il Fatto Quotidiano, 21 gennaio 2018
Gianni Agnelli, tutti i demoni dell’Avvocato
Verso la fine del documentario prodotto dalla Hbo le parole di Lapo Elkann, figlio di Margherita Agnelli e nipote di Gianni l’Avvocato, nella loro asciuttezza suonano agghiaccianti: “Penso che sia stato un nonno meraviglioso, ma non avrei voluto essere suo figlio”. Anche la testimonianza sullo zio e sul cugino Edoardo di Lupo Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli, è asciutta e agghiacciante: “Eravamo a pranzo, a un certo punto Edoardo ha detto qualcosa, e Gianni gli rispose male, sprezzante. E io pensai che non riuscivo a credere che dopo tanti anni quel rapporto fosse così logorato dalla mancanza di rispetto del padre verso il figlio”. Tre giorni dopo, il 15 novembre 2000, Edoardo Agnelli si suicidò lanciandosi nel vuoto da un viadotto alto 80 metri sull’autostrada Torino-Savona. Giulio Marconi, per una vita cuoco dell’avvocato, sembra il più umano: “Allora io gli ho fatto, Avvoca’, dico, un po’ di colpa ce l’ha pure lei. Edoardo per me era un ragazzo bravissimo, il padre ha avuto poca fiducia in lui, e lui vedendosi così ha fatto quello che ha fatto”. Tiberto Rodrigo Brandolini d’Adda, detto Ruy, figlio di Cristiana Agnelli e cugino di Edoardo, sembra emozionato: “Gianni era totalmente devastato. Mi disse: ‘Dio, devi avere un sacco di coraggio per buttarti giù da quel ponte’. Sì, Edoardo lo fece per mostrare al padre che aveva coraggio”. Nicola Caracciolo di Castagneto, fratello di Carlo e Marella, cognato dell’Avvocato, si commuove: “Dopo il funerale di Edoardo, nella casa di Villar Perosa, Gianni mi disse: ‘Non dovremmo mai dimenticare che questa è stata una casa felice, ma questa adesso non è una casa felice’”. La sorella Cristiana: “Vidi Gianni un mese dopo la morte di Edoardo. Era molto, molto triste. Non lo riconobbi”. Dopo il suicidio del figlio che non aveva saputo amare, l’Avvocato sprofonda in una invincibile depressione e nella malattia che lo ucciderà due anni dopo, il 24 gennaio 2003.
Il documentario di Nick Hooker con cui questa sera alle 21,15 il canale Sky Atlantic HD ricorda il signor Fiat a quindici anni dalla morte, è sobrio come il suo titolo (Agnelli) e con qualche lacuna e ingenuità storiografica riempie un vuoto singolare. Attorno a quest’uomo, centrale nella storia italiana del Dopoguerra, si è creata una cortina di silenzio. Trent’anni fa Agnelli incaricò di scrivere la sua biografia il giornalista del Wall Street Journal Roger Cohen, gli fece ore di confidenze e poi cambiò idea, lo pagò e si tenne il libro. Nel 2008 John Elkann incaricò di scrivere una biografia autorizzata del nonno la giornalista dell’Economist Vendeline von Bredow. Due anni di lavoro ma neanche quel volume è mai uscito. Si parla di un libro di memorie di Gianluigi Gabetti, uno dei manager più vicini all’Avvocato, stampato e mai pubblicato. Poi c’è lo storico Giordano Bruno Guerri che ha in gestazione una nuova biografia autorizzata, sempre sotto la regia di Elkann, che però sembra faccia fatica a uscire. Agnelli l’irresistibile di Marie-France Pochna risale al 1990, quindi è datato e comunque ormai introvabile come Tutto in famiglia di Alan Friedman (1988). Inspiegabilmente, poi, la Mondadori ha messo fuori catalogo un recente (2007) piccolo classico come Casa Agnelli di Marco Ferrante. A questo deserto di documentazione sulla storia di Agnelli fa eccezione il film di Giovanni Piperno Il pezzo mancante, disponibile sul sito Raiplay, che sviluppa da Casa Agnelli uno dei temi più imbarazzanti per la famiglia, ignorato da Hooker: la storia di Giorgio Agnelli, il fratello di Gianni, suicida nel manicomio svizzero dove fu rinchiuso dopo avergli sparato.
