Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2018
Tutti i costi dello shutdown. Repubblicani e democratici, corsa contro il tempo per trovare un’intesa
Lo shutdown, la parziale paralisi del governo americano, è diventata ieri una realtà davanti all’irrisolto scontro tra repubblicani e democratici sull’immigrazione che ha impedito un rinnovo dei fondi per il budget federale in scadenza. La crisi politica nell’era di Donald Trump ha raggiunto un nuovo apice, anche se l’impatto economico e finanziario per ora appare limitato: i ministeri sono corsi ai ripari mettendo a fuoco piani d’emergenza che consentiranno di mantenere inizialmente aperta gran parte di uffici e attività non solo essenziali, dalla sicurezza della Homeland Security alla diplomazia del dipartimento di Stato, dal traffico aereo ai parchi nazionali.
Ma la posta in gioco minaccia di cambiare davanti a protratte paralisi: i danni lieviterebbero a decine di miliardi di dollari, con centinaia di migliaia di dipendenti sospesi dal lavoro e disservizi nelle richieste di nuove pensioni come in programmi sanitari. A rischio finirebbero dati economici importanti per investitori e mercati, per azioni, bond, commodities e valute: da statistiche su Pil e occupazione attese nelle prossime due settimane a dati elaborati dalla Federal Reserve. Standard & Poor’s ha stimato che ogni settimana di shutdown brucerebbe 6,5 miliardi di dollari limando 0,2 punti percentuali dalla crescita. E nel 2013 una precedente, simile paralisi costò alla fine più del previsto, oltre 24 miliardi e la perdita di 6,6 milioni di ore lavorate in sedici giorni.
Sono questi conti che nutrono il senso di urgenza: i negoziati per risolvere la crisi, per verificare la possibilità di un compromesso già entro la riapertura, domani, di Wall Street, sono proseguiti frenetici. Il Presidente Donald Trump è rimasto a Washington, rinviando un viaggio in Florida nel weekend e un costoso festeggiamento per il primo anniversario alla Casa Bianca nel suo resort golfistico di Mar-a-Lago fin quando un’intesa verrà raggiunta. La Camera è tornata a riunirsi fin dalla mattina di ieri e il Senato da mezzogiorno. Un’ipotesi affiorata prevede compromessi su finanziamenti di più breve durata – cinque giorni offrono i democratici, tre settimane i repubblicani – invece del mese finora portato senza successo al voto. Per dare nei fatti tempo a ulteriori trattative.
Lo scontro politico
Frenetici sono però anche attacchi e accuse reciproche sulla strada di un’intesa. Trump ha affermato che i democratici sono più «preoccupati degli immigrati illegali che delle nostre forze armate». La sua portavoce Sarah Huckabee ha definito l’opposizione «opportunista e perdente» e detto che non si saranno accordi sull’immigrazione senza prima un’intesa sul budget. I leader democratici hanno invece battezzato la paralisi come il Trump Shutdown, sostenendo che repubblicani e presidente hanno rifiutato flessibilità sull’immigrazione. In gioco non è quello che è contenuto nella proposta di budget temporaneo ma quello che è stato escluso: la legalizzazione di 800mila Dreamers, i clandestini portati nel Paese da bambini e ai quali Trump ha tolto da marzo ogni protezione. Il presidente, in un summit in extremis con il capogruppo democratico al Senato Chuck Schumer, avrebbe rifiutato anche l’offerta di costruire il muro con il Messico in cambio di soluzioni per i Dreamers.
Washington è esposta alle crisi di budget perché opera con misure che finanziano solo temporaneamente il governo – ad oggi tre in successione, l’ultima scaduta venerdì a mezzanotte – ormai dall’inizio dell’anno fiscale lo scorso ottobre, incapace di approvare un budget annuale. I sondaggi, nel clima di polarizzazione, mostrano tensioni in aumento nell’elettorato che potrebbero influenzare le urne di meta’ mandato il prossimo novembre per il rinnovo del Parlamento. Non è tuttavia chiaro chi potrebbe avvantaggiarsi: Il Washington Post ha trovato che il 48% degli americani considera i repubblicani responsabili dell’impasse. Ma una opinion poll della Msnbc ha rilevato che il 58% ritiene accordi sul budget più importanti dei Dreamers. E nel 2013 i repubblicani furono giudicati responsabili della precedente paralisi, scatenata dalla loro opposizione a spese per la riforma sanitaria di Barack Obama, e finirono ugualmente per vincere le elezioni di midterm.
Prime certezze sull’impatto del nuovo shutdown filtrano invece da comunicati e preparativi della stessa amministrazione. Le forze armate rimarranno del tutto operative e il 90% dei dipendenti della Homeland Security saranno al loro posto. Il Dipartimento dei Trasporti lascerà a casa il 37% dei suoi 55mila dipendenti. La Federal Aviation Administration manterrà però in servizio 25mila dipendenti cruciali, con blocchi solo nei permessi per consegne e vendite di velivoli. Funzionari della diplomazia come della Environmental Protection Agency sono stati convocati al lavoro la prossima settimana e fino a esaurimento delle risorse. Nel Social Security, il sistema pensionistico, 53mila dipendenti saranno alle loro scrivanie e garantiranno l’invio di assegni previdenziali. All’Irs, il fisco, solo il 43,5% degli impiegati rimarrà invece in servizio, con sospensione di controlli e rimborsi nonché ritardi nelle norme legate alla recente riforma delle tasse. Metà del personale del Ministro della Sanità rimarrà a casa.