano a Zonin e agli altri i responsabili della banca. Il gip dopo avere studiato per quattro mesi il fascicolo, si dichiarò incompetente per territorio. Trasmise gli atti a Milano, ritenendo che lì si fosse consumato il reato di ostacolo alla vigilanza nei confronti di Consob. Un passaggio apparentemente senza senso, visto che la Consob ha sede a Roma. Risultato: provvedimento bloccato. I pm di Milano rinviarono le carte all’ufficio gip, dichiarandosi a loro volta incompetenti. A decidere doveva essere la Cassazione.
Un comportamento che Cappelleri aveva pubblicamente condannato prendendosi anche un’ammonizione da parte del Csm.
Tanto girare di carte tra i diversi tribunali italiani è stato fondamentale per Zonin e compagnia. Hanno potuto occultare il loro patrimonio personale lasciando i creditori a bocca asciutta. Gli azionisti dovranno accontentarsi del 28% di rimborso messo a disposizione dalla banca prima di essere assorbita da Banca Intesa insieme a Veneto Banca.
Per il resto non vedranno un soldo. Anche su questo Cappelleri ha strappato ogni illusione. Ha spiegato che i creditori possono aggredire solo la bad bank: vale a dire la carcassa della Popolare che Intesa non ha voluto. La polpa, invece, è finita all’istituto guidato da Carlo Messina. A proteggere il passaggio c’è il decreto approvato a tutta velocità dal governo all’indomani della transazione. Risultato? I risparmiatori non vedranno un centesimo. Peggio ancora di come era andata trent’anni fa ai soci del Banco Ambrosiano (sulle cui ceneri è nata Intesa). A loro era stato dato un premio di consolazione. Per Popolare Vicenza solo una mancia.
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CAMILLA CONTI, IL GIORNALE 3/7/2017 –Giuseppe Mussari va a cavallo con l’amico Aceto e cucina per gli amici nella villa di proprietà della moglie Luisa a due passi da Siena; il suo braccio destro Antonio Vigni fa il coltivatore diretto nella sua tenuta a Castelnuovo Berardenga, sempre sulle colline del Chianti, e la sua ultima apparizione pubblica risale a qualche mese fa a San Gusmè, in occasione della festa del delizioso paesino, nello staff della festa a grigliare bistecche. Meno ruspanti i pomeriggi del patron – per quasi vent’anni – di Pop Vicenza, Gianni Zonin che proprio nei giorni scorsi è stato fotografato con la moglie in via Montenapoleone a Milano mentre faceva shopping con un tempismo perfetto, ovvero a poche ore dal decreto salva-venete.
Che fine hanno fatto i responsabili dei fallimenti e delle grandi crisi? In generale non se la passano male. Certo, per i «signori del crac» la reputazione è ormai bruciata e per molti di loro non è semplice farsi vedere in giro con il rischio di incrociare i risparmiatori traditi. Alcuni sono stati soltanto pessimi manager, altri hanno anche commesso reati. Hanno distrutto o contribuito a bruciare centinaia di miliardi. Ma nessuno è in prigione. Cause, richieste di danni e processi sono però solo all’inizio e alla fine il conto qualcuno lo dovrà pagare
LA BANCA DELL’ORO
La prossima udienza per la bancarotta di Banca Etruria al tribunale di Arezzo è fissata per il 12 ottobre 2017 e sarà interamente dedicata alle parti civili. Il processo vede tra gli imputati gli ex presidenti Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi e i nomi di ex componenti dei cda sotto inchiesta, di cui non faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell’ex ministro Maria Elena. Il procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi contesta loro finanziamenti facili, mai rientrati, che avrebbero portato a bilanci fallimentari provocando il crack della banca.
