La Lettura, 21 gennaio 2018
Storia dei francobolli repubblicani
Anche chi non ha familiarità con i francobolli da collezione sa, o più semplicemente ha sentito parlare, del «Gronchi rosa». Sicuramente il più chiacchierato, ma certamente non il più raro, francobollo italiano. Targato 1961, è debitore del nome al colore col quale venne stampato e all’allora presidente della Repubblica, il democristiano Giovanni Gronchi. Ora il ministero dello Sviluppo economico si appresta a ricordare, a quarant’anni dalla morte, assieme ai «colleghi» Giuseppe Saragat e Oscar Luigi Scalfaro, rispettivamente nel trentesimo delle scomparsa e nel centenario della nascita. Impossibile conoscerne l’immagine perché il sottosegretario Antonello Giacomelli ha deciso che, contrariamente a quanto avvenuto fino ad ora (e a quanto avviene pressoché ovunque), le immagini relative alle prossime emissioni vengano ufficializzate solamente nel giorno dell’uscita.
Aspettando il nuovo ritratto postale di Giovanni Gronchi, si può sempre ripercorrere la vicenda del famigerato «Gronchi rosa».
Gronchi ai suoi viaggi di Stato assegnava grande importanza e intendeva dar loro la massima visibilità (già per la visita che nel 1956 lo portò negli Stati Uniti e in Canada fece approntare un’apposita carta valore postale, ottenuta aggiungendo in soprastampa scritte celebrative su un francobollo di precedente emissione): così, nel 1961, quando a essere meta del viaggio presidenziale furono Argentina, Uruguay e Perù, volle che l’evento venisse celebrato con altrettanti esemplari raffiguranti un DC8 in volo sul planisfero, con le carte geografiche dei tre Paesi in rilievo.
Della realizzazione delle immagini si occupò Renato Mura, apprezzato disegnatore del Poligrafico, che per documentarsi consultò – come nell’ottobre 1991 rivelò Umberto D’Arrò in un’approfondita inchiesta pubblicata dal mensile specializzato «Il Collezionista» – un’edizione del 1939 dell’ Atlante De Agostini. Dal quale mancava il cosiddetto «triangolo amazzonico» (grande quanto Piemonte, Lombardia e Veneto), nel 1942 attribuito al Perù dopo un lungo contenzioso con il confinante Ecuador. Una decisione maldigerita da Quito, che nell’ambito della «Settimana amazzonica» fece uscire un francobollo raffigurante il conteso territorio sul quale campeggia un esplicito messaggio: «L’Ecuador è stato, è, e sarà un Paese amazzonico».
Al fine di permettere ai collezionisti italiani di predisporre buste ricordo destinate al corriere postale da caricare a bordo dell’aereo presidenziale che si sarebbe levato in volo il 6 aprile, i tre francobolli vennero messi in vendita anticipata il 3 aprile: Pasquetta. Motivo per cui la più parte dei collezionisti disertò comprensibilmente gli sportelli postali rimandando all’indomani l’acquisto dei nuovi francobolli.
Visto come andarono le cose, una scelta poco avveduta. E questo perché l’ambasciata del Perù a Roma, alla quale la «svista» geografica non passò inosservata, inoltrò formale protesta che poteva sfociare in una crisi diplomatica proprio alla vigilia della visita presidenziale. Un rischio da scongiurare a tutti i costi. Di qui l’immediato ritiro del francobollo sbagliato da 205 lire, destinato ad affrancare i plichi diretti in Perù.
A Lima il «Gronchi rosa» fu vissuto come una secchiata di sale lasciata cadere su una ferita ancora sanguinante. Al ministero delle Poste non restò che sostituire il piccolo mostriciattolo geografico con un’edizione riveduta e corretta, realizzata in un battibaleno – miracolo del Poligrafico dello Stato! – in color grigio. Francobollo, questo, che fece storcere il naso all’Ecuador e fu utilizzato a piene mani per «coprire» – a spese dello Stato, caso per quanto se ne sa unico al mondo – il Gronchi rosa, che in precedenza collezionisti e commercianti avevano applicato sulle buste in partenza il giorno 6 aprile assieme al Presidente Giovanni Gronchi.
Nella concitazione della notte, qualche busta riuscì a scansare la «copertura». Oggi quei pochi plichi hanno raggiunto quotazioni elevate. Solo 79.625 (20.556 a Roma, 10.013 a Milano, nessuno a Enna, Latina, Matera, Nuoro e Taranto) i «Gronchi rosa» venduti nel giorno di Pasquetta del 1961 (10.160 appiccicati sulle buste poi “nascosti” col Gronchi grigio); 1.920.375 quelli distrutti il 28 luglio di quello stesso 1961 nella cartiera del Poligrafico di viale Gottardo, a Roma. E fu subito corsa all’acquisto. Con contorno di polemiche: ci fu speculazione, dissero in molti. E ancora adesso che il mitico francobollo sembra aver perduto un po’ dell’ appeal commerciale, qualcuno lo ripete.
No, «non fu speculazione», questa la conclusione dell’inchiesta de «Il Collezionista». Un giudizio che convince, anche perché solo una mente luciferina poteva predisporre un piano così perfettamente organizzato, per di più all’insaputa delle decine e decine di persone e istituzioni coinvolte.
Francobolli con svarioni più o meno clamorosi, comunque, sono più numerosi di quanto si pensi. Tanto che l’editore francese Yvert & Tellier è riuscito a riempire due volumi. Tanto per restare in casa nostra: la locomotiva a vapore che esce dal tunnel (sbagliato anche questo in quando abilitato all’ingresso dei treni, non all’uscita come mostrato) del Sempione, dimenticando che fin dall’inizio la trazione era elettrica; la data sbagliata dei Trattati di Roma (25 marzo 1957, non 24 marzo come indicato sul 450 lire del 1982); il Cervino mostrato dal lato svizzero sul 60 centesimi del 2008 chiamato a propagandare la Valle d’Aosta. Tutto si risolse con polemiche più o meno animate. Le cose andarono diversamente nel 1997 con la moneta da mille lire sulla quale la Germania – colpa, anche in questo caso, di un vecchio atlante presente alla Zecca dello Stato – ormai unificata era presentata divisa in due. Scoperto l’errore che in Germania suscitò risolini di sufficienza, dalle presse dell’Officina monetaria uscì la coniazione aggiornata. Con la Germania unificata anche sullo spicciolo tricolore.