La Lettura, 21 gennaio 2018
Brutto, sporco e cattivo. Oddio, nel punk ci sono anch’io!
«No Future», urlavano i londinesi Sex Pistols 40 anni fa, dando una scossa irreversibile a un mondo musicale asfittico e compiaciuto. In un mondo così saldamente professional come allora, nessuno avrebbe scommesso un penny sulla durata del fenomeno punk. Un lungo futuro è invece inaspettatamente occorso e forse la spiegazione migliore la troviamo in una citazione del cantante Billy Idol: «Non credo il punk possa morire perché si tratta di attitudine e non di musica». Indifferenza alla tecnica, adesione strettissima alla vita, estetica, disincanto, forza estratta dalla precarietà. Una lotta esistenziale per bilanciare il vuoto sostanziale di un mondo che si crede colmo di regali. La storia del punk di Stefano Gilardino è un’ottima occasione per ripercorrere il lungo trasloco di senso del termine punk dall’alba del 1976 a oggi, nelle sue infinite deviazioni e rinascite, storture e guizzi di genio. La grande esperienza sul campo dell’autore, mette in campo un breviario che non è solo per melomani deviati. Frasi celebri, un’estesa discografia, curiosità, analisi accurata e un buon colpo d’occhio complessivo conducono nei meandri di un mondo che a voce alta e volumi esagerati amplifica l’urgenza di vivere di più di una generazione. Una sezione finale dedicata all’Italia rende giustizia a una serie di artisti nazionali che mai troveremo nelle classifiche o nei tanti X-Factor in circolazione. Proviamo a stilarne un alfabeto, consapevoli dell’impossibilità di fermare su carta un mondo convulso e sfuggente per definizione.
ACCESSORI – Borchie, catene, spille & badges, coda di mustelide in cintura, cresta o taglio alla Mohican, cuoio nero, pantalone fantasia scozzese, anfibi militari, birra, sputo innestato a fior di labbra. In vista del carnevale imminente, tutto quello che serve per i punk da collezione.
BLANK – Vuoto, inteso come stato d’animo. Vuoto come gli uomini cavi di T. S. Eliot. Vuoto pneumatico. Nessuna voce che chiama da dentro, nessun passato cui ricorrere, nessun futuro cui aggrapparsi, nessun santo cui votarsi. Sospesi in volo tra torto marcio e ragion pura, come avviene al gheppio quando volteggia nella figura dello spirito santo.
CLASH – Combat rocker per eccellenza, i Clash di Joe Strummer & Mick Jones sono l’incarnazione dell’Inghilterra proletaria e thatcheriana, delle topaie abitate dagli squatter, degli incidenti al carnevale di Notting Hill, delle sale prove a Camden Town, dell’insopportabilità della Beatlemania. Meno sguaiati e folli dei Pistols con cui spartiscono la fama del periodo ’77, la loro London calling racchiude in sé tutte le parole d’ordine dei white rioters.
DEUTSCH AMERIKANISCHE FREUNDSCHAFT – Per i gruppi tedeschi il punk non è equazione che si risolva sommando le chitarre. Freddezza e severità sono addendi migliori; elettronica e voce roca aprono il secondo grado, lì dove la Storia irrompe come termine cognito. Imperdibili questi D.A.F. dalla gelida Berlino del Muro, Tanz der Mussolini la canzone che non si può non aver ballato. Musica come espiazione per un intero popolo. Non basterà.
EINSTURZENDE NEUBAUTEN – Proseguono quando i D.A.F. rallentano, i Neubauten, ancora da Berlino Ovest. Agli strumenti musicali – enfasi inutile – preferiscono i materiali pesanti, le attrezzature industriali. Ne cavano fuori sinfonie terribili per asperità e dolcezza. Quanto all’uso della voce Blixa Bargeld, il cantante, ha idee chiare: Black is the color of my voice.
FANZINE – Fans’ magazine, tutta l’estetica del periodo. «Sniffin’ Glue» in Inghilterra, «T.V.O.R.» (teste vuote ossa rotte) in Italia.