Ma tra le tre banche oggi finite dentro Ubi c’è anche Banca Marche. Sotto la direzione dell’ex ad Massimo Bianconi l’istituto faceva credito a tutti, soprattutto agli amici. Il consiglio approvava fino a 83 pratiche di affido in meno di cinque minuti netti (è successo davvero, il 23 luglio del 2008). Secondo gli avvocati dello studio Bonelli Erede, quello di Banca Marche è il più grave scandalo bancario dai tempi del crac Sindona. Tra i tanti primati, Bianconi detiene anche quello di essersi fatto pagare la buonuscita due volte, facendosi licenziare e assumere lo stesso giorno poco prima che Bankitalia vietasse i «paracaduti d’oro» per i banchieri.
A NORDEST
Quando non fa spese con la moglie nel quadrilatero milanese, Gianni Zonin può restarsene al fresco della villa in provincia di Udine, a Ca’ Vescovo, a due passi dalla laguna di Grado e dal campanile romanico di Aquileia. Una tenuta trasformata in fortezza, con siepi alte tre metri, telecamere, vetri anti sfondamento. Dal 20 gennaio 2016 aziende e vigne della Zonin 1821 appartengono ai tre figli. Nove tenute in Italia, per 2mila ettari coltivati a vite, una in Virginia, negli Usa. Tutto intestato agli eredi con un passaggio generazionale che sicuramente era stato già previsto in tempi non sospetti, ma di certo ha messo al riparo il patrimonio di famiglia dalle tempeste giudiziarie. Zonin è infatti indagato a Vicenza per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. La stessa banca ha chiesto a lui e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2,3 miliardi. Ed è stato multato dalla Consob (370mila euro) per illeciti nella vendita di azioni alla clientela. Ma finora l’inchiesta della procura di Vicenza ha procurato al Doge vicentino solo la «seccatura» di un interrogatorio di 5 ore in due anni.
Per il suo «vicino» Vincenzo Consoli, ex ad di Veneto Banca, la richiesta di rinvio a giudizio è arrivata a poche ore dal via libera italiano ed europeo al passaggio delle banche venete a Intesa. A muoversi è stata la procura di Roma, che ha chiesto il processo anche per l’ex presidente Flavio Trinca e altri nove tra amministratori e manager: le ipotesi sono presunte irregolarità nella gestione dell’istituto tra il 2012 ed il 2014 e ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità pubbliche di vigilanza. Consoli si è chiuso in un rigoroso silenzio per due anni poi, lo scorso 3 giugno, ha rilasciato una lunghissima intervista con la sua verità al Gazzettino: «Il dispiacere e il dolore sono per me immensi, verso tutti i soci che hanno perso soldi. Si deve sapere che tra i soci che hanno perso i soldi c’è anche la mia famiglia, c’è mia sorella che faceva l’operaia e aveva investito in banca tutti i suoi risparmi e non li ha più, ci sono i miei figli», ha detto Consoli. Il suo jet Bombardier Learjet 60XR, acquistato nel 2012 da Veneto Banca per assicurare rapidità, comfort e prestigio agli spostamenti dell’allora consigliere delegato, se ne è volato via da Montebelluna lo scorso 23 dicembre per 4,3 milioni di dollari.
SOTTO LA LANTERNA
«Mi aspettavo l’ergastolo. Ci mancava solo mi sparassero». Lo scorso 22 febbraio non ha rinunciato al suo sarcasmo l’ex presidente di Carige, Giovanni Berneschi, nemmeno con una condanna a 8 anni e 2 mesi di reclusione per la maxitruffa al ramo assicurativo dell’istituto bancario sulle spalle. Eppure per lui è stata uno choc, quella sentenza, anche perche’ il pubblico ministero Silvio Franz aveva chiesto 6 anni di reclusione. C’è chi dice che l’ex presidente, uomo libero fino alla pronuncia della Cassazione, se ne stia chiuso nel suo attico genovese e chi invece propende per un ritiro nella sua amata campagna spezzina. Ha una ricca pensione (200 mila euro solo di Inps, più il fondo integrativo della banca) e conta sull’appello, anche perché non è tipo da golf o bridge.