Certe reticenze sembrano dovute, come molti credono, alla comprensibile volontà degli eredi di non vedere strombazzati gli aspetti più imbarazzanti della biografia dell’Avvocato, almeno finché sarà in vita la moglie Marella Caracciolo, oggi novantenne. Per questo si fatica a capire la partecipazione corale dei parenti più stretti di Agnelli (in testa le due sorelle Maria Sole e Cristiana ei tre nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann) al lavoro di Hooker, apologetico nei toni ma spietato nella sostanza.
C’è un prima e c’è un dopo. Il prima è la storia di un ragazzo nato nel 1921 a Torino in una famiglia ricchissima che perde il padre a 14 anni e si trova con sei sorelle e fratelli più piccoli. Vengono di fatto adottati ed educati dal nonno, il senatore Giovanni Agnelli, che dopo la Liberazione viene estromesso dalla sua Fiat come collaborazionista e, secondo la leggenda, ne muore di crepacuore. La fabbrica viene gestita dal manager Vittorio Valletta che dice a Gianni, il padrone, secondo la ricostruzione di Maria Sole Agnelli: “Lei si diverta e quando sarà il momento le riconsegnerò la Fiat”. La sorella, ilare, commenta che Gianni davvero “si è divertito!”. Diventa presidente della Fiat e smette di divertirsi (non del tutto, naturalmente) nel 1966, a 45 anni.
Il prima e il dopo però si parlano. L’Avvocato padre della patria degli anni ‘70 e ‘80 è lo stesso uomo che, come raccontò la sorella Susanna a Massimo Fini, aveva letto un solo libro in vita sua (Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway), pubblicato peraltro quando Gianni aveva già passato i 30 anni: “Preferisce vivere piuttosto che leggere”. È lì che si prepara la tragedia. Un uomo che dalla vita ha avuto tutto, bellezza, fascino, le donne più belle del mondo in fila per stare con lui, denaro senza limiti, e poi il potere, il prestigio, il ruolo di italiano più noto e più ammirato nel mondo intero, sarà distrutto dall’incapacità di amare il suo unico figlio maschio, colpevole forse di preferire leggere che vivere. O semplicemente di essere meno cinico di suo padre.
La vita di Gianni da giovane? “Ragazze, ragazze, ragazze”, sorride compiaciuta Maria Sole. “Un seduttore irresistibile”, chiosa Diane von Fürstenberg, ex moglie di Egon figlio di Clara Agnelli. Un matto, insinua Carlo De Benedetti: “Guidava come se stesse gareggiando in Formula 1 e invece era nel centro di Torino”. Una vita erotica turbolenta ma alla luce del sole, almeno davanti agli occhi di amici e amiche che nel documentario di Hooker non lesinano particolari indiscreti e piccanti fino al cattivo gusto. La stilista Jackie Rogers racconta della sera che in un albergo lo trovò a letto con Anita Ekberg, non si capisce bene se prima o dopo il matrimonio con Marella Caracciolo, ma forse si capisce. Sicuramente quel matrimonio fu preceduto da una relazione di cinque anni con la scoppiettante Pamela, un anno più grande di Gianni ed ex moglie del figlio di Winston Churchill. Pamela lo voleva sposare ma non piaceva alle sorelle dell’Avvocato, e forse nemmeno a lui. La relazione costa cara all’Avvocato, in tutti sensi. Copre d’oro la ragazza, regalandole un attico nella zona più prestigiosa di Parigi e mettendole a disposizione servitù e autista. Ma una sera del 1952, in Costa Azzurra, Pamela lo sorprende con la giovane Anne-Marie d’Estainville e dà in escandescenze, notificando alla ragazza, e senza abbassare la voce, di ritenerla “una puttana”. Gianni e Anne-Marie, raccontano divertiti gli amici, decidono di sottrarsi all’ira funesta dell’ex nuova di Churchill e futura ambasciatrice americana a Parigi. Saltano sull’auto sportiva del giovane miliardario e vanno a tutta velocità incontro al grave incidente stradale (sette fratture alla gamba) di cui Agnelli porterà i segni per il resto della vita. “Era pieno di droga”, racconta l’amico fedele toccandosi platealmente il naso, come a dire che Agnelli tirava di cocaina quando ancora a Torino si facevano di bagna cauda.