GENITORI – Molti padri e un paio di madri ha il punk: Who, New York Dolls, Velvet Underground, Stooges, MC5, Suicide, Cramps, Patti Smith, Nico. Eminenze nere con carisma sacerdotale. Nessuno dei figli è andato più a fondo di loro.
HARDCORE – Ragionando per tempi musicali, l’hardcore punk, terrore dei metronomi, si pone come un superamento a sinistra dei cosiddetti tempi veloci della tradizione classica. Travolgendo l’anziano Prestissimo che si configurava come superiore a 177 battiti-per-minuto definendosi «molto, molto veloce, estremamente veloce, quanto più veloce possibile, molto vivo, molto presto, più veloce di presto», l’hardcore punk aggiunge l’Affrettando e il Precipitando come categorie esistenziali. Un solo superlativo si rifiutano di percorrere, l’Allegrissimo. Primi campioni del genere sono Black Flag, Dead Kennedys, Hüsker Dü.
IGGY POP – Dopo eccessi innominabili, ancora oggi Iggy sconfigge ogni infausto pronostico medico sfoggiando il più bel torace nudo della storia della musica. Esempio da seguire solo da lontano.
JELLO BIAFRA – Bastano i nomi del gruppo (Dead Kennedys) e dell’etichetta discografica (Alternative Tentacles, tentacoli alternativi) per presentare il personaggio. Due hit iniziali, Kalifornia über alles e Holiday in Cambodia. Hit posteriore, Too drunk to fuck. Incuriositi?
KEBAB TRAUME – Sogni di kebab nella città del Muro, ancora i D.A.F. con tutta la Berlino turco-punkettona anni Ottanta.
LYDON – John Lydon, Johnny Rotten come nome d’arte, Giovannino il Marcio. I futuri Sex Pistols lo pescano per caso mentre perde tempo bighellonando per Londra con addosso la t-shirt I Hate Pink Floyd, e sembra a tutti una dichiarazione da seguire. In una manciata di giorni questi 4 potenziali disgraziati diventano degli eroi, e ridaranno ai loro coetanei affamati di musica e vita la possibilità di non soccombere sotto l’asfissia del gigantismo rock o l’agonizzante Flower Power. Tutte le grandi parole del punk escono dal loro vocabolario. Compresa la risposta al putiferio sollevato: «We don’t care».
MY WAY – Ci fosse una sola possibilità di scelta, sarebbe questa. Il giudizio universale secondo Syd Vicious, che ricrea con storpie parole di strada un arrogante classico di Frank Sinatra, trasformandolo in perfetta colonna sonora per la sua personale perdizione. The end is near, profezia scomoda per il suo autore che scomparirà per autocombustione subito dopo, ma anche cantico ideale per l’estinzione della razza umana.
NICO – Christa Päffgen, cantante, attrice, modella, femme fatale per eccellenza. Un volto che non si può decifrare senza paura, una voce che incatena, un bellezza soprannaturale. L’anagramma più abusato che la riguarda è icon. L’ho incontrata due volte da viva, Nico, a New York al Max Kansas City e a Bologna al Nuova Medica. E una volta da morta, a Berlino, al cimitero dei suicidi nella foresta di Grunewald. Un repertorio da ascoltare integralmente, in silenzio, occhi aperti.
ORIETTA BERTI – Labbra nere. Freccia nera sulla guancia. Occhi anneriti da un trucco greve. Non l’ho sognata, ho visto davvero una foto di Orietta truccata da punkettona per «Novella 2000». Ancora oggi resta per me un mistero. Perché io abbia sfogliato «Novella 2000», intendo.
