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 2018  gennaio 22 Lunedì calendario

La tragedia di Rigopiano. L’hotel intrappolato tra la neve e il demonio. Il dramma ricostruito ora per ora

All’alba del 18 gennaio 2017, circa dieci ore prima che una valanga spazzasse via l’hotel Rigopiano e ammazzasse ventinove persone, l’ingegner Paolo D’Incecco era alle prese con una dolorosa colica renale. Aveva due opzioni: andare a lavorare o in ospedale.
Rimase invece a casa perché la provincia di Pescara, come l’intero Abruzzo, e le Marche e l’Umbria e il Lazio, erano sotto una nevicata che non si vedeva da decenni. Ma il peggio doveva ancora venire. Nel pomeriggio, quando all’hotel Rigopiano restavano pochi minuti di vita, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia avrebbe informato che «quattro sismi di magnitudo superiore a cinque nell’arco di quattro ore è un fenomeno mai visto». Magnitudo 5.3 alle 10.25, magnitudo 5.4 alle 11.14, magnitudo 5.3 alle 11.25, magnitudo 5.1 alle 14.33. Nel breve intervallo, forse di mezzora, fra la comunicazione dell’Istituto e la valanga, arrivò la quinta forte scossa: magnitudo 4.3 alle 16.16.
È dunque l’alba quando l’ingegner D’Incecco telefona a un collaboratore, Mauro Di Blasio, che gli dà notizie su Farindola, il comune di Rigopiano: «Ho difficoltà a telefonare al sindaco perché prende solo in un angolino del paese... lui deve uscire, andare su questa scalinata, parlare con me, tornare indietro». L’hotel non è un problema. «Prima dobbiamo liberare Farindola, poi penseremo all’hotel», dice Di Blasio. «Bè, certo, ci mancherebbe», risponde D’Incecco. Anche il sindaco non è preoccupato per gli ospiti dell’hotel, ma per le condizioni del comune e delle contrade. Dal giorno prima posta su Facebook foto da tregenda. «Siamo isolati. Sollecito mezzi. Ci sono file di macchine nella neve». Di Blasio sbotta con D’Incecco: «La fila siamo andati a sbloccarla alle quattro del mattino. Erano andati a mangiare la pizza, tra parentesi». D’Incecco: «Lo sport prevalente è dare la colpa a qualcun altro, il governo ladro, capito?».
Codice arancione
In quel momento il sito della Protezione civile continua a dare codice meteo arancione – «moderata criticità» con pericoli. È così da quarantotto ore. Presto si rivelerà un codice rosso – «elevata criticità» con molti pericoli. Fra neve e terremoto, il centro Italia è nel caos. Nella giornata le emergenze e le richieste d’aiuto saranno migliaia: «Siamo sommersi dalla neve, non possiamo raggiungere le frazioni e i nostri animali», dice il sindaco di Ussita, già devastato dal terremoto; 110mila abruzzesi sono senza energia elettrica; esondano il Pescara e il Saline; strade e ferrovie sono interrotte; i comuni terremotati delle Marche lanciano un Sos collettivo: «Aiutateci»; a Pieve Torina crolla l’asilo provvisorio; due operai sono travolti da una slavina a Sassotetto; si raggiungono i comuni isolati con gli sci per portare il latte ai neonati; una donna incinta è prelevata dall’Esercito ad Amatrice e trasferita all’ospedale; a Villa Celiera è crollata una casa e non si sa nulla di chi c’è dentro, lì non ci si arriva neanche con gli elicotteri; a Roccafluvione si portano bombole d’ossigeno per gli anziani; Accumoli rasa al suolo chiede l’aiuto dei militari; si segnalano allevatori dispersi ad Arquata; il presidente della provincia di Teramo si dichiara disarmato: «Aiutateci»; il sindaco di Camerino crolla: «Siamo abbandonati a noi stessi»; collassa un supermercato a Penne, due dispersi sotto le lamiere; a Castiglione si estraggono due ragazzi in ipotermia dalle macerie; i paesi e i borghi isolati sono ben oltre il centinaio; slavine ovunque.
Le turbine in prestito
Paolo D’Incecco, da casa, continua a coordinare lo sgombero delle strade perché passino i soccorsi. È dirigente delle Opere pubbliche della provincia di Pescara. In alcuni punti il muro di neve è alto due metri: gli spazzaneve sono impotenti, servono turbine. Ma di turbine D’Incecco ne ha soltanto tre, e una si romperà due volte durante il giorno. Soltanto tre perché i soldi mancano e le turbine non sono nemmeno una priorità: di nevicate del genere se ne registra forse una ogni vent’anni. Lo informano: «L’emergenza è serissima. Il problema è a Roccacaramanica, la quantità di neve è superiore all’altezza delle lame»; «a Colle Corvino è emergenza, aspettiamo da ore»; «serve urgente un monitoraggio del ponte sul fiume Nora»; «bisogna intervenire subito a Rocca Morice»; «l’emergenza delle emergenze è Sant’Eufemia». «Mi scoppia la testa», dice D’Incecco. Con il presidente della provincia concorda la richiesta d’aiuto all’Esercito. Si fa prestare una turbina da Autostrade e una dall’Anas. Intanto i sindaci, a decine, continuano a postare sui social foto del loro disastro rionale, ignorando il disastro globale: «Ci hanno abbandonati». Alle 9.50 danno a D’Incecco aggiornamenti da Farindola: «Gli stiamo dando una grossa mano, poi andiamo su a Rigopiano». «Lascia stare l’albergo, mi ha rotto il cazzo l’albergo», esplode D’Incecco. La chiameranno «telefonata shock».