A questo punto le sorelle decidono che la donna giusta per Gianni è Marella, sei anni più giovane di lui e da anni, dicono, innamoratissima dello scapestrato dongiovanni, come lo definisce la sorella Maria Sole, la quale giura che, a dispetto della celebre massima dell’Avvocato secondo cui innamorarsi è roba da cameriere, anche lui “era molto innamorato” della donna che sposò nel 1953. Se a casa Agnelli non impazzivano per Pamela, a casa Caracciolo non apprezzano Gianni: “A mia madre non piaceva, non pensava che fosse un buon marito. Disse che era un tipo terribile”, ricorda Nicola Caracciolo.
Nel film di Hooker non si coglie facilmente il confine tra il royal gossip compiaciuto e apologetico e l’inchiesta corrosiva. Se l’obiettivo era il primo, sicuramente il risultato è la seconda. Si ipotizza che Agnelli avesse annoverato tra le sue prede sessuali anche la first lady americana Jackie Kennedy durante una vacanza da cartolina a Capri nell’estate 1962, con l’Avvocato (già sposato e padre di due figli) a fare i fastosi onori di casa e John Kennedy a Washington a occuparsi dei destini del mondo (ed eventualmente anche di quelli della sua amante Marilyn Monroe, morta suicida proprio in quelle settimane). Qui l’allegra fiducia di Maria Sole sulle inclinazioni non fraterne del fratello verso casa Kennedy (“Non ne sarei sorpresa”) consegna allo spettatore un senso di sospensione tra l’ammirazione e il disprezzo. E comincia a proiettare il racconto verso il finale tragico. Questa gioventù dorata che pensa solo a divertirsi viene dipinta in modo impietoso dagli stessi reduci. Parla l’amica Marina Branca: “Gianni e Marella erano due genitori assenti. Anche io non ero così presente. Il nostro centro era uscire e divertirsi. I figli restavano a casa con signorine e governanti”. “Non erano una famiglia normale”, dice una voce fuori campo. Racconta De Benedetti, socio e amministratore delegato della Fiat nei famosi cento giorni del 1976: “Ero dall’Avvocato, a un certo punto si apre una porta ed entra Margherita, completamente rasata. Agnelli la guarda e dice: ‘Ma che hai fatto?’. E lei: ‘Almeno ti sei accorto di me’”.