L’AFFAIRE ITALEASE
Il 20 maggio 2015 è stato ribaltato il verdetto per gli ex vertici di Banca Italease, tra cui l’ex ad Massimo Faenza (che comunque in carcere è rimasto per sette mesi, imputati a Milano per false comunicazioni sociali in relazione ad un bilancio del 2008. Condannati in primo grado, sono stati assolti in appello dai giudici che hanno anche prosciolto l’istituto di leasing, che rispondeva in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, e hanno revocato la confisca da oltre 58 milioni che era stata disposta dal Tribunale più di tre anni fa. Il processo – uno dei tanti filoni dell’inchiesta su Italease che aveva portato, tra l’altro, al patteggiamento a 4 anni per truffa e altri reati per Faenza – vedeva al centro l’accusa di false comunicazioni sociali. Il 27 febbraio del 2014, il Tribunale, oltre a condannare i cinque imputati ad un anno, aveva disposto anche la confisca di 58,9 milioni a carico di Banca Italease, poi finita nel gruppo Banco Popolare. Confisca che poi è stata revocata. Che fine ha fatto, invece, l’ex presidente della Bpm, Massimo Ponzellini? Con l’allora sua braccio destro Antonio Cannalire e altre 12 persone è imputato per la vicenda dei presunti finanziamenti illeciti concessi dall’istituto (oggi fuso con il Banco Popolare) tra il 2009 e il 2010. La gran parte dei reati contestati, tra infedeltà patrimoniale e corruzione privata, cadrà in prescrizione entro il 2017, mentre l’associazione per delinquere a metà del 2018. Si ritorna in aula il 10 luglio.
EX VERTICI
Da sinistra, l’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari che prima di finire travolto dall’inchiesta giudiziaria su Antonveneta era stato anche eletto presidente dell’Abi; l’ex presidente (per 19 anni) della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin; l’ex patron di Veneto Banca, Vincenzo Consoli; l’ex dominus di Carige Giovanni Berneschi; l’ex presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi; l’ex direttore generale di Mps, Antonio Vigni
Tutti in generale vivono bene
Hanno distrutto o contribuito a bruciare centinaia di miliardi. Ma nessuno è in prigione.
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FRANCO BECHIS, LIBERO 30/6/2017 –Per Veneto Banca e per la Banca popolare di Vicenza il governo di Paolo Gentiloni ha osato quel che non se la sentì di fare nemmeno il governo di Matteo Renzi nei confronti di Banca Etruria, Banca delle Marche, e Casse di Ferrara e di Chieti: dare un sostanziale salvacondotto agli ex amministratori che hanno gestito quegli istituti di credito portandoli al crack. La procedura particolare di liquidazione coatta amministrativa adottata con il decreto legge del 25 giugno per Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza infatti salva quei due istituti dalla insolvenza e quindi dai rischi di un’azione penale per bancarotta fraudolenta nei confronti degli ex amministratori, in testa Gianni Zonin e Vincenzo Consoli. È una immunità penale non da poco quella che si concede oggi a chi ha portato nelle condizioni dell’accertato dissesto quei due istituti bancari. Che non fu concessa nemmeno per gli ex amministratori di Banca Etruria & C, tanto è che nel marzo scorso 21 ex amministratori dell’istituto aretino sono stati rinviati a giudizio per bancarotta fraudolenta, qualcuno di tipo dolosa, e qualcun altro colposa (più lieve).
NIENTE DEBITO
Da cosa deriva l’immunità penale per Zonin, Consoli e gli altri ex amministratori delle venete? Dalla struttura stessa della operazione scelta, che ha portato a non registrare nella contabilità delle due vecchie banche il debito per i 17 miliardi circa di Npl ceduti alla bad bank. È vero che nelle vecchie banche così non ci sarà più patrimonio, ma nemmeno debito, scongiurando in questo modo lo stato di insolvenza accertato che avrebbe aperto le porte alle azioni penali per bancarotta fraudolenta.
