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 2018  gennaio 21 Domenica calendario

L’evoluzione delle serie tv

Univesi in espansione, campi da gioco, beni-esperienza: così sono state definite le serie tv in alcuni studi recenti. Anche se apparentemente affini ad altre forme narrative, le serie tv presentano in effetti anomalie spiccate. Sono entità abnormi dal punto di vista della loro estensione nel tempo e nello spazio: Doctor Who, 26 stagioni dal 1963 al 1989, con ripresa nel 2005; ER, 15 stagioni dal 1994 al 2009. In molti casi inoltre l’evoluzione non è lineare ma a rizoma, con fenomeni di ramificazione attraverso media diversi, dalla tv al cinema al videogame. E viceversa. Non abbiamo più a che fare con “prodotti” dai chiari confini, ma con sistemi complessi, che attraversano più media e canali, presentano numerosi punti d’accesso e modalità di percorrenza aperte. Ecco perché il concetto di ecosistema (più che di prodotto) è quello che meglio si adatta a questo scenario.
In questo senso, le serie tv si rivelano un punto di osservazione privilegiato di fenomeni molto più ampi. Se allarghiamo lo sguardo, infatti, ci rendiamo conto che anche il design ha subito negli ultimi decenni un’evoluzione in senso sistemico. Pensiamo ad esempio ai dispositivi digitali mobili o indossabili: da un lato, è vero, abbiamo un prodotto ben definito, l’oggetto fisico che acquistiamo in negozio; dall’altro però questo prodotto si comporta come un “terminale”, un punto d’accesso a un universo in fieri. Lo store online, le app, i luoghi che frequentiamo: tutto questo estende e modifica il prodotto-smart, rendendolo in effetti parte di un ecosistema più ampio che attraversa e fonde fisico e digitale, online e offline.
La nostra economia sta evolvendo da un modello centrato sul prodotto a uno centrato sull’esperienza. E la via maestra per trasformare un prodotto o servizio in un’esperienza è quello di renderlo nodo di un sistema di relazioni: la correlazione con altri prodotti e servizi prolunga e intensifica la nostra interazione col prodotto stesso nello spazio e nel tempo. Così, il customer journey è oggi molto più complesso che in passato: prima di prendere una decisione, il cliente può interagire con l’azienda attraverso molteplici canali per diversi giorni. Store online, negozio fisico, social non sono canali alternativi fra loro ma anelli complementari del medesimo journey.
Ecco perché un gruppo di ricerca tutto italiano ha provato a leggere il fenomeno delle serie tv secondo i concetti di ecosistema e di user experience. Si tratta del team dell’Università di Bologna guidato da Guglielmo Pescatore (docente di media studies), di cui fanno parte anche Veronica Innocenti, Marta Rocchi e Paola Brembilla (si vedano anche gli approfondimenti qui accanto, ndr). Qual è il vantaggio di questo cambio di paradigma? Anzitutto, il focus dell’analisi non è più un oggetto o un prodotto, ma il sistema, l’esperienza.
L’esperienza, a sua volta, è un concetto più ampio e più complesso che è indipendente da quello di testo, media o prodotto: l’esperienza è per definizione un processo dinamico trasversale a media o canali. Analizzare i fenomeni mediali in termini di esperienza permette di situare l’evoluzione di questi fenomeni all’interno di un quadro più ampio che riguarda il design, l’economia e la cultura in genere. Anche se nato con il digitale, lo user experience design è oggi un settore di studio e professionale trasversale: non una disciplina, ma un sapere ibrido situato alla convergenza di saperi vecchi e nuovi. Se le serie tv sono fenomeni spiccatamente cross-mediali, allora anche per il loro studio serve un approccio altrettanto cross-disciplinare.
I primi risultati della ricerca condotta all’Università di Bologna sono stati raccolti nei volumi Media Mutations. Gli ecosistemi narrativi nello scenario mediale contemporaneo (Mucchi, 2013) ed Ecosistemi narrativi (in uscita per Carocci), e nel sito web Narrativecosystems.org (contenente fra l’altro una bibliografia approfondita sull’argomento e dataset relativi a varie serie tv).
In questo quadro, i percorsi di ricerca più recenti riguardano l’impiego di modelli qualitativi mutuati dall’ambito ecologico come strumenti di valutazione e previsione nell’ambito delle narrazioni estese. Questo filone permette di esplorare le ricadute che le dinamiche sistemiche hanno sull’industria mediale contemporanea. Pensiamo ad esempio all’acquisizione della 20th Century Fox da parte della Disney: l’aspetto più rilevante è il passaggio di mano di properties e franchise e la loro valutazione. Quanto vale per Disney l’integrazione di Star Wars o degli X-Men? E cosa perde Netflix dovendo rinunciare ai contenuti Kids di Disney? Il fatto è che per le compagnie mediali le proprietà intellettuali costituiscono oggi dei portafogli, al pari di quelli brevettuali o azionari, senza che ci siano tuttavia strumenti specifici di valutazione.
Ancora: prendiamo il fenomeno del binge watching, la visione in un colpo solo di molti episodi di una serie tv (anche intere stagioni). Questo comportamento aggira il palinsesto originario, che prevede che gli episodi siano visti a distanza di giorni l’uno dall’altro. Così, alcuni produttori hanno modificato l’impianto delle serie per venire incontro alle nuove modalità di fruizione. D’altra parte, il binge watching è reso possibile da internet e da piattaforme come Netflix che rendono disponibili in blocco alcune serie tv. Abbiamo quindi a che fare con un complesso meccanismo di azione e retroazione che può essere letto attraverso il concetto di resilienza (proprio degli ecosistemi): la capacità di un sistema di reagire ad eventi turbativi ripristinando un nuovo equilibrio.