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 2018  gennaio 21 Domenica calendario

Un melodramma in 18 atti dal 1976

WASHINGTON Fragoroso e imbarazzante melodramma politico che periodicamente agita il grande teatro del governo americano senza produrre danni permanenti, lo shutdown, la chiusura dell’amministrazione federale, è sempre più recitazione che sostanza.
Per 18 volte, dal 1976 quando fu introdotto sotto il governo Ford il principio del finanziamento annuale da rinnovare per tutte le agenzie federali, dalle forze armate al personale di pulizia nei ministeri, Presidenti e Parlamento hanno inscenato la guerra dello shutdown per ottenere il plauso (e i voti) delle loro opposte platee, sempre cercando di scaricare sull’altro partito le colpe. Questo, cominciato alle ore 00.00 di sabato è il “Trumpshutdown” per i Democratici e lo “Schumershutdown”, dal nome del leader dell’opposizione democratica per i Repubblicani, secondo uno stucchevole, prevedibile, a tratti infantile copione.
Ma se qualche nemico pensasse che da ieri e fino al giorno in cui i soldi saranno miracolosamente trovati, magari fra sedici giorni – la più lunga “chiusura” nella storia di queste sceneggiate – l’America possa essere invasa impunemente approfittando della vacanza forzata dei sette milioni di americani dipendenti dai soldi del governo, si dissuada. Esercito, Aviazione, Marina, Guardia Costiera, guardie di frontiera, agenzie per la sicurezza agli aeroporti e molti “Orsi Yoghi”, i Ranger nei parchi nazionali resteranno in servizio.
Anche in una lunga e non nobile tradizione di shutdown cominciata con Ford nel 1976 quarantadue anni or sono e ripetuta per 18 volte con rigorosa bipartisanship avendo colpito Reagan, Bush I, Clinton, Obama e ora Trump, quest’ultima edizione del melodramma sembra essere specialmente grottesca e legata all’incomprensibile, forse studiata, imprevedibilità di un Presidente costretto a celebrare il primo anniversario del suo governo con la vergogna della chiusura del governo. Ma non degli emolumenti dei parlamentari che continuano a correre. L’assenza di leadership e di esperienza politica di Trump si è manifestata in maniera abbagliante e quella “palude politica” che aveva promesso di bonificare lo sta risucchiando. E ora teme che l’opinione pubblica rimproveri a lui l’umiliante Reality per l’America non tornata Grande. Ma come in tutti i melodrammi, sotto il cerone, ci sono storie vere, drammi umani reali che la rappresentazione teatrale lascia intravvedere. Per Ford, che voleva limitare le spese per l’istruzione pubblica, il nodo che produsse la ribellione del Parlamento fu il ruolo del governo nella scuola.
Con Carter, fece irruzione sulla scena il dramma dell’aborto volontario, che le destre cristianissime volevano eliminare dai rimborsi assicurativi federali.
Con Reagan, che era impigliato nella promessa elettorale di tagliare la spesa pubblica, furono i limiti di stanziamento a lanciare il braccio di ferro con un Congresso dominato dall’opposizione. E il melodramma raggiunse l’acuto nel duello fra Bill Clinton e Newt Gingrich, il boss della Camera dei Deputati, che decise di sfidarlo bloccando tutte le sue iniziative politiche, per dargli il colpo di grazia, pagando il prezzo. Il pubblico vide nell’estremista repubblicano, Gingrich, il colpevole e Clinton uscì trionfante anche da questo assalto, come dal caso Lewinsky.
In sostanza, dunque, il tentativo di togliere l’ossigeno ai sette milioni di americani che dipendono dai dollari del governo federale, ai quali vanno aggiunti altri nove milioni di minorenni coperti da una speciale assicurazione sanitaria, è sempre un duello per decidere chi, fra i due partiti, sia più popolare o più detestato.
Anche questa edizione 2018, legata – vergognosamente – al destino di quegli 800mila “sognatori”, ai minorenni illegali protetti da Obama e che pure Trump aveva promesso di salvare e sono diventati ostaggi della zuffa, è una sfida a Trump, sempre sotto il 40% di popolarità confermato dalla manifestazione delle donne ieri, e ai Repubblicani, in quest’anno elettorale. L’arma dei Democratici è semplice: i Repubblicani controllano Casa Bianca, Camera e Senato e dimostrano di non saper governare.
Ma la risposta del Repubblicani è altrettanto efficace: i Democratici ricattano i nostri soldati, il nostro governo, per salvare 800mila immigrati illegali. Populismo buonista contro populismo cattivista, nella confusione di un Presidente che cambia idea venti volte al giorno con scariche di tweet contraddittori. E mentre Wall Street inquieta attende la riapertura di lunedì per decidere se bucare il pallone del boom trumpiano o ignorare il melodramma washingtoniano, resta l’umiliazione di una sussiegosa superpotenza che non trova l’accordo per pagare i custodi dei parchi.