Probabilmente questa strada è stata scelta anche per garantire l’immunità da questo rischio all’ultimo amministratore delegato della stessa Vicenza, l’ex ad del Monte dei Paschi di Siena Fabrizio Viola, che ora è stato nominato dalla Banca di Italia come membro di entrambi gli organi liquidatori di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. È assai difficile che ora possa essere lui a rilevare nella procedura elementi di insolvenza delle due banche, mettendosi da solo nei guai, visto che ha guidato negli ultimi sei mesi una delle due banche in dissesto.
Questa particolare immunità agli ex ovviamente è stata notata subito ad Arezzo, Chieti, Ferrara e nelle Marche, dove sia gli ex amministratori che i risparmiatori si lamentano ora del diverso trattamento adottato per risolvere la crisi del credito in Veneto.
IL CONFRONTO
Vero che all’epoca furono compiuti grandi errori nella procedura di risoluzione, poi tamponati alla bell’e meglio e in modo del tutto insoddisfacente da successivi interventi dell’esecutivo, ed è un bene che gli stessi errori non siano duplicati. Ma è comprensibile la rabbia dei risparmiatori truffati per quel trattamento così diverso da quello che è toccato in sorte ai veneti.
Se ne sono lamentati ieri in un comunicato Silvia Battistelli e Alvise Aguti del Comitato azzerati dal salva-banche, notando come in entrambe le procedure si sia fatto riferimento alla direttiva europea del burden sharing, ma come l’applicazione sia stata radicalmente diversa. Nel caso di Etruria & C infatti si valutarono le sofferenze come ricostruito recentemente da Libero al 17% del loro valore, azzerando così tutte le obbligazioni subordinate.
Nel caso delle Venete sono state valutate più del doppio, al 41% del loro valore. Formalmente i crediti deteriorati verranno trasferiti alla bad bank al loro valore di libro, che è pari al 56%.
Ma secondo Battistelli e Aguti proprio da questa scelta potrebbe venire un ulteriore esborso di denaro pubblico, perché «se il valore delle sofferenze di rivelasse in linea con quello delle attuali dismissioni di Unicredit o Mps e quello delle inadempienze probabili in linea con la cessione ad Atlante 2 (32%), lo Stato sarà chiamato a sostenere un ulteriore costo vicino ai 10/11 miliardi di euro, di cui bisognerebbe dare spiegazione a tutti i contribuenti italiani».
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FRANCO VANNI, LA REPUBBLICA 27/6/2017 –MILANO L’ultima tegola – forse anche l’unica – è la multa Consob. Gianni Zonin, per diciannove anni presidente della Banca Popolare di Vicenza fino alle dimissioni nel novembre 2015, deve pagare 370mila euro per illeciti nella vendita di azioni alla clientela, negli anni belli in cui la Popolare quotava il titolo 62,50 euro. Un valore irreale, polverizzato quando il meccanismo delle operazioni “baciate” è venuto alla luce. E quando, alla prova del mercato, le azioni sono passate di mano a 10 centesimi l’una. Ma è solo la punta dell’iceberg. Il 79enne re del vino è indagato a Vicenza per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Un’inchiesta che procede al rallentatore, paralizzata dal conflitto fra procura vicentina e ufficio del giudice per le indagini preliminari.
La banca, dal canto suo, nell’aprile scorso ha presentato al tribunale di Venezia un atto di citazione di 340 pagine in cui chiede a Zonin e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2 miliardi, per «una delle più eclatanti debacle finanziarie del dopoguerra. La storia di un vero e proprio intreccio, un groviglio di rapporti mai trasparenti, tra la banca e i suoi vertici e tra questi e alcuni selezionati clienti, culminato in un epilogo drammatico». Parola di Fabrizio Viola, eletto amministratore delegato della Popolare il 6 dicembre scorso.