È con questo retroterra privato che Agnelli proietta la sua ombra sulla vita pubblica italiana. È la parte più debole della ricostruzione di Hooker, che indulge in una tipica semplificazione. Il ‘68; l’autunno caldo; le lotte operaie che culminano nel 1980 nello sciopero dei 35 giorni e nella marcia dei 40 mila che segna la sconfitta del sindacato; la lotta armata che ha la Fiat tra i principali obiettivi; l’avvicinamento del Pci all’area del governo. È tutto raccontato come una storia unica, un movimento compatto diretto dagli interessi di Mosca, con i leader sindacali e il segretario comunista Enrico Berlinguer oggettivamente alleati delle Brigate Rosse. Era la visione del mondo di Agnelli, che si rappresentava come estremo baluardo atlantista di un’Italia minacciata dal comunismo. La ricostruzione di Hooker la fa propria e così manca la comprensione del nodo davvero drammatico: chi ha in mano il gioco non è Agnelli ma Cesare Romiti, il manager imposto ad Agnelli da Enrico Cuccia. Con la crisi iniziata nel 1973 (primo choc petrolifero in seguito alla guerra del Kippur) la Fiat perde la sua autosufficienza finanziaria e si assoggetta al protettorato di Mediobanca. È Romiti, il figlio del barbiere che studiava sodo mentre Agnelli se la godeva in Costa Azzurra, a orchestrare la marcia dei 40 mila e a tenere i rapporti quelli veri con la politica, a Roma, la sua città. All’Avvocato resta la parte del cinico fascinoso. Racconta il cuoco Giulietto: “Doveva venire a pranzo nella residenza romana degli Agnelli in via XXIV maggio il presidente della Repubblica. Mi chiama l’Avvocato per parlare del menu e mi dice: ‘Gli diamo i coglioni di toro’. Io gli dico: ‘Scusi Avvocato, ma dare al presidente della Repubblica due coglioni, così, non mi sembra una cosa esatta, facciamo un’altra cosa’. E lui: ‘Caro Giulietto questi personaggi vanno trattati come meritano, pensa com’è bello dare due coglioni a un coglione’”.
In tanto cinismo tocca a Carlo Callieri – fama di super duro quando era capo del personale della Fiat Auto, e simbolo suo malgrado del declino dell’Avvocato quando nel 2000 fu sconfitto a sorpresa dal napoletano e berlusconiano Antonio D’Amato nella corsa alla presidenza della Confindustria – mettersi a piangere davanti alla telecamera quando ricorda l’assassinio di Carlo Ghiglieno, 51 anni, sconosciuto dirigente della logistica Fiat freddato da un gruppo di fuoco di Prima Linea nel 1979: “Una persona dolcissima e mite, ammazzato per strada come un cane”.
Di quei momenti drammatici viene restituita in trasparenza un’immagine dell’Avvocato, ancora una volta, fredda, distante e vagamente spensierata. Va in barca a vela in Libia per vendere a Gheddafi il 10 per cento della Fiat (1976), poi telefona all’amico banchiere Michel David Weill, che racconta: “Mi ha detto di dimettermi perché ai nuovi soci non sarebbe piaciuto vedere un cognome ebreo nel cda della Fiat. E poi, ciao”. Ride: “Un uomo totalmente privo di sentimenti”. E in definitiva anche un perdente molto sfortunato. Da Agnelli emerge che la Fiat non è più stata veramente sua dopo l’ingresso di Romiti, tanta era la dipendenza da Mediobanca. Dopo aver annunciato che sarebbe toccato al fratello Umberto succedergli alla presidenza, si trova costretto da Cuccia a smentirsi per dare strada proprio a Romiti. Un dolore e un’umiliazione. Racconta il giardiniere: “Tornarono a casa e Marella disse: ‘Oggi bisogna stargli vicino’”. L’Avvocato è ossessionato dal tema della successione dinastica. Considera Edoardo inadatto, inutile. Ricorda il giornalista Jas Gawronski: “Era una persona sentimentale, un intellettuale, totalmente diverso dal padre che non lo apprezzava”. Gianni designa Giovanni Alberto, detto Giovannino, figlio di Umberto, una vera star, sembra fatto su misura per piacere allo zio, ma viene ucciso dal cancro a soli 33 anni, nel 1997. “A quel punto della dinastia era rimasto solo John Elkann”, nota cinico da par suo De Benedetti.
C’è nel film un’intervista profetica di Agnelli, data in Francia a un giovanissimo Alain Minc all’indomani dell’uccisione di Aldo Moro. Dice: “Accanto al cadavere di Moro c’è quello della Prima Repubblica”. Agnelli suggerisce che, analogamente, accanto al cadavere di Edoardo c’era quello di suo padre. E accanto al cadavere dell’Avvocato, nel funerale al Lingotto con 500 mila torinesi accorsi a salutare il loro re senza corona, c’era il cadavere della Fiat. Il brillante playboy non c’è stato per costruirla, non c’è stato per ricostruirla e non ha saputo farla sopravvivere a se stesso.