la Repubblica, 21 gennaio 2018
Tutti i mori d’Italia
Il pranzo prenatalizio a Buckingham Palace è sempre stata una ghiotta prelibatezza per i tabloid inglesi. Quest’anno a far scandalo è stata la principessa del Kent Christine Von Reibnitz che si è presentata al banchetto con una bella spilla raffigurante un ragazzo nero con turbante e gioielli. La spilla è stata subito additata come “razzista”. In realtà quella spilla ci racconta una storia molto più complessa. Che andrebbe approfondita. Quel manufatto rappresenta il moro o moretto di Venezia, che non solo è raffigurato in una vasta produzione di gioielleria locale, ma fa bella mostra di sé in altri manufatti, dai lampadari agli appendiabiti che spesso troviamo nelle hall degli hotel. Il nero è sempre maschio, di bell’aspetto, dotato di turbante, indossa quasi sempre un orecchino e ha l’aria estatica che si scontra con le pose servili a cui viene costretto.
Qualcuno potrebbe citare l’Otello di Shakespeare, ma in realtà c’è molto di più. Questa presenza nera ci racconta di una storia di afrodiscendenti presenti in Europa e in Italia già dal Tredicesimo-Quattordicesimo secolo, una presenza da un lato legata alla schiavitù e dall’altra alle ambascerie. Una presenza in larga maggioranza servile, ma con sorprese e tracce anche nell’aristocrazia. Ed è la storia dell’arte a portare dentro di sé le tracce di questa africanità. Basta esaminare dipinti, statue, schizzi per capire quanto già l’Europa e in particolare la nostra Italia fossero di fatto terre multiculturali quando questa parola nemmeno esisteva. E chi oggi dice “non ci sono neri italiani” (come chi ha esposto uno striscione con questa ignominia in un liceo di Pistoia) dovrà ricredersi davanti alle prove pittoriche disseminate per tutto il territorio. Naturalmente il viaggio non può che partire da Venezia, esattamente dalla galleria dell’Accademia. In questo museo oltre ai capolavori di Giorgione e Tiziano va sicuramente annoverato Il Miracolo della Croce a Rialto (o Guarigione dell’ossesso) di Vittore Carpaccio del 1494. Il miracolo è confinato in una loggetta laterale, al centro c’è Venezia con la sua vita brulicante. E al centro c’è un ragazzo nero, vestito di rosso e con delle calze dai motivi geometrici. È un gondoliere, c’è molta sicurezza ed eleganza nei suoi gesti. E il pittore gli dà il giusto protagonismo, ammaliato dalla sua grande bellezza. Altri gondolieri neri Carpaccio li descriverà anche in Caccia in Laguna. Nella stessa sala della galleria troviamo il quadro di Giovanni Bellini Il Miracolo della Croce caduta nel canale di San Lorenzo, tra i tanti che si tuffano per salvare la reliquia c’è anche un ragazzo africano a torso nudo che una donna tiene per mano. Una scena che fa parte della coralità veneziana multietnica.
È chiaro che la presenza africana era legata alla schiavitù. In quei tempi, parliamo del Quattrocento-Cinquecento-Seicento, la schiavitù era reciproca e interessava le due sponde del Mediterraneo. Come ben scrive Salvatore Bono in Schiavi. Una storia mediterranea ( XVI- XIX secolo) (Il Mulino) i cristiani venivano imprigionati nelle coste del Nord Africa e i musulmani (e non solo loro) in Europa. Trapani per esempio era un grande mercato di schiavi. E la Sicilia interessata da una vasta coltivazione di canna da zucchero usava nel Quattrocento manodopera schiavile, soprattutto dall’Africa subsahariana, almeno fino a che è durato il monopolio andato in crisi con la “scoperta” dell’America. Una Sicilia, ma anche una Puglia, una Calabria e soprattutto una Napoli ( la città con più schiavi in Italia) che erano delle piccole Alabama ante litteram. Ma c’era anche la schiavitù al femminile, una compravendita serrata soprattutto di schiave greche e circasse in zone come la Liguria. La maggior parte del mercato però era costituito soprattutto da turchi e maghrebini che ingrossavano le fila degli uomini atti al remo nelle galere in molte città portuali, Livorno in testa. E qui dove esisteva un tempo un grosso “bagno” per gli schiavi, un luogo dove gli schiavi dimoravano quando non erano legati al remo, oggi è rimasta una scultura tra le più significative: il monumento dei quattro mori. Di complessi statuari simili ne possiamo trovare altri in Italia. C’è una fontana dei quattro mori a Marino, vicino Roma, famosa perché legata al “miracolo” delle fontane che danno vino.
Di fatto la presenza degli afrodiscendenti era reale nella penisola. Così reale che alcuni arrivarono anche nel cuore dei Medici. Alessandro de’ Medici, destinato a diventare nel Cinquecento duca di Firenze, era di fatto anche lui nero a metà, padre mediceo e madre schiava conosciuta con il nome di Simonetta da Collevecchio. Di lui ci rimangono numerosi ritratti. Dal Pontormo al Bronzino, dal Vasari all’Allori.
Basterebbe solo studiare un po’ la storia, in Italia forse più che altrove, per capire che siamo di fatto tutti mescolati e non da oggi. E che nel famoso sangue italiano, quello dello ius sanguinis che qualcuno contrappone allo ius soli, scorre da parecchio tempo sangue africano.