Il Messaggero, 22 gennaio 2018
I masnadieri di Massimo Popolizio un Verdi gotico e violento
Massimo Popolizio, la prima volta all’Opera con una regia minimalista de I masnadieri, uno dei titoli meno frequentati di Verdi. Accoglienza con qualche dissenso, e grande successo personale per il soprano Roberta Mantegna.
L’opera fu rappresentata per la prima volta nel 1847 a Londra, e a Roma è arrivata ieri solo per la seconda volta, dopo la messa in scena del 1972 con la direzione di Gianandrea Gavazzeni e la regia di Mario Missiroli. Tratta dall’omonimo dramma giovanile di Schiller, Die Räuber, l’opera è ambientata all’inizio del Settecento, tra il castello di Franconia e la Selva boema. Nella nobile casata dei Moor si fronteggiano il malvagio Francesco, che pur essendo secondogenito vuole farsi riconoscere dal vecchio padre Massimiliano unico erede della famiglia, e Carlo, il primogenito che decide di mettersi a capo di un gruppo di giovani rivoluzionari, i masnadieri appunto. Amalia, figlia adottiva di Massimiliano, ama Carlo ed è insidiata da Francesco. Il finale è tragico: Massimiliano, nel covo dei masnadieri, continua a invocare il perdono del figlio, nel quale non ravvisa il capo di quei briganti. In quel momento entrano i masnadieri, di ritorno dal castello, conducendo Amalia come prigioniera. Carlo non può più tenere nascosto il suo segreto al padre e all’amata: è lui a capo di quella masnada di ladri ed assassini. Amalia giura di amarlo comunque, ma Carlo, piuttosto che infangarne l’onore, la uccide e decide di consegnarsi alla giustizia. Il conte Moor, non resistendo a una simile scena, spira.
Popolizio, insieme allo scenografo Sergio Tramonti, ha immaginato la vicenda in un’ambientazione gotica, nera, ferrosa. La scena è cupa e non mancano momenti molto forti, come uno stupro all’inizio del secondo atto. L’unico elemento che cambia è un grande pannello che incornicia il palcoscenico, sul quale sono proiettate nuvole in bianco e nero che poi si muovono durante tutta l’opera, anche se con scelte meno originali, come l’apparizione di un arcobaleno o del sole tra le nuvole nei momenti lirici. La scena è inquadrata da scale e ponti che si alzano e abbassano. Carlo, nonostante sia il capo dei masnadieri, non si mescola mai a loro per gli atti di violenza, ma si muove spesso su carello, a sottolineare la sua natura di uomo di lettere. L’impostazione scenica non ha puntato tanto sull’attualizzazione della vicenda, ma ha optato per un’ambientazione vagamente gotica. Popolizio è sembrato timido nel suo primo approccio con il melodramma; il furore, la rabbia, le passioni nere che circolano lungo tutta l’opera non hanno trovato un’adeguata realizzazione sulla scena. Un esempio: il grande duetto tra Amalia e Francesco risultava priva della forte tensione tra i personaggi.
IL PODIO
Roberto Abbado è riuscito solo a tratti a restituire la tinta drammatica della partitura, che è discontinua, ma che contiene pagine di grande ispirazione, a cominciare dal Preludio, e di ricerca dell’espressione della parola. Nei ruoli dei due fratelli due cast: Stefano Secco (contestato ieri all’uscita in palcoscenico, così come il regista) e Giuseppe Altomare (2 febbraio) interpretano Carlo; Artur Ruciski e Andeka Gorrotxategui (27 gennaio e 2 febbraio) Francesco. Nel ruolo di Amalia ha cantato l’attesissima Roberta Mantegna, che ha dato un’ottima prova. Nata a Palermo nel 1988, Roberta si è già fatta valere in importanti concorsi di canto. In giugno debutterà al Teatro alla Scala nel Pirati di Bellini diretto da Riccardo Frezza in un nuovo allestimento di Emilio Sagi. A lei si alternerà Marta Torbidoni, il 2 febbraio. Completano il cast Riccardo Zanellato (Massimiliano), Saverio Fiore (Armino), Dario Russo (Moser) e Pietro Picone (Rolla). Il nuovo allestimento vede le scene di Sergio Tramonti, i costumi di Silvia Aymonino, le luci di Roberto Venturi, i video di Luca Brinchi e Daniele Spanò. Quattro repliche: 23, 27 e 31 gennaio, 2 e 4 febbraio. A