PHARMAKOS – Nella Grecia classica con il termine phàrmakòs si indicavano due persone – uomo e donna – scelte per il loro aspetto particolarmente ripugnante o deforme che, nutrite e mantenute dalla comunità, venivano poi espulse ritualmente fuori dalle mura cittadine durante i festeggiamenti dedicati ad Apollo, dopo essere state percosse e frustate. Un’eliminazione rituale che toglie l’angoscia per la possibile contaminazione, dove gli scacciati, contemporaneamente reietti e salvatori, addossano su di sé tutto il male assumendo il ruolo espiatorio. Secondo questa chiave si potrebbe interpretare la breve vita felice di Syd Vicious, ingaggiato dai Pistols per l’aspetto orribile, coperto di onori planetari, espulso in quanto eroinomane assieme alla sua compagna Nancy (definita nauseating Nancy dalla stampa britannica). Troveranno lei uccisa a coltellate, e poco dopo morto per overdose lui. Le ceneri di Syd, dopo la cremazione, risultano scomparse, oltrepassato il cerchio della comunità.
QUEEN – God save the Queen, cantavano i Sex Pistols, trafiggendo il volto della sovrana inglese con una spilla da balia per questa canzone sfoggiata in occasione del Giubileo d’argento del 1977. «God save voialtri stupidelli, piuttosto», canta probabilmente ancora oggi la coronata Elizabeth, risultata molto più rocciosa e duratura di loro.
RAMONES – Non ha neanche bisogno di cantare, Joey Ramone, per convincerci delle sue ragioni. Bastano la cascata dei capelli che gli copre la faccia e gli occhiali neri, sono già un testo in sé. I quattro, che si presentano come fratelli Ramones, sono la risposta americana al punk inglese, qualcosa tra la spiaggia e la galera. Giacche di cuoio nero, canzoni da due minuti due. Blitzkrieg Bop, una fucilata consigliatissima.
SIOUXSIE – Cinquanta sfumature di viola per Siouxsie Sioux, notturna farfalla britannica dai lineamenti emaciati e le vene dei polsi sempre sull’orlo del pericolo. Il nome del suo gruppo, Banshees, evoca gli spiriti femminili che nella tradizione irlandese annunciano la morte di un familiare, esprimendola con urla e gemiti; nel suo caso anche con chitarre tenebrose. Join hands e Kaleidoscope gli album imperdibili.
TUWAT – «Fa’ qualcosa», nello slang berlinese. Complementare a tunix, «non fare nulla». Due consigli di vita.
UNO DUE SEI NOVE – Questo l’ one two three four dei bolognesi Skiantos, per lo slego che lancia la loro Eptadone : «Sono andato alla stazione/ ho cercato l’eptadone». La mascheratura demenziale per attutire la frustrazione di possedere una intelligenza luminosa e non sapere bene cosa farsene. La frase migliore del compianto Freak Antoni? «Non c’è gusto in Italia a essere intelligenti». Appunto.
VEGA ALAN – «Punk prima del punk» per sua stessa definizione, assieme al compagno e rivale Martin Rev ritrova quasi 700 anni dopo Dante Alighieri la chiave per spalancare qualche porticina dell’inferno, e si avvia alla discesa con un duo battezzato Suicide. Frankie Teardrop quella da ascoltare; ma non da soli.
WIKIPEDIA – Non è agevole per nessuno definire che cosa significhi punk, dato il perenne trasloco di senso della parola. Un aiuto viene fornito da Wikipedia: «Musica rozza, rumorosa, poco complessa, ribelle e diretta».
X RAY SPEX – «Adolescenti sterilizzati, la pulizia è la loro ossessione, si lavano i denti dieci volte al giorno, e sfregano, sfregano, sfregano». Così parlò Poly Styrene, cantante di X Ray Spex, in Germfree adolescents. Una pronuncia inglese da foglio di via, un’intonazione da notte fonda, un ponte di ferro aggrappato ai denti. Sembra di sentirlo grattare sul microfono, quando lei canta.
YOUTUBE – Unico stratagemma cui ricorrere per inserire in questo alfabeto punk di sole 25 lettere tutti i grandi nomi mancanti: Cure, Bauhaus, Joy Division, Contorsions, Damned, Crass, tantissimi altri. Ma sì, anche CCCP Fedeli alla Linea, Rats, Great Complotto, Not Moving. Z
ZAMBONI – Da quanto tempo sono assimilato alla parola punk ? Aiuto, qualcuno mi tiri fuori di qua.