Corriere della Sera, 22 gennaio 2018
Storia di Lucky Ehi. Un Cristo nero tra le braccia della Madonna
TORINO Quando iniziò la sua personale Via Crucis al confine tra la Nigeria e il Niger, in un giorno imprecisato dell’Anno Domini 2012, Lucky Ehi non sapeva che cosa l’aspettasse al traguardo dell’ultima stazione. Né se ci sarebbe arrivato davvero. Si augurava semplicemente di sopravvivere fino al termine del suo viaggio verso l’ignoto. Superare la Libia, scampare alla ferocia dei passatori, alla fame, al mare in burrasca. Fino all’Italia. Poi, pregava, il buon Dio provvederà. E adesso, che il suo giovane corpo spoglio è adagiato, come un Cristo nero, tra le braccia della Madonna, è contento, quasi fosse approdato in Paradiso. Cullato dal marmo freddo pensa più o meno «chi sono io, che cosa sono rispetto a Maria, la Madre che ha raccolto tra le sue braccia il Figlio morto?». Segue docile i suggerimenti dello scultore, Fabio Viale, e del fotografo, Pino Scavo, per diventare tutt’uno con l’abbraccio materno, accogliente e protettivo della pietra bianca, scavata e vuota nel punto in cui Michelangelo Buonarroti aveva scolpito il proprio Gesù, deposto dalla croce.
Più che dalla sua nudità, o dal freddo del mese di novembre, Lucky Ehi è preoccupato di occupare un posto che non gli spetta, anche se il suo fisico, più minuto di quello di altri modelli già sperimentati, combacia perfettamente con la conca lasciata libera dall’artista. «Sembra il pezzo mancante» si sorprende lo stesso Fabio Viale di fronte alla magia della sua «installazione», finalmente completa: un profugo, uno dei tanti, uno degli ultimi, accolto dalla Pietà, una copia in scala 1 a 1 dell’originale modellato oltre sei secoli fa dal genio della Cappella Sistina. Quando la mano destra del ragazzo nero si posa con naturalezza su una piega dell’abito di Maria, la guancia sinistra abbandonata nell’incavo del suo braccio, arriva lo scatto perfetto. L’opera è finita. Diventerà grande come un poster ed è parte della mostra curata da Sergio Risaliti alla Galleria Poggiali di Milano, assieme alla Madonna di marmo che lo ha ricevuto come un figlio e al racconto registrato del calvario, durato quattro anni, del giovane nigeriano che, con molti altri migranti, ha attraversato il deserto e poi il Mediterraneo, in uno dei mille barconi.
«Ho la persona giusta per te», ha detto Franco Cassotta dell’Associazione Demetra all’amico Fabio Viale che, alla fine della scorsa estate voleva dare «un volto nuovo a questo Cristo». «Tra i miei allievi – gli ha spiegato Cassotta, che insegna italiano ai transfughi ospitati a Torino dal centro di accoglienza straordinaria, L’Isola di Ariel – c’è chi può capire il tuo intento e accettare di posare». Lucky Ehi è un cristiano cattolico scampato al massacro subito dai suoi correligionari, dopo la vittoria elettorale di Goodluck Jonathan che nell’aprile di sette anni fa scatenò in Nigeria l’ira dei rivali islamici, battuti alle urne ma decisi a dimostrare chi comanda. La croce tatuata sul suo braccio lo trasformava in un obiettivo, inoltre era stato uno degli scrutinatori ai seggi: «Uccisero nove di noi, così scappai e decisi di andare in Libia», la voce registrata di Lucky Ehi risuona nella galleria milanese dove, fino al 30 marzo, si può ascoltare, tappa per tappa, la storia di un viaggio durato quattro anni, prima dello sbarco a Catania e del trasferimento a Settimo Torinese, con la Croce Rossa. «A Saba rimasi tre anni nei quali non avevo nulla, né casa, né un posto in cui dormire; per sopravvivere chiedevo l’elemosina e per cinque mesi dormii in strada».
Silvana Perrone, che dirige L’Isola di Ariel, è convinta che gli sia andata molto peggio di così. «Ora devi imparare bene l’italiano», gli raccomanda Silvana. Altrimenti i suoi sogni non diventeranno realtà per miracolo: «Un giorno vorrei iscrivermi all’Università di Torino – s’immagina ingegnere meccanico Lucky Ehi – oppure potrei diventare pastore e trovare una buona moglie». Ha 22 anni e tempo per trovare la sua strada, se arriverà per lui il permesso di soggiorno. Fabio Viale gli ha regalato i diritti della foto. Ora appartengono al signor Lucky Ehi Akehomen. Sarà la suggestione ma quel cognome suona come «Ecce Homo».