Corriere della Sera, 21 gennaio 2018
Le chat segrete dei ragazzi
Gli sms sono ormai un ricordo. E anche WhatsApp non è l’ultima frontiera di comunicazione degli adolescenti. Ora che il cellulare ha avuto il «via libera» a entrare in classe, seguendo le regole previste dal Decalogo per l’uso dello smartphone in classe del Ministero, tra i giovani ha già preso piede una nuova moda. Sicuri di non lasciare tracce, inviano messaggi, foto e video nelle cosiddette «chat segrete». Inventate per condividere dati sensibili, hanno trovato spazio su Facebook, Telegram e Snapchat, per citare le più note. Ma come funzionano? Basta impostare un timer per decidere in quanti giorni, ore o (addirittura) secondi quello che abbiamo scritto deve sparire. Alcuni sistemi sono legati a un’identità definita (vera o finta che sia, ndr ), altri permettono di chiacchierare senza svelare chi siamo. Non sapendo, però, nemmeno chi si nasconde dall’altra parte dello schermo.
«Le chat segrete sono connaturate al desiderio degli adolescenti, che ancora devono definire la propria identità, di scoprire i propri limiti e oltrepassare l’ambiente protetto in cui vivono», spiega Alessandro Rosina, docente di Statistica Sociale alla Cattolica di Milano. Il primo allarme era suonato con Snapchat, usato anche per inviare immagini private, intime e sessualmente esplicite, «concedendo» pochi secondi per visualizzarle. Non tutte le «chat segrete» sono usate, però, per il sexting. Tra i ragazzini è diventata popolare Kik Messenger – nata nel 2010 – dove, a differenza di Whatsapp, non serve un numero di telefono per accedere, ma basta una mail. E per crearne in Rete, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Sarahah, invece, è stata una delle app anonime più virali del 2017: ideata da un 29enne saudita come «cassetta dei consigli», permette di ricevere messaggi senza sapere chi li ha scritti e di scriverne, senza dire che siamo stati noi. Il risultato? Presto è stata introdotta la possibilità di impedire di essere trovati nelle ricerche, dato che molti utenti sono stati travolti da insulti e volgarità. C’è, poi, Telegram, che usa un sistema di crittografia end-to-end. Il problema resta quello dell’ambiguità della Rete: «Sono i giovani a decidere cosa far conoscere e cosa resta avvolto dal mistero. Si nascondono dietro una maschera, cosa che in passato era possibile solo a Carnevale. Con la peculiarità che queste chat si fondano sull’autodistruzione». Gli adulti si interrogano ancora sull’uso o meno dei device, ma mancano strumenti formativi: «L’arrivo dei genitori sui social ha spinto i ragazzi a cercare nuovi spazi. In fondo, il desiderio di sperimentare senza controllo c’è sempre stato. Una volta uscivamo con gli amici, senza dire dove», ricorda Rosina. «Il non essere scoperti favorisce comportamenti legati a un uso distorto di strumenti nati per avvicinare, non per fare del male». Serve una risposta educativa e di conoscenza. «Non possiamo controllare i ragazzi in tutto, non ci siamo mai riusciti, figuriamoci in Rete. Bisogna spiegare i rischi a cui vanno incontro e stabilire dei codici. Il telefono in classe va presentato come strumento di ricerca. Il web è il loro mondo, non ha senso tenerlo fuori dalle aule».