Ma D’Incecco, e con lui il resto del mondo, hanno altro a cui pensare. Anche perché ci si mette pure la politica. Il consigliere regionale di Forza Italia, Paolo Sospiri, dice che «la gente sta morendo». Matteo Salvini che «i sindaci mi stanno scrivendo, sono abbandonati a se stessi». Non dicono niente di nuovo, ma lo dicono. E questo conta. Sospiri lancia l’allarme di Villa Celiera. Il presidente della Provincia, Antonio Di Marco, chiama D’Incecco: «Sospiri punterà su questo. Ma se succede che muore qualcuno, la responsabilità è di qualcun altro, non mia». D’Incecco: «E che è mia? Stai a vedere che la colpa è mia». Intanto sta cercando di muovere le sue turbine. Chiama un collaboratore: «Dove siete?». «A Roccafinadamo e a Trofigno non ci si arriva da ieri... A Trofigno c’è un disabile che ha bisogno di medicazioni giornaliere. Io non so più che fare...». Alle 12.59 gli scrive un sms il sindaco di Farindola. «Siamo in difficoltà, abbiamo bisogno di aiuto. Tutto il territorio è senza energia elettrica e telefonica. Tutte le contrade sono completamente isolate. Ci sono bambini e anziani. Per favore fate presto». Due minuti dopo, alla prefettura di Pescara, arriva una mail di Bruno Di Tommaso, amministratore di Rigopiano (ma quel giorno non è all’hotel): «La situazione è diventata preoccupante. Ci sono due metri di neve. Il gasolio per alimentare il gruppo elettrogeno dovrebbe bastare fino a domani. I clienti sono terrorizzati dalle scosse sismiche e hanno deciso di restare all’aperto. Non potendo ripartire a causa delle strade bloccate, sono disposti a trascorrere la notte in macchina. Certi della vostra comprensione, restiamo in attesa di un cenno di riscontro».
D’Incecco non s’è fermato un momento. Alle 15.35 – più o meno un’ora prima della valanga – sente Carmine Ricca, dell’Anas, che è a Farindola. «Sono stato a Penne, ma Penne è un manicomio... la gente in mezzo alla via... hanno lasciato le macchine tutte in mezzo alla strada... come passo io?». Dopo un po’ parlano anche di Rigopiano: «Oggi pomeriggio non si può fare niente?». «La madonna che c’è qua... Penso di no». «Se ne parla domattina?». «Almeno domattina, anche dopo ore. Perché se dobbiamo liberare la Spa al limite ci andiamo a fare il bagno». Ridono. E anche questa avrà il titolo di telefonata shock.
Rigopiano, ore 17.08. Giampiero Parete è in auto. L’albergo è annientato. Fra i sepolti ci sono anche i due figli e la moglie (che si salveranno). Lui era andato in macchina a prendere una medicina. Chiama il 118: «L’hotel non c’è più. Siamo solo io e un’altra persona. C’è stata una valanga. Non c’è più niente. È crollato tutto». L’operatore registra la telefonata. Bisogna verificare che non si tratti di un falso allarme. In mattinata ne era già arrivato uno. «È crollato l’hotel». Ma si trattava di una stalla sotto il peso della neve. Dal 118 chiamano l’hotel. Silenzio. Richiamano Parete, niente da fare. Lo chiamano a vuoto trentuno volte. Non sanno che a Parete si è bagnato il telefono, ed è fuori uso. Alle 17.40 il coordinatore del 118, Mauro D’Agostino, chiama la Guarda costiera per avere un elicottero che vada a dare un occhio a Rigopiano. «Impossibile. Con queste condizioni meteo, lì gli elicotteri non ci arrivano». Intanto Vincenzino Lupi, direttore della Sala operativa di Pescara, telefona a Bruno Di Tommaso, l’amministratore, quello che alle 13.01 aveva mandato la mail. «Sono il dottor Lupi. Sono stato spesso ospite da voi. Abbiamo avuto una telefonata di una persona che diceva che all’hotel di Rigopiano c’erano feriti per crolli». «Ma no... Chi l’ha fatta...». «Non risponde più... a noi il numero ci appare sempre benché ci si metta trucco, trucchetto, anonimo eccetera. Tu hai notizia?». «Certo che ho notizia, no no». «Quindi tutto a posto». «Cioè tutto a posto nel senso che...». «Benissimo mi fa grande piacere». «Io sono stato fino a mo’ in collegamento». «Perfettissimo. Mi dà un gran sollievo». (A questo punto serve una piccola spiegazione: questa è la storia di Rigopiano vista da un altro punto di osservazione, quello dei soccorritori. Non per sottovalutare o trascurare l’enormità della tragedia, ma per provare a capirla da un’angolatura diversa, su cui ci si è fin qui soffermati troppo poco).