Gianni Zonin attende l’arrivo della tempesta a Gambellara, Vicenza. Passeggia fra le vigne che un tempo erano sue, ma che dal 20 gennaio 2016 appartengono ai tre figli. Ha cominciato a intestare loro aziende e terreni negli anni Novanta, quando iniziava l’avventura in banca. Un anno e mezzo fa – a inchieste giudiziarie avviate – ha ceduto le quote residue. Oggi non ha più legami con la Zonin 1821, una delle maggiori aziende vinicole europee, che nel 2016 ha dichiarato 193 milioni di fatturato. Né nell’immobiliare proprietaria dei terreni: nove tenute in Italia, per 2 mila ettari coltivati a vite, una in Virginia negli Stati Uniti. Un patrimonio che i danneggiati potrebbero aggredire chiedendo la revocatoria dell’atto notarile con cui Zonin ha trasferito tutto ai figli. Ma dimostrare che il passaggio aveva “intento fraudolento” non è facile, visto che in azienda i tre maschi di casa hanno ruoli dirigenziali da tempo.
«Zonin oggi è nullatenente» ripetono preoccupati i soci che hanno perso tutto. Non è vero, ma quasi. La casa di famiglia a Montebello Vicentino, 1175 metri quadrati di villa più servizi e parco, è intestata al figlio Michele, Gianni ha l’usufrutto. Restano sue una cappelletta di 74 metri a Radda di Chianti “non adibita a luogo di culto”, un bosco a Gambellara di 4mila metri quadrati, un vigneto di 10mila. Zonin è socio all’84,92 percento dell’immobiliare Badia, proprietaria di 25 fra appartamenti, box e magazzini a Gambellara. Altri 14 ne ha a Montebello, cinque a Torri di Quartesolo, 71 a Vicenza. Amministratore della società, e socio al 15 percento, è la moglie Silvana Zuffellato. Ed è lei unica titolare di Collina Srl, spin off di Badia a cui l’immobiliare potrebbe trasferire immobili. Altre proprietà, quindi, presto potrebbero non essere più di Zonin. La “scissione societaria asimmetrica” (a vantaggio della sola moglie) è stata deliberata nell’ottobre scorso, ma non risulta ancora attuata.
La prima volta che la magistratura si è occupata degli immobili di casa Zonin è stato nel 2001. La procura vicentina indagò sui prestiti concessi nel 1999 dalla Popolare alla Querciola Srl diretta da Silvano Zonin, uno dei sette fra fratelli e sorelle di Gianni. L’istituto avrebbe pagato affitti eccessivi, con danno per i soci. L’allora procuratore capo di Vicenza, Antonio Fojadelli, chiese l’archiviazione. Anni dopo, lasciata la magistratura, sarà nominato nel cda della Nordest Merchant, banca d’affari della Popolare. Da allora Zonin è uscito indenne da una seconda inchiesta, aperta a Vicenza nel 2008 e poi archiviata, nata da una denuncia di Adusbef per «azionisti costretti a diventare tali con metodi estorsivi, pena la mancata concessione di prestiti, mutui, fidi». Dopo quel primo incidente con l’immobiliare del fratello, il rapporto fra banca e affari di famiglia non si è interrotto. Un flusso di denaro continuo, ma via via meno corposo. La casa vinicola oggi ha prestiti dalla Popolare per 15 milioni. Altri 12,5 milioni sono stati affidati alla società che detiene i terreni. Poca cosa, va detto, rispetto al credito concesso alle aziende da Intesa, Mps e Unicredit. Se lo Zonin banchiere con i soldi dei soci (fra cui se stesso, titolare di azioni per 24 milioni) è stato condottiero spregiudicato, l’azienda di famiglia l’ha sempre gestita in economia.
