Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 22 Lunedì calendario

Samuel Beckett: ritratto di un santo che amava le donne

«Trovo sempre più difficile scrivere, persino delle lettere agli amici», si lamentava Samuel Beckett nel 1936. Eppure quel trentenne irlandese trapiantato a Parigi ne avrebbe scritto circa quindicimila. Non avrebbe voluto che venissero pubblicate, ma fortunatamente le sue volontà sono state ignorate. Il primo volume di Lettere 1929-1940, Adelphi (trad. M. Bocchiola, L. M. Pignataro) presenta un sorprendente ritratto dell’artista da giovane, tra scoraggiamenti e pettegolezzi, lucidità e arroganza.
Non era facile indovinare chi si nascondeva dietro quel giovanotto alto e magro che scrutava il mondo con timida diffidenza. Gli occhiali non riuscivano a nascondere i suoi grandi occhi verdi, la sua estrema gentilezza non attenuava la sua goffaggine. Il vestito francese troppo stretto gli stava male, ma lui sembrava non badarci.
Arrivato all’École Normale come lettore di inglese, si era fece notare per l’abitudine di suonare malinconicamente, quanto maldestramente il flauto, da mezzanotte all’alba. Dormiva fino al primo pomeriggio, poi andava a fare colazione nei caffè. Nei periodi di depressione «quell’irlandese splendidamente folle» si chiedeva per ore ad alta voce se doveva uccidersi. 
IL POEMA ESOTERICO
Lì scrisse il Puttanoroscopo, poema esoterico con cui ebbe un premio di mille franchi da Nancy Cunard, la bellissima quanto eccentrica ereditiera. Benché fosse una nota femme fatale, Nancy fu sempre soltanto un amica. Sam la seguiva nei locali notturni dove sembrava «un’aquila atzeca circondata da una nidiata di pulcini pigolanti». Una sera alzò la testa e disse: «Mio Dio, che cosa sto facendo qui dentro?»
Ma la vera passione di Beckett era l’egocentrico James Joyce, interamente assorbito dalla preparazione del suo Ulisse. Per lui Joyce fu un genitore, un maestro e un sovrano. Per Joyce, Beckett fu un servitore più che un segretario. Devoto e rispettoso, gli faceva ogni tipo di commissione, anche le più modeste. Benché si vedessero ogni giorno, continuavano a chiamarsi Signor Joyce e Signor Beckett. Joyce compensò un lungo lavoro con un soprabito liso e cinque vecchie cravatte. Eppure Sam lo imitava, al punto da portare scarpe a punta della stessa misura di Joyce anche se gli facevano male.
Immerso nei suoi drammi interiori, Beckett sembrava non accorgersi di quanto piaceva. «Irradiava sensualità» dagli occhi azzurri da miope incorniciati dagli occhialini metallici. Era uscito qualche volta con Lucia, la figlia di Joyce, ma l’aveva fatto soprattutto per compiacere il suo maestro. Quando lei si era innamorata di lui e i Joyce avevano cominciato a considerarli fidanzati, Beckett si era fatto indietro e Joyce, irritato, lo aveva espulso dalla sua vita.
AVVENTURE
Samuel non si era ritratto per moralismo, le sue avventure, soprattutto da ubriaco, erano frequenti. Era «un santo che amava il vino e le donne», ma Lucia era evidentemente troppo instabile anche per una relazione effimera.
I loro rapporti erano ripresi solo quando Joyce aveva iniziato ad ammettere la follia della figlia. Una sera lo aveva invitato a cena con i suoi e Peggy Guggenheim. La conversazione era brillante, come succedeva quando Joyce era di buon umore, ma quell’ereditiera bruna e attraente era rimasta folgorata dal meno eloquente degli invitati. Al termine Beckett si offrì di accompagnare a casa l’americana. Lì le chiese di sedersi vicino a lui. Rimasero a letto fino alla sera con una sola sosta. Quando Peggy parlò di champagne, Beckett uscì in fretta per tornare pieno di bottiglie rapidamente scolate tra le lenzuola. Prima di andarsene le disse: «Grazie, è stato bello finchè è durato». Dieci giorni dopo Sam la tradì e, scoperto, si scusò: il sesso senza l’amore era come il caffè senza il brandy. Ma continuarono a vedersi a lunghi, intensi intervalli. Quando lei gli chiedeva cosa aveva intenzione di fare rispondeva sempre soltanto: «Niente». Solo una grande quantità d’alcool scioglieva il suo riserbo. Qualche tempo dopo avrebbe scritto: «Vengono / uguali e diverse / con ognuna è uguale e diverso / con ognuna è uguale la mancanza d’amore è uguale / con ognuna la mancanza d’amore è diversa».
Il 18 aprile 1939 scrisse a un amico: «C’è anche una ragazza francese che mi piace, senza passione, e che mi fa molto bene». Era Suzanne, che non l’avrebbe più lasciato. Qualche mese dopo, quando la guerra era ormai iniziata, cercò invano di arruolarsi nell’esercito francese. «Non ho nessuna notizia della mia pratica. Quello che volevo era soprattutto la ricevuta di ritorno e me l’hanno data».