Corriere della Sera, 21 gennaio 2018
«Quelle voci in Conclave: Bergoglio non ha un polmone. Fui io a chiedergli la verità»
Quando nel febbraio del 2001 San Giovanni Paolo II impose la berretta cardinalizia a 44 nuovi cardinali (...) tenne un’omelia memorabile (...). «Il vostro servizio alla Chiesa», disse il Papa polacco, «si esprime poi nel prestare al Successore di Pietro la vostra assistenza e collaborazione per alleviarne la fatica di un ministero che si estende fino ai confini della Terra. Insieme con lui dovete essere difensori strenui della verità e custodi del patrimonio di fede e di costumi che ha la sua origine nel Vangelo (...)». Ecco, quelle parole (...) sono rimaste impresse nei nostri cuori e anche in quello del nostro papa Francesco, che nei suoi anni da arcivescovo di Buenos Aires ieri e da Papa oggi sta mettendo in pratica quanto gli era stato chiesto nel momento in cui diventava prima sacerdote, poi arcivescovo e cardinale.
A distanza di tanti anni, le congregazioni generali che hanno preceduto il conclave del 2013 sono state vissute da noi cardinali, chiamati a eleggere il nuovo Papa, con quello spirito (...) di servizio alla Chiesa universale (...). Il discorso dell’arcivescovo di Buenos Aires ci stupì: il cardinal Bergoglio si presentava umilmente, quasi chiedendo scusa per aver preso la parola, ponendo però interrogativi che stavano a cuore a tanti altri porporati e che fino ad allora non erano stati ancora affrontati. Ci parlò della gioia di evangelizzare, della necessità di uscire e andare nelle periferie «non solo geografiche ma anche esistenziali», ammonendo che «quando la Chiesa non esce per evangelizzare, diventa autoreferenziale e si ammala» di narcisismo teologico, credendo involontariamente di avere una luce propria. Bergoglio parlò della Chiesa mondana, che vive in sé e per se stessa, chiarendo che «questa analisi dovrebbe far luce sui possibili cambiamenti e sulle riforme che devono essere fatte per la salvezza delle anime». Ricordo che prima di concludere il suo breve intervento, l’arcivescovo di Buenos Aires definì l’identikit del futuro Papa dicendo: «Pensando al prossimo Papa, c’è bisogno di un uomo che, dalla contemplazione e dall’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso la periferia esistenziale dell’umanità, in modo da essere madre feconda della “dolce e confortante gioia di evangelizzare”».
E fu in quei giorni che parlammo della necessità di rendere il Vaticano e la Chiesa ancora più collegiali e universali, di come affrontare la piaga delle persecuzioni dei cristiani nel mondo, degli interventi sullo Ior, della riforma della Curia Romana e di tante altre cose (tra massoneria, lobby e Vatileaks). Non posso certo dire cosa è successo all’interno della Sistina, durante il conclave, ma posso raccontare una cosa: quando iniziò a delinearsi la figura dell’arcivescovo di Buenos Aires come possibile nuovo Pontefice, le famose cordate clericali di cui oggi Francesco parla tanto, iniziarono a muoversi per ostacolare il disegno di Dio che stava per realizzarsi. Qualcuno (...) addirittura mise in giro la voce a Santa Marta che Bergoglio fosse ammalato, che fosse senza un polmone. (...) Parlai con altri cardinali e dissi: «Va bene, andrò io a chiedere all’arcivescovo di Buenos Aires se le cose stanno davvero così, se è davvero ammalato». Quindi andai a trovarlo: chiesi scusa per la domanda che stavo per fare ma il cardinale Bergoglio, molto sorpreso per il quesito, mi confermò che a parte un po’ di sciatica e un piccolo intervento al polmone sinistro per la rimozione di una ciste quando era ragazzo, non aveva grossi problemi di salute. Fu un vero sollievo: lo Spirito Santo, nonostante gli ostacoli delle cordate, stava soffiando sulla persona giusta! E fu per me una grande emozione vederlo vestito di bianco, quella sera del 13 marzo 2013.
Da quel giorno tutto è cambiato, e oggi con Francesco (...) sta cambiando anche la conformazione del Collegio cardinalizio (...) che si è aperto ancora di più al mondo: i famosi confini della terra di cui parlava Giovanni Paolo II nella sua omelia del nostro concistoro del 2001. Le Isole Tonga, il Myanmar, l’isola di Capo Verde, il Bangladesh, la Repubblica Centrafricana, Panamá, El Salvador, la Siria (con la clamorosa scelta di creare cardinale il nunzio apostolico in servizio in quella terra martoriata): eccole le periferie del pianeta che fino a oggi non avevano mai avuto un cardinale e che papa Francesco ha voluto «premiare» con la porpora. Perché la Chiesa esca da se stessa e raggiunga questi luoghi remoti del pianeta. (...)
* Arcivescovo di Tegucigalpa, coordinatore del C9 di papa Francesco