Libero, 19 gennaio 2018
I segreti privati di Matteo Salvini. «Fortunato con le donne. E’ il regalo più bello...»
Sono seduto a un tavolino della pasticceria Freni in Corso Venezia e leggo il giornale. Nella pagina c’è un’immagine di Matteo Salvini, camicia bianca aperta, giacca scura. Alzo gli occhi e davanti a me c’è Matteo Salvini, camicia bianca aperta, giacca scura. Gli mostro la pagine e gli dico «o siamo su scherzi a parte o io sono vittima di una suggestione». Si mette a ridere. Mi presento. «Lo so chi è lei, il Farinotti, il dizionario del cinema, a casa ce l’ho». Si siede e parliamo, di gente, di passioni, di letture. Dico che è un uomo certo diverso da come lo conoscevo attraverso i media. E non posso non interessarmi a qualcuno che fra un paio di mesi potrebbe assumere le responsabilità maggiori della nazione. Gli dico che se gli va bene scriverò di lui, senza politica. Ci accordiamo, ci incontriamo alla sede della Lega in via Bellerio.
Matteo, come le avevo detto non le farò neppure una domanda di politica.
«Fantastico»! E cominciamo.
Dunque, mamma e papà...
«Silvana ed Ettore, pensionati... non banchieri, famiglia della media borghesia milanese, impiegata lei, dirigente d’azienda lui. Se sono quello che sono è perché mi hanno passato parecchio, non la passione politica. Di quella non sono responsabili».
Qualcosa che mi interessa in particolare, perché anch’io vengo da quella scuola.
Il Liceo Manzoni.
«Bellissimo, il liceo con la elle maiuscola. Ricordo i presidi, gli insegnanti, la professoressa Messa di latino, la Tedeschi di matematica. Anni magnifici, spesso ci sono tornato e ahimè ho visto un clima più... disinteressato».
Voleva già essere un leader?
«Ero tutt’altro che un leader, come sempre ai tempi del liceo c’erano occupazioni, autogestioni, capi, capetti, facevo il mio, ma non ero sulle barricate».
Il flirt liceale che abbiamo avuto tutti.
«C’era una ragazza che mi piaceva molto, ma non ero corrisposto. Comunque mi è servito».
Formazione.
«Libri tanti, adoro leggere, biografie, romanzi storici, non mi piace la fantascienza, mi piace la vita reale. In questo periodo seguo L’americano Don Winslow, perché mi piace il poliziesco e poi Andrea Vitali, ho appena finito “A cantare fu il cane“, davvero bello. Musicalmente sono cresciuto coi cantautori, de André, de Gregori, Vecchioni, Dalla, Battisti. Il cinema: prediligo i film storici, con delle eccezioni, di getto mi viene Pomodori verdi e fritti, e poi la saga di Amici miei».
L’Università statale.
«Bella esperienza, con alcuni docenti che sento ancora oggi, ad esempio diedi l’esame di Storia economica col professor Sapelli, che mi diede trenta. Lo incontro e stimo, sempre, una cultura sconfinata, dalle prospettive economiche interessanti condivisibili. Gli anni della statale erano quelli dell’inizio dell’attività politica, e ricordo in scienze politiche più di un problema con gli estremisti di sinistra. Tutto è servito alla crescita».
Mogli compagne, figli.
«Sono stato fortunato, donne stupende, storie cominciate e finite, la prima fidanzata ai tempi dell’università, Francesca, otto anni insieme, oggi fa il medico con successo. Fabrizia, con cui mi sono sposato e abbiamo messo al mondo Federico, che ha quattordici anni, con lei sono in ottimi rapporti. Poi una storia di dieci anni con Giulia, da cui è nata Mirta, un gioiellino di cinque anni, con cui cerco di passare più tempo possibile. Giulia è avvocato, donna davvero in gamba. Da qualche anno la mia compagna è Elisa Isoardi, lavora in televisione. Lei vive a Roma io a Milano, situazione che cerchiamo di ottimizzare».
Milano.
«Come milanese non posso non avere la percezione di una città che in certi momenti della sua storia ha cambiato il mondo. Ne sento una responsabilità forte. Pensiamo all’editto di Costantino, forse la più importante carta dell’umanità».
E poi?
«E poi Ambrogio che era il referente del popolo e degli imperatori. Il Rinascimento non è solo fiorentino, Leonardo le cose più belle le ha fatte qui, dov’è rimasto per quasi vent’anni. Lorenzo il magnifico faceva spesso visita a Ludovico il Moro per dei consigli. E poi la stagione dell’illuminismo. I Verri, Parini, soprattutto Beccaria che col suo Dei delitti e delle pene aveva incantato Maria Teresa d’Austria e Caterina di Russia. Anche i padri fondatori degli Stai Uniti si ispirarono al nonno di Manzoni. Fu Thomas Jefferson, 3 ̊ presidente, relatore della dichiarazione di indipendenza, a ringraziare quel grande milanese che aveva legittimato l’uso delle armi per scacciare gli inglesi. Sì, Milano è tutto. Durante le feste mi sono riletto Bonvesin de la Riva, siamo al medioevo. Mi parli el milanes, i miei ascoltavano i dischi di Nino Rossi, Danzi, Jannacci. Cerco di passare qualcosa anche ai figli, mia suocera abitava a Baggio e dunque va a Bagg a sunà l’orghen, e detti di questo genere».
Lei ha conosciuto tanta gente. Un nome su tutti, come prestigio, qualità...
«Sì, ho incontrato tanta gente, conosciuta e sconosciuta, che non finisce sui giornali, ma fa del bene vero. Da consigliere comunale ho conosciuto tante realtà, gente che distribuisce pasti in circonvallazione, il pane quotidiano, i volontari in stazione. Un regalo che mi fece mio padre per i diciotto anni fu di portarmi all’Avis, di avviarmi al dono del sangue, che lui praticò per una vita. E poi si passa ai donatori di organi, di midollo, e qui ancora vale Milano, capitale di tante cose, e anche del volontariato. Gli eroi sono quelli, sconosciuti».
I posti.
«Parto da lontano, due nonni avevano la casa in Liguria, a Recco, gli altri in Trentino. Sono un abitudinario in quel senso. I rifugi sono Recco per la focaccia, Pinzolo per i funghi. A Milano faccio scoprire la città ai miei figli viaggiando sui vecchi tram».
Qualcosa di politico, anche se anomalo. Lei ha tirato delle uova a Massimo D’Alema.
«Qualcosa che ho fatto a diciotto anni che certo non rifarei a quaranta. Era il periodo, a Milano, degli anni di piombo. Attentati, omicidi, ci sentivamo come è accaduto e accade ancora oggi, lontani da Roma, dalla politica e dai politici. E D’Alema era un modello importante in quel senso».
Il suo Paese ideale.
«Paese ideale... Libertà, concretezza e normalità. E poi merito, perché in Italia si appiattisce tutto perché se non premi chi vale di più fai anche il male di chi attende che accada qualcosa nel nome della provvidenza. Libertà di educazione, di cura, di scelta, di andare in pensione».
Sì: ideale.