Il ventennio da banchiere ha aperto a Zonin le porte dorate del potere vero. Nel primo decennio del 2000 la Popolare ha fatto da spazzino del sistema bancario, inglobando piccoli istituti decotti, con la benedizione di Bankitalia. Intanto, l’elenco delle cariche ricoperte (e oggi cessate) dal viticoltore è cresciuto, fino a riempire 15 pagine del registro imprese delle Camere di commercio. Oltre alle frequentazioni sempre più prestigiose – dai governatori veneti, ai ministri, fino a Tony Blair, che trascorreva le vacanze nelle tenute toscane Zonin – per Gianni negli anni si sono liberate le poltrone utili a completare la corsa verso il cielo, senza perdere di vista il suo Veneto. Consigliere dell’Istituto centrale delle banche popolari, consigliere nella Società italiana per le imprese all’estero, presidente della vicentina Fondazione Roi. Un’epopea lunga vent’anni, in cui Zonin in banca disarcionava manager, comprava, correva. E la Popolare garantiva credito agevolato ai soci amici. Fino alla fatale campagna di ricapitalizzazione del 2013-2014, sostenuta costringendo all’acquisto di azioni chi entrava in filiale per chiedere prestiti. Un meccanismo al centro dell’inchiesta penale in corso. Nel frattempo, guidata dai figli, l’azienda vinicola si è rafforzata e ha aperto uffici commerciali in tutto il mondo.
A Vicenza è luogo comune che Zonin «dove apriva una banca comprava una vigna». Le date di acquisizione di banche e terreni non ricalcano perfettamente lo schema. Ma è vero che Zonin ha condotto la sua campagna parallela in alcune regioni. In Toscana, comprando come banchiere Cariprato e come viticoltore terre in Chianti. E in Sicilia, dove con una mano acquistava Banca Nuova e con l’altra investiva in vigneti. Una parabola che racconta la doppia condotta dell’uomo. Oggi i soci azzerati delle due banche incorporate in Bpvi si leccano le ferite.
Intanto, negli stessi territori, le aziende vinicole prosperano, al riparo da chi vorrebbe chiedere conto al Gianni Zonin imprenditore dei disastri del Gianni Zonin banchiere.
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STEFANO RICHI, CORRIERECONOMIA 22/5/2017 –La beffa più recente, ma è presto per scrivere che sia l’ultima, è della scorsa settimana. L’Agenzia delle entrate, in risposta a un interpello in merito alla tassabilità degli importi derivanti dall’accordo transattivo proposto dalla Popolare di Vicenza e da Veneto Banca (i famosi «9 euro per azione o 15%»), fa sapere che tali importi, già ricevuti, sono tassabili, come «redditi diversi derivanti da assunzioni di obblighi di fare, non fare o permettere». Quindi, chi ha aderito all’offerta transattiva, dovrà dichiarare gli importi ricevuti nella propria dichiarazione dei redditi 2017 e ci dovrà pure pagare le tasse. Ma cosa volete che siano pochi euro quando si è perso tutto? Quello che risulta realmente insopportabile agli ex azionisti delle popolari venete e prima di loro a quanti avevano investito nelle obbligazioni subordinate di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti, è il senso dell’accerchiamento.
Velocità diverse
Da un lato i filibustieri che hanno sguazzato nelle banche per anni senza alcun controllo, dall’altro lo stato che quei controlli non ha fatto nonostante una pletora di regolatori, vigilantes, agenzie e funzionari. Poi c’è la Ue che impone regole in antitesi con gli ultimi 50 anni di storia e infine l’Agenzia delle Entrate che chiede soldi a chi è stato truffato. Troppo per continuare ad avere fiducia nel sistema. Tanto più che, non bastasse tutto questo, l’orologio del tempo sembra andare a velocità diverse. Chi ha sottoscritto l’accordo transattivo ha incassato nello scorso aprile e a maggio 2018 dovrà pagare le tasse su quei pochi euro portati a casa.
