La Stampa, 21 gennaio 2018
I grandi del mondo a Davos in difesa della globalizzazione
Angela Merkel, Emmanuel Macron, Theresa May, Justin Trudeau, Paolo Gentiloni, Jean-Claude Juncker e (forse) anche Donald Trump. E poi il primo ministro indiano Narendra Modi, il presidente brasiliano Michel Temer, l’argentino Mauricio Macri, Benjamin Netanyahu, Re Hussein di Giordania. Da lunedì nel Cantone dei Grigioni si incroceranno la metà dei leader dei venti Paesi più grandi del mondo, almeno cinque dei sette membri del G7. L’anno scorso la scena a Davos se l’era presa il cinese Xi Jinping, accolto fra un po’ troppi applausi come alfiere del mondo aperto mentre la May rassicurava i banchieri sulle conseguenze della Brexit. Memore di quelle immagini imbarazzanti, l’Occidente ricco e democratico si riprende la scena. Cinquemila militari, 341 dispositivi di sicurezza, quasi duemila uomini e donne di business, settanta fra capi di Stato e di governo, trentotto leader di organizzazioni internazionali. Se non cambia idea all’ultimo momento (di recente è capitato per un viaggio a Londra) Trump porterà con sé almeno due ministri – Rex Tillerson e Wilbur Ross – oltre al fedelissimo genero Jared Kushner. In ogni caso: nell’era di «America First», dei muri e dei fili spinati, il quarantottesimo World Economic Forum fa il pieno per la gioia di chi a Davos possiede un immobile. Gli alberghi e gli appartamenti sono strapieni da giugno. Il piccolo viale pedonale si è già trasformato in un centro direzionale: via panettieri e parrucchieri, da lunedì le austere botteghe svizzere si trasformano nei temporary store di Facebook, Google, Accenture, Generali e di decine e decine di multinazionali. Per garantirsi uno spazio nei cinque giorni scarsi del vertice ciascuna di loro ha sborsato fra i 25 mila dollari necessari ad affittare una sala e il mezzo milione per una palazzina a due piani. È una vetrina per tutti: Greenpeace ha già trasportato in Paese un’enorme statua della dea Giustizia per ricordare chi combatte per la libertà e le diseguaglianze. Il programma è fatto per accontentare tutti: si va dai seriosissimi panel sull’economia, la fame nel mondo e i vaccini fino ai seminari «un giorno da rifugiato» e le lezioni di yoga all’alba. Colazioni alle sette, pranzi in piedi, cene accompagnate da lunghe dissertazioni: una delle più affollate l’organizza l’ormai anzianissimo George Soros. Raramente in questa stagione la temperatura va sopra lo zero, la neve abbonda (c’è chi trova il tempo per sciare) ma al coperto non c’è da annoiarsi fra serate messicane, giapponesi e russe. Il tema di quest’anno è «creare un futuro condiviso in un mondo frammentato». Uno dei molti rapporti del Forum racconta che chi fa impresa teme anzitutto disoccupazione e inettitudine dei politici. Saranno tutti a Davos per dire di stare sereni?
Twitter @alexbarbera