Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 21 Domenica calendario

Ma di che cose stiamo parlando?

Elise Thiébaut ha scritto un libro su un argomento di cui non si parla, a cui al massimo si allude («le cose») pur essendo parte della vita quotidiana di tutte le donne: le mestruazioni. Poiché l’argomento è tabù, la quantità di informazioni, aneddoti, passaggi storici, miti, credenze, pregiudizi, errori e citazioni, è gigantesca e rende per questo motivo imperdibile la lettura. Thiébaut cerca di informare e ragionare scegliendo la strada più sensata: parte dall’esperienza personale, dal rapporto che ha avuto lei con il sangue mestruale dalla pubertà alla menopausa, quarant’anni di presenza del ciclo e circa 2.400 giorni effettivi di perdite. Da lì si muove per cercare di penetrare quanto più è possibile dentro la corazza del tabù, cioè il rapporto tra una donna e le cose, le regole, il marchese, l’indisposizione, il mal di pancia (e cento altri modi per indicare le mestruazioni).
La storia di una donna e del suo rapporto con il ciclo mestruale è la storia di tutte le donne, con differenze di disagi e dolore, ma nessuna differenza nella reazione e nell’accoglienza del mondo circostante: che ha reagito e continua a reagire con fastidio, pudore, esigenza del sottinteso, necessità di svicolare – insomma: il tabù che cerca di resistere. Per tutti. Basti osservare il rapporto furtivo delle donne con assorbenti e tamponi; quando dicono: vado un momento in bagno, poi infilano la mano nella borsa e ne escono senza nulla, solo con il pugno chiuso intorno a chissà cosa. Loro sanno che noi sappiamo, noi sappiamo che loro sanno che noi sappiamo, ma la convenzione vuole che si agisca così. E poi «niente, un po’ di mal di pancia» allusivo, e l’imbarazzo nel dirsi, nel momento in cui si è pronti a fare sesso, che «insomma, sto un po’ così, hai capito?» – poi ci sono quei secondi in cui bisogna decidere se andare avanti o fermarsi.
Il mestruo è l’opera di evacuazione dell’ovulo non fecondato. Le donne in quei giorni (e nei precedenti!) vengono indicate come spiacevoli, instabili, nervose, insopportabili – nell’età contemporanea, perché prima era molto peggio. Per fare pochi esempi moderni, si è pensato a lungo che durante il ciclo le donne facessero appassire fiori, o impazzire la maionese. Ed era loro impedito il lavoro di magistrato perché in determinati periodi erano più instabili. E così via, nei secoli e nei continenti, nelle abitudini e nel folklore, le mestruazioni sono state quasi sempre considerate una menomazione fisica, mentale e – appunto – capace di condizionare negativamente anche il mondo intorno.

Questo è il mio sangue (Einaudi) spinge a essere espliciti, a trattare una questione familiare e quotidiana come tale, a chiedere un assorbente come si chiede un cerotto. Negli ultimi anni si sta combattendo una vera e propria battaglia contro la vergogna delle mestruazioni; molte artiste hanno lavorato sul tema, questo libro arriva sulla scia di quella battaglia. E racconta atti esemplari come quello di Kiran Gandhi che nel 2015 ha deciso di correre la maratona di Londra il primo giorno del ciclo e senza tampone interno né assorbente. Le fotografie la ritraggono al traguardo trionfante e con la tuta sporca di sangue. I 42 chilometri della maratona servono a dimostrare una volta per tutte che una donna durante il ciclo non ha nessuna limitazione.
Per tornare poi a quella esitazione davanti al sesso, veniamo a conoscenza che fare l’amore durante il ciclo, o praticare altre azioni di avvicinamento tra la testa e il sangue (non so se si capisce, ma era un modo per poter riuscire a scrivere di questa pratica sul Corriere) pare dia i seguenti vantaggi, grazie alle cellule staminali che il sangue mestruale contiene: malattie cardiovascolari, diabete, artrosi e cancro. Nel libro si dice anche che quindi è una strada buona per raggiungere l’immortalità. E su questo però sono più scettico.

Questo è il mio sangue è un racconto che ha un tono a volte spiritoso e a volte sarcastico, caustico, come se bisognasse per forza essere un po’ sprezzanti verso il lettore, preferibilmente maschio, che ha pregiudizi e tabù. E che però, anche se non ci si rivolge a lui direttamente, il lettore ogni tanto si sente un po’ scemo (e il fatto che lo sia realmente, non migliora la situazione). Credo che questo tono – in un libro così pieno di delucidazioni e ripristino di verità scientifiche e anche alla ricerca di un atteggiamento sensato – non fosse necessario. Ma quello che sto dicendo può non essere oggettivo, bensì impermalosito, perché mi sento direttamente colpito dal tono. Perché è bene a questo punto della recensione intervenire come categoria (genere): avrà pure un senso che un maschio recensisca un libro sulle mestruazioni; ma proprio perché questo libro è rivolto a me e a quelli come me. Che siamo un po’ infastiditi se non addirittura schifati dalle mestruazioni, che sentiamo odore di mestruazioni a chilometri di distanza, che quando si tratta di far l’amore durante cerchiamo molte scuse non solo per non farlo ma anche possibilmente per non vedersi proprio e che rinunciamo più che volentieri alle cellule staminali. Che prima dicevamo a una donna nervosa: ma che hai le mestruazioni?, ma ti stanno per venire? – e adesso abbiamo imparato che non si può dire. Ma lo pensiamo. Perché l’unica cosa che abbiamo imparato crescendo è che bisogna gestire i pensieri e le parole, ma non abbiamo imparato a sviluppare il pensiero in modo sensato o almeno diverso dal solito. E intanto la Thiébaut dimostra l’estrema fragilità anche del pregiudizio sulla sindrome premestruale, citando contro uno studio che dimostra che la crisi finanziaria del 2008 è dovuta soprattutto ai picchi di testosterone dei trader.
Il problema rimane: sono ormai sicuro che questo libro mi abbia aperto la mente su moltissime cose, ma anche che il pregiudizio è una cosa che tiene saldi e che dà senso alla propria esistenza, soprattutto quando ci si sente parte di una generazione che ormai si è compiuta in qualche modo, ha ancora da vivere ma in qualche modo si è compiuta. E quindi saprò di sicuro comportarmi meglio, fare una buona impressione; ma i miei pensieri si sposteranno di quasi niente. Perché i maschi sono un po’ come quegli intellettuali rivoluzionari che hanno passato tutta la vita a combattere lo Stato, a essere brutali con lo Stato, a denunciare; e poi all’improvviso, tardi, in vecchiaia, si sono trovati davanti alla possibilità di diventare loro stessi lo Stato e che di conseguenza era giunto il momento di mettere in atto quelle idee rivoluzionarie coltivate per tutta la vita. E a quel punto hanno intuito che altri sarebbero diventati rivoluzionari al loro posto, che mettere in atto le idee le avrebbe in ogni caso ridimensionate; e soprattutto che la vita che avevano vissuto, sarebbe cambiata proprio nel segmento finale, e questo lo ritenevano insopportabile; e a quel punto hanno scelto di rimanere rivoluzionari, spostandosi ancora più in là perché così tutta la loro vita sarebbe andata in un unico senso e sarebbe stata definita come desideravano: coerente.