la Repubblica, 21 gennaio 2018
I colori della libertà
Anche se è il simbolo più riconoscibile dell’esperimento americano, c’è una cosa, nella Statua della Libertà, che di solito passa inosservata: il fatto che è in movimento. La torcia che tiene nella mano destra, che simboleggia l’illuminismo, è impossibile non notarla, e infatti tutti la notano. Anche il libro che tiene nella mano sinistra, con il 4 luglio inciso in numeri romani, difficilmente sfugge a chi la osserva. E lo stesso vale per le sette punte della sua corona, che alludono ai sette continenti e ai sette mari del pianeta. Messi alle strette, forse riusciremmo a ricordare che indossa dei sandali, ma non ricorderemmo, e forse non l’abbiamo mai saputo, che la Statua della Libertà cammina.
Prendete il traghetto che porta a Liberty Island. Mentre l’imbarcazione sale e scende, sballottata dalle acque turbolente della baia, vedrete, con chiarezza indiscutibile, che il piede destro della statua è proteso in avanti. E intorno ai piedi ci sono catene spezzate, che nelle intenzioni dello scultore, Frédéric- Auguste Bartholdi, simboleggiavano le catene infrante della schiavitù e della tirannia. È immortalata nell’attimo di diventare libera.
Questa statua di novantatré metri è una meraviglia dell’arte e dell’ingegneria, e ci sono molti dettagli che ammiro. Ma il più importante di tutti è la gamba destra, che fa un passo in avanti. E non un passo distratto, noncurante, ma un passo deciso, determinato. Questo piede destro, anche se quasi sempre trascurato, probabilmente è il suo aspetto più importante. Perché se il simbolo della libertà stesse fermo, quale sarebbe il messaggio? Equivarrebbe a dire che la libertà è statica, che una volta introdotta è una cosa certa.
Ma la libertà non è una cosa certa.
Equivarrebbe a dire che una volta che i primi milioni di immigrati sono arrivati sulle rive americane, fuggendo dall’intolleranza religiosa, la violenza politica o la persecuzione etnica, gli Stati Uniti avrebbero dovuto o potuto chiudere le porte. Equivarrebbe a dire che accogliere i nuovi arrivati, i poveri, gli esausti, quelli che lottano per essere liberi, era una cosa temporanea, che accogliere gli oppressi del mondo era una cosa del passato.
Ma accogliere gli oppressi del mondo non è una cosa del passato. Viviamo in un momento in cui voci scomposte si alzano a dire non solo che l’immigrazione dovrebbe essere bloccata, ma che milioni di persone che risiedono negli Stati Uniti dovrebbero essere espulse, rimandate nel loro Paese di origine, senza curarsi delle conseguenze per le loro anime o le nostre coscienze. Queste voci impaurite propongono di ripudiare esplicitamente l’origine e lo scopo di fondo di questo Paese, e il senso della statua che accettiamo come nostro talismano.
Ma nessuno può ripudiare un monumento di queste dimensioni, e nemmeno può negare il suo messaggio, può negare le centinaia di milioni di persone che vedono in questa statua un faro di accoglienza esuberante e incessante. La Statua della Libertà non è stata costruita soltanto per accogliere cinquemila immigrati dall’Italia un certo giorno del 1888. No, è stata costruita anche per accogliere mille e duecento immigrati dalla Polonia il giorno seguente, e duemila uomini, donne e bambini dalla Turchia il giorno dopo ancora. E accoglierà – dovrebbe accogliere – ventimila siriani domani.
Questa accoglienza non finirà. Non può finire.
Finché tiranni e terroristi continueranno a perseguitare innocenti in ogni parte del mondo, noi dovremo offrire loro rifugio. Gli esseri umani in cerca di pace, di accettazione, della possibilità di una vita senza oppressione, saranno sempre in movimento. Ed è per questo che la Statua della Libertà, la più grande scultura cinetica del mondo, è in movimento. Avanza con passo deciso non per allontanarsi dagli afflitti, ma per andare loro incontro. Accoglie i nuovi arrivati ancora prima che sbarchino sulle nostre rive.
E allora, in quest’era di paura e xenofobia, o nella prossima ondata di paura e xenofobia ( sembrano arrivare ogni quattro anni), ricordiamoci che il simbolo di questo Paese non ha messo giù la torcia, non ha chiuso il libro alla Dichiarazione di Indipendenza e non ha smesso di muoversi. Se mai dovessimo dimenticarci chi siamo o perché siamo qui, se mai dovessimo dimenticarci il significato dell’America, non dobbiamo far altro che guardare i piedi della donna.