la Repubblica, 21 gennaio 2018
Il can-can di Alain Delon e le innovazioni di Guardiola
Sono attratto dalle notizie incomplete e mi piacerebbe intervistare Loubo, ma pare sia impossibile. La notizia è che Alain Delon ama molto gli animali, i cani in particolare. Ne ha avuti 50 e 35 di loro sono sepolti nella sua tenuta di Douchy, con tanto di lapide e col dovuto rispetto per le loro vite.
Facevano coppia? Cane e cana insieme, in una tomba a due piazze. Sono attratto dai 15 non sepolti a Douchy, intorno alla cappella in cui Delon sarà inumato. Questi 15, perché no? Si erano comportati male?
Latravano mentre lui cercava di dormire? Gli sporcavano la moquette? Gli azzannavano la mano invece di porgere la zampa? Non si sa, peccato. Si sa invece chi è Loubo, un pastore belga Malinais, il prediletto da Delon, che ha messo tra le ultime volontà quella di non far soffrire il cane in caso di morte sua (sua di Delon).
Vuole che Loubo gli si spenga tra le braccia dopo che un veterinario gli avrà fatto l’ultima iniezione.
Non vuole che Loubo si strugga di dolore e muoia di crepacuore sulla sua tomba (sempre sua, di Delon). Loubo non è stupido: ha 80 anni meno di Delon, che ne ha 83. Avrebbe davanti, il cane, una quindicina d’anni di vita, almeno, ma non dipende da lui e questo lo inquieta. Nemmeno può salvarsi fidando nei soliti gesti apotropaici, già fatti. Loubo è di fronte alla stessa domanda di Lenin: che fare? Gli è passata per la testa l’idea del suicidio, poi giudicata troppo radicale, e comunque non risolverebbe il suo problema: allungarsi la vita.
Servirebbe solo a capire le reazioni di Delon. Nel vuoto lasciato da Loubo Alain saprebbe resistere al dolore o la farebbe finita a sua volta? Loubo non ci crede molto. È venuto fuori un can-can: molti animalisti francesi che tifano per Loubo avanzano questo desiderio, che il beau geste se proprio ci tiene lo faccia prima Delon. Mite di natura, ho cercato di salvare capra e cavoli, ossia cane e padrone. Ho spedito a Loubo “Objectif 15”, in francese e fiammingo, manualetto in cui gli dico la via da seguire, le tecniche del disamore, il potere dell’ego del padrone e dell’ago della siringa, la libertà per tutti, anche per un cane, di cambiare vita.
Se non la vita, l’alimentazione hanno cambiato migliaia di cani e gatti. Il cibo a loro destinato (fonte: il Venerdì) muove un mercato mondiale di 70 miliardi di dollari, 20 dei quali in Europa. Anche gli animali domestici vivono il doppio ripetto al passato e sono più esposti alle malattie. Di qui la necessità (per chi può) di proporgli bocconcini di cervo, zucca e mela o spezzatino di maiale con patate, carote e zucchine. Se si vuole stare sul vegetariano, un piatto a base di soia, uova, Grana padano e grano saraceno. Tre marchi producono solo cibo vegano. È in voga anche l’happy hour per cani, e davanti all’happy hour per cani è molto meglio se mi fermo. Se continuo è perché in Inghilterra, a quanto pare, ai cani si sono accodati i calciatori che, al posto delle solite schifezze, mangiano quello che prepara una sorta di chef ad personam, che non costa neanche molto: 500 sterline al giorno, circa 560 euro. Non molto in rapporto a quel che guadagna un protagonista della Premier, come De Bruyne o Gündogan. La fucina di queste innovazioni è quasi sempre il City di Guardiola, che comincia a starmi leggermente antipatico. Dice Gündogan (fonte: Repubblica): «Al mio guru chiedo pure quanto devo bollire un uovo per evitare che mi si metta sullo stomaco». Il termine guru mi sembra un po’ inflazionato. Ascoltando altre voci, si arriva anche alla mamma.
De Bruyne: «Con lui in cucina mi sento a casa, è come se arrivasse mamma dal Belgio». Lui è Jonny Marsh, 26 anni, lanciato in Inghilterra dal francese Raymond Blanc che gli ha lasciato la gestione del suo “due stelle” nell’Oxfordshire. Marsh ha cancellato l’olio d’oliva, usa molto succo di limone e salsa di soia, non esclude un fritto ogni tanto (ed è solo questo dettaglio che lo salva da un 3).
Infine, la vicenda del cretino di Marzabotto, seguita da subito e non ancora archiviata. Insisto nel non dargli un nome, altri l’hanno fatto: cretino vale ignorante, di Marzabotto (a suo dire) ignorava tutto prima di festeggiare un gol con saluto romano e maglia ispirata alla Rsi.
Un sopravvissuto alla strage, Franco Leoni Lautizi, ha voluto incontrare il cretino, ha passato con lui una mezza giornata, poi ha messo foto dell’incontro, concluso da una stretta di mano, su Facebook insieme a sue considerazioni. «Non ho riscontrato in lui né fascismo né nazismo. Non ha nemmeno i baffetti e il ciuffo alla Hitler che gli hanno postato sull’immagine.
La sua idea di fascismo è solo una forma di protesta verso una politica ambigua che non fa niente per la disoccupazione dei giovani e il lavoro precario, parlamentari che delinquono e non hanno più nemmeno la dignità di vergognarsi e in questa sua idea non posso che dargli ragione». Anch’io, ma senza fare di tutta l’erba un fascio e di tutto il fascio un’erba. Cosa c’entrino i morti di Marzabotto con una protesta non immotivata resta da spiegare. «Non sapevo nulla» non è una spiegazione, è un’aggravante.