Un anno per pagare, segno di una amministrazione pubblica che funziona. Ma sull’altro piatto della bilancia ci sono migliaia di ricorsi e di cause, civili e penali, che aspettano di essere prese in carico dalla macchina della giustizia. Che, già in affanno prima, davanti alla marea montante di nuove pratiche e a una tecnicalità finanziaria che richiede una specifica competenza alza le mani e invoca aiuto: «è una cosa enorme, che non so davvero come faremo a gestire date le risorse di cui disponiamo», ha detto in febbraio il procuratore della Repubblica a Treviso, Michele Dalla Costa. A Udine sono migliaia i ricorsi. A Vicenza, l’epicentro, il procuratore della Repubblica a Treviso, Michele Dalla Costa.
A Udine sono migliaia i ricorsi. A Vicenza, l’epicentro, il procuratore Antonio Capppelleri é accolto in ufficio il martedì e il venerdì di ogni settimana dalle proteste degli azionisti truffatori che rumoreggiano davanti al tribunale. Chiedono giustizia in tempi brevi. Fin qui inutilmente.
Sono passati due anni da quel 2015 in cui le indagini su Vincenzo Consoli (Montebelluna, 17 febbraio), le dimissioni di Samuele Sorato (Vicenza, 12 maggio) e l’abdicazione di Gianni Zonin (Vicenza, 23 novembre), resero evidente a tutti quanto per vent’anni era stato abilmente nascosto.
Le procure sono sommerse dai ricorsi. In uno di questi si legge la perizia di parte di un esperto grafologo che sostiene come la firma del suo cliente, una signora di 90 anni, invalida civile, ricoverata in una casa di riposo, sia un evidente caso di «mano guidata». Da chi? Forse da chi aveva interesse a vendere prodotti finanziari che più tossici non potevano essere. La risposta della giustizia è lenta, anche se recentemente i tribunali di Firenze e Parma hanno accolto le istanze di alcuni risparmiatori. Ma la maggior parte è ferma al palo. Non é una questione solo venete. Con la litania dei «territori», le due ex popolari si erano espanse in Piemonte e nelle Marche, in Puglia e in Toscana, in Sicilia e in Friuli. Ma il terremoto è qui, inVeneto, lo dicono i numeri.
Le obbligazioni
Gli obbligazionisti subordinati imbrogliati da Banca Etruria, Marche, Carife e CariChieti avevano sottoscritto bond per complessivi 786 milioni di euro. Di questi 329 milioni erano in mano a 10.559 clienti privati. Gli azionisti di Veneto e Vicenza sono 210 mila e le loro invendibili azioni sono arrivate a valere oltre 11 miliardi di euro, oggi praticamente azzerati, cui si aggiungono gli aumenti di capitale e le ripetute perdite che portano il totale a oltre 18 miliardi di ricchezza distrutta. Eppure gli allarmi ci sono stati. Il 31 luglio 2014 Esma, Eba ed Eiopa, le tre autorità europee che vigilano su banche e assicurazioni, avevano avvertito le autorità nazionali delle precauzioni da prendere in fase di collocamento di titoli alla clientela retail. Dieci pagine di raccomandazioni. Tutte inutili se, ancora un anno fa, primavera 2016, in Italia sono stati autorizzati i prospetti relativi ai collocamenti sul mercato azionario dei titoli Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Due collocamenti bocciati dal mercato ma approvati dalle autorità di vigilanza. Ha detto Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, promotore del Fondo Atlante: «Forse un giorno bisognerà andare a chiedere chi ha autorizzato quei prospetti, che erano prospetti falsi». Sono in tanti ad aspettare quel giorno.
