la Repubblica, 22 gennaio 2018
Il giorno in cui si è spenta la fiaccola della Statua della Libertà
NEW YORK Lady Liberty aspetta i visitatori proprio in cima alle scale mobili che sbucano a South Ferry, ultima fermata della linea rossa.
È qui che alle 10 del mattino una signora bionda e paffutella, sulla testa la coroncina verde con le sette punte ritagliate nella spugna, di quelle vendute a un dollaro nelle bancarelle che poco più in là affollano Battery Park, annuncia ai turisti stupiti: «La Statua della Libertà è chiusa. No, non è festa: da oggi è in atto lo shutdown, sì, insomma, non si può entrare. Litigano per il budget e lo ha deciso il governo». Cioè l’Amministrazione di Donald Trump che, tra le promesse di alzare sempre più muri a un anno esatto dal suo insediamento ha incidentalmente finito – boicottando l’accordo quasi raggiunto fra democratici e repubblicani – per “chiudere” il simbolo più famoso d’America: la Signora-miraggio di ogni immigrato, il più famoso simbolo dell’accoglienza americana. Ora, con l’ennesimo tweet, The Donald minaccia perfino l’opzione “nucleare”: cambiare le regole del voto in Senato per aggirare il negoziato con i democratici. Ma l’ipotesi è già scartata da Mitch McConnell, leader della sua stessa maggioranza.
«No, non riaprirà nemmeno domani» spiegano intanto all’ingresso. «Che ne direste piuttosto di un giro in elicottero? Vi portiamo proprio sopra di lei. 200 dollari a testa, 350 a coppia...». Attorno altri “agenti di viaggio” provano a vendere ogni sorta di gita alternative alla Statua chiusa: taxi del mare, elicotteri, battelli privati. E pazienza se alle spalle svetta enorme un cartello: “Attenzione ai venditori di crociere abusive”.
Shutdown, giorno 2: dalla mezzanotte del 19 gennaio i fondi federali sono bloccati. E a farne le spese sono gli enti governativi, i parchi prima di tutto perché considerati servizi non essenziali. A chiudere forzatamente ci sono dunque le maggiori attrazioni turistiche: Statua della Libertà compresa, nonostante ogni anno attragga quasi 5 milioni di turisti. «I traghetti viaggiano regolarmente, i trasporti funzionano ancora», dice Matthew Rutter, impiegato delle Statue Cruise, l’unica concessionaria legalmente autorizzata dal governo a trasportare i turisti via nave.
«Ma Liberty Island, l’isolotto di fronte a Manhattan dove sorge la Statua della Libertà, così come Ellis Island, l’isola dove un tempo sbarcavano i migranti e che ora ospita il famoso museo dell’immigrazione, sono parchi nazionali. E dunque non c’è niente da fare: il personale è senza paga e tutto resta chiuso fino a nuovo annuncio».
Anne Hawks, arrivata con il marito e i figli adolescenti da Fort Lauderdale, in Florida, non si dà pace. Legge e rilegge il cartello che annuncia la chiusura di Liberty Island “a causa dello shutdown” informando i turisti che hanno già acquistato il biglietto che potranno scambiarlo con quello della crociera: “circumnavigare l’isola” insomma, “senza scendere e fermarsi”. «Non è la stessa cosa», lamenta Anne. «Ho comprato i biglietti mesi fa. I ragazzi non ci sono mai stati, glielo avevo promesso. Che delusione: ma che Paese è quello che chiude i suoi simboli?». Alla fine i quattro salgono con il viso lungo sul traghetto; e non basta certo il tiepido sole a fargli tornare il sorriso.
Proprio per evitare il ripetersi di scene del genere, il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, è corso ai ripari: negoziando la riapertura con il Doi, Department of the Interior che non è il ministero degli Interni come pure il nome potrebbe suggerire, ma quello che si occupa della gestione delle risorse naturali e turistiche. Già oggi la Statua dovrebbe riaprire grazie allo Stato di New York che anticiperà i fondi della gestione di Liberty Island. Spesa prevista 65mila dollari al giorno: una sorta di prestito per garantire che il monumento resti aperto, come già fatto nel 2013, quando i repubblicani tentarono di boicottare l’Obamacare.
All’epoca a Cuomo servirono dodici giorni e 250mila dollari pubblici prima di arrivare alla riapertura: con lo shutdown che si concluse 4 giorni dopo.
Ma almeno i turisti saranno felici: il ponte del traghetto che salpa alle 11 è una babele. Oltre agli Hawks e ai Derryl arrivati dalla Louisiana – «È una vergogna per tutti» dicono «la colpa è dei repubblicani che controllano entrambe le camere ma anche dei democratici» – ci sono almeno un centinaio di persone ad ammirare la statua da lontano. Francesi, brasiliani, indiani, peruviani, cinesi, spagnoli e… apparentemente nessun italiano. «Sapevamo della chiusura ma partiamo domani e siamo venuti lo stesso» dice Olivier Pierrart arrivato da Lione con due amici. «Cos’è lo shutdown: uno sciopero?» ride Ana Clara Amaral, di San Paolo del Brasile. Komal Talpu da Karachi in Pakistan, sussurra: «Siamo in viaggio di nozze.
Sognavo tanto di entrare nella Statua della Libertà. Questo giorno è un po’ più triste».