«Avrei bisogno di sapere se c’è una turbina disponibile e se sta andando a Villa Celiera. Credimi lì stanno morendo degli anziani». Un altro sms per Paolo D’Incecco. Non sa nulla di Rigopiano. Ha appena litigato con il sindaco di Sant’Eufemia che impedisce alla turbina di proseguire verso Roccacaramanico, e liberare la strada provinciale anche là. «Il sindaco si è messo in mezzo alla strada e dice che non la fa passare». Vuole che si liberino anche le strade comunali. «Ma io sono la Provincia! Devo pensare alle provinciali! Devo far arrivare la turbina a Roccacaramanica!». «Io ho 850 persone per strada che sono uscite per paura del terremoto, e adesso con la neve non riescono più a tornare in casa». «Ok, senti, ti lascio la turbina un’ora, un’ora e mezzo. Non di più».
Allarmi e verifiche
Alle 18.06 il ristoratore Quintino Marcella telefona al 112. Ha appena parlato con Giampiero Parete, a cui s’è finalmente asciugato il telefono. Parete è il suo cuoco. «È successo qualcosa di molto grave, è crollato l’albergo, non c’è più niente», dice Marcella. «Un attimo, verifico con la prefettura». Dalla prefettura risponde Daniela Acquaviva, dice che è un falso allarme, è tutto ok. Marcella non desiste. Alle 18.20 chiama anche il 113 che le gira Daniela Acquaviva. «Il mio cuoco mi ha chiamato cinque minuti fa tramite Whatsapp, mi ha detto che l’hotel Rigopiano è crollato». «Allora guardi, questa storia va avanti da stamattina. I vigili del fuoco e i carabinieri si sono attivati, hanno fatto le verifiche e non c’è nessun crollo. È crollata la stalla di Martinelli». «Ma il mio cuoco mi ha chiamato cinque minuti fa, mi ha detto che è crollato tutto, è una persona seria. È il figlio di Gino Parete, quello che ha la pasticceria...». «Lo conosco benissimo, lui, suo fratello, i genitori. Ma ce l’ha il numero di questo signore?». «Sì, 328... Ma non riesco a contattarlo». «Me lo dia a me». «328...». «Poi provo ma senta, noi abbiamo fatto tutte le verifiche del caso. Che le devo dire? Il 118 mi conferma che hanno parlato con il direttore dell’hotel ed è tutto a posto. Non so che dirle». «Eh, neanch’io». «Purtroppo la mamma degli imbecilli è sempre incinta, sarà qualcuno che si diverte». «Mi faccia mettere in contatto con il direttore». «A chi? Ma lei lo sa come siamo messi? Gente intossicata, gente che non può uscire con la dialisi da casa. Provi lei a mettersi in contatto con l’hotel». «Non ci riesco...». «C’è riuscito il 118 con un telefono normale, non ci riesce lei? Sia gentile... Ora mi scusi ma la devo lasciare perché ci sono delle situazioni veramente gravi». (Terza telefonata shock, secondo le cronache).
«Qua sta scoppiando un bordello perché ci sono questi due intossicati. E mo’ stanno telefonando che una valanga ha buttato giù l’hotel Rigopiano». Sono le 19.25. È Mauro De Blasio al telefono con D’Incecco. «Ma è vera questa cosa o no?», chiede D’Incecco. «Questo adesso stanno accertando». «Una valanga sopra l’hotel». «Questi non ci credono però non possono neanche non fare a meno di accertare». «Si sta a finire il mondo».
Fra i ventitré indagati per la strage di Rigopiano c’è anche Paolo D’Incecco. Daniela Acquaviva no. Si tratterà di stabilire, fra l’altro, se il ritardo dei soccorsi abbia inciso sull’enormità del bilancio. Per almeno uno dei ventinove morti sembra possibile.
Ore 20, minuto più minuto meno. Il citofono di Fernando Parete, fratello di Giampiero, squilla insistentemente. «Dice di chiamarsi Daniela Acquaviva, della prefettura. Con voce molto concitata mi chiede di scendere. Scendo, e comincia a domandarmi di mio fratello, chi è, dove lavora, se conosco Quintino Marcella, se noi siamo i figli di quelli della pasticceria. Allora mi infastidisco, le dico scusi ma lei chi è, di che ha bisogno, le serve aiuto? Lei mi chiede se mio fratello è in vacanza a Rigopiano, e se ho notizia che l’albergo è crollato. Le dico, ora chiamiamo, se risponde vedremo se la tua notizia è vera o no, se non risponde vuol dire che sono tutti morti. Chiamo Giampiero. Lui è in lacrime. “Qui è crollato tutto, sono morti tutti, c’è stata una valanga, ci siamo io e un altro, stiamo morendo congelati”. La donna scoppia a piangere. Io le chiedo se i soccorsi sono partiti. Lei non risponde. Se ne va e continuo a sentirla piangere».