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E PER IL RISPARMIO TRADITO LA SCORCIATOIA AUTHORITY – ANGELO ALLEGRI, IL GIORNALE 17/1 –Scattano i sequestri delle Fiamme Gialle a cinque imputati nell’udienza preliminare sul crac della Popolare di Vicenza, compreso l’ex presidente Gianni Zonin. In tutto parliamo di oltre 1,7 milioni fra disponibilità finanziarie detenute presso intermediari bancari, beni immobili e partecipazioni possedute in imprese. Ovvero 346mila euro a testa all’ex presidente Gianni Zonin, all’ex direttore generale, Samuele Sorato, all’ex consigliere Giuseppe Zigliotto, all’ex vice direttore generale dell’area Finanza, Andrea Piazzetta, e all’ex dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili Massimiliano Pellegrini. «Non conosciamo ancora i dettagli di questo sequestro perchè non ci è stato ancora notificato. Ma non c’è nessun problema, il dottor Zonin non ha fatto altro che pagare debiti in questi anni e non ci saranno certo problemi a depositare una somma se necessario», ha detto Enrico Ambrosetti, avvocato difensore dell’ex presidente della popolare vicentina. «Ovviamente vogliamo ora anche capire di cosa si tratta, ho sentito anche poco fa il dottor Zonin e anche lui ha letto siamo qui. Appena conosceremo gli estremi di questa decisione prenderemo contatto con la Procura e depositeremo la somma richiesta a garanzia». I sequestri sono stati eseguiti a Vicenza, Milano, Treviso, Padova, Venezia, Roma e Siena. Le somme non potranno essere usate per rimborsare i soci danneggiati perchè andranno in gran parte a coprire le spese relative al procedimento giudiziario affrontate finora. La Procura di Vicenza ha infatti ravvisato «la fondata ragione» che potessero mancare o si disperdessero le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato in relazione all’inchiesta. Nel decreto firmato dal giudice si fa riferimento al fatto che siano state riscontrate dagli investigatori della Gdf «azioni di trasferimento e dismissione, da parte degli imputati, di proprie disponibilità patrimoniali», rendendo necessari i sequestri. Il 12 dicembre è iniziata in Tribunale l’udienza preliminare al termine della quale il Gup dovrà decidere se accogliere le richieste di processo o prosciogliere gli imputati. Le prossime udienze sono state fissate per oggi, per il 27 gennaio e per il 3 febbraio. Zonin ha già ricevuto una multa della Consob da 370mila euro per illeciti nella vendita di azioni alla clientela, negli anni d’oro in cui la Popolare quotava il titolo 62,50 euro. Un valore polverizzato quando il meccanismo delle operazioni «baciate» è venuto alla luce. La banca, dal canto suo, nell’aprile 2017 ha presentato al tribunale di Venezia un atto di citazione in cui chiede all’imprenditore e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2 miliardi. Oggi l’ex patron della Vicenza risulta quasi «nullatenente»: dal 20 gennaio 2016 aziende e vigne della Zonin 1821 appartengono ai tre figli. Nove tenute in Italia, per 2mila ettari coltivati a vite, una in Virginia, negli Usa. Tutto intestato agli eredi con un passaggio generazionale che sicuramente era stato già previsto in tempi non sospetti, ma di certo lo ha messo al riparo dalle tempeste giudiziarie.
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BANCHE, ARRIVO UN FONDO AD HOC PER I RISPARMIATORI DANNEGGIATI – IL SOLE 24 ORE 28/11/2017 –
2018-2019 il nuovo “Fondo di ristoro finanziario destinato a risarcire i risparmiatori rimasti vittime di «danno ingiusto» per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico dell’intermediazione finanziaria. È quanto prevede un emendamento riformulato alla manovra depositato in commissione Bilancio e destinato ad essere messo ai voti nella serata di oggi. Il Fondo sarà gestito dal ministero dell’Economia che entro aprile 2018 dovrà indicare modalità e condizioni di funzionamento del nuovo strumento di tutela, fortemente sostenuto dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, dei risparmiatori colpiti dai crack degli istituti di credito.
Da dove arrivano le risorse
Le risorse del Fondo di ristoro finanzairio arriveranno per 12 milioni del 2018 e i 25 del 2019 dal vecchio fondo dormienti introdotto nel 2006 da Tremonti per indennizzare i risparmiatori delle crisi bancarie di allora e delle vittime dei bond argentini. I restanti 13 milioni per il 2018 arrivano in vede dalla Gestione speciale del Fondo nazionale di garanzia. Assegnazione agevolata dei beni ai soci fino a settembre 2018