La Stampa, 22 gennaio 2018
L’offensiva di terra della Turchia contro i curdi nel Nord della Siria. Erdogan invia tank e blindati a Afrin per eliminare i terroristi dell’Ypg
Le forze di terra turche, colonne corazzate con decine di tank e blindati, sono entrate ieri mattina nel cantone curdo di Afrin, lo spicchio più nordoccidentale della Siria. Uno sviluppo inatteso nel conflitto, tanto che ieri il vicepresidente Mike Pence è atterrato in Giordania al confine con la Siria, per ribadire l’importanza della lotta all’Isis.
è il secondo intervento della Turchia nel Paese, dopo quello dell’estate del 2016 a Jarabulus e Al-Bab, ma ora il nemico non è l’Isis, sono i guerriglieri curdi dello Ypg, preziosi alleati degli americani nella lotta contro lo Stato islamico a Raqqa e in tutto il Nord-Est siriano. Per la Turchia, però, lo Ypg è soltanto la “costola siriana” del Pkk, una organizzazione terroristica che minaccia lo stesso territorio nazionale, quindi da “eliminare”.
L’esercito turco e le milizie alleate arabo-siriane hanno attaccato su più direttrici. Da Ovest, dalla provincia turca di Hatay, verso la cittadina di Rojo. Da Sud verso Jandaris, colpita anche dagli F-16, e da Est verso Tell Rifat. I portavoce dello Ypg hanno detto che nei raid sono morte dieci persone, sette civili, mentre numerosi soldati turchi sarebbero rimasti feriti. Circostanza confermata dal capo di stato maggiore turco, generale Hulusi Akar. I curdi hanno risposto con razzi da 122 mm lanciati verso la città turca di Kilis e verso Reyhanli, in provincia di Hatay, dove un rifugiato siriano è morto e ci sono anche 32 feriti. Un missile anti-tank “Milan” ha invece distrutto un tank turco, come si vede in un video diffuso dallo Ypg.
L’offensiva ha avuto l’ok di Mosca, che ha ritirato il suo piccolo contingente da Afrin. Per i curdi è “un tradimento”. Vladimir Putin però vuole conservare a tutti i costi l’intesa con Recep Tayyip Erdogan, che prevede anche una zona di influenza turca. Il presidente siriano Bashar al-Assad deve ingoiare il rospo di un’altra “violazione della sovranità”, una fetta di territorio che se ne va. Il raiss ha condannato la «brutale aggressione» ma secondo fonti curde da Kobane avrebbe avuto da Putin la promessa di poter riprendere Idlib, ben più importante per il regime, senza ostacoli da parte della Turchia.
La pax putiniana in Siria scricchiola, e lo Zar è costretto ad aggiustamenti in corsa. Ma l’America non ha ancora deciso come approfittarne. Il Segretario di Stato Rex Tillerson si è detto “preoccupato” anche se condivide le preoccupazioni turche, “alleato della Nato e partner nella lotta contro l’Isis”, mentre il Segretario alla Difesa Jim Mattis ha precisato che «La Turchia si è comportata in modo trasparente: ci ha avvertito prima che lanciassero l’azione”. Ma ben più importante è stata la tappa a sorpresa di Pence in una base delle truppe Usa in Giordania al confine con la Siria. Pence ha sottolineato l’importanza dell’intervento americano in Siria e Iraq che ha permesso di liberare “il 90 per cento del territorio” del Califfato e ribadito che le truppe resteranno nella regione “finché non distruggeremo l’Isis” e per contenere l’espansione di Teheran: “Non permetteremo all’Iran di diventare una potenza nucleare e destabilizzare la Regione”.
I pezzi del puzzle però non tornano e la Francia di Emmanuel Macron ha chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Come in Iraq Washington deve scegliere fra due alleati incompatibili: o i curdi, o la Turchia. Le parole di Pence cercano anche di reindirizzare l’azione di Ankara contro l’Isis, e infatti il vice premier turco Bekir Bozdag ha parlato di operazione contro “tutti gli elementi terroristici”, anche islamisti. Difficile invece convincere Erdogan a orientarsi contro l’Iran. Con Hassan Rohani l’intesa regge e anche le proteste di Teheran sembrano più che altro di facciata.