la Repubblica, 21 gennaio 2018
L’amaca
È buona regola prendere per i fondelli il politico demagogo e ballista (l’inimitabile classico resta Berlusconi: sta alla bufala elettorale come Eric Clapton all’assolo con la Fender) che promette sconti e detassazioni per centinaia di miliardi – non suoi – e ora anche la mutua per i cani e la pensione di anzianità per gli animali da circo.
Però non si parla abbastanza di quella parte non piccola dell’elettorato che è disposta a orientare il proprio voto sulla base di un conto così spicciolo.
Va bene, non tutti sono pensatori, filosofi o sognatori, non tutti disposti a guardare alla politica come scienza generale che prescinde dal proprio borsellino. Non tutti, per giunta, sono autonomi economicamente quanto basta per sentirsi davvero liberi.
Ma anche nei poveri e nei soli permane, in genere, il lume della dignità: quanto basta per non applaudire con entusiasmo ogni annuncio di mancia che piove dal pulpito di un comiziante.E anzi, considerare fastidioso che ci si rivolga ai cittadini come a una folla di questuanti.
Pare invece che ad ogni tintinnio di moneta corrisponda un tangibile incremento elettorale. Con gli aggiornamenti del caso: se la plebe del dopoguerra invocava il paio di scarpe e il pacco di pasta dal comandante Lauro, la post-plebe moderna si aspetta le crocchette per il barboncino. Buon segno: non abbiamo più fame.
Per la dignità, aspettiamo il prossimo secolo.