La Lettura, 21 gennaio 2018
Lo Yemen conteso da sauditi e iraniani
Pochi lo sanno, ma la guerra dei sauditi allo Yemen è iniziata nel 1932: da allora, rari sono stati i momenti in cui esso ha vissuto in pace. Triste destino per quella che fu la prospera terra della regina di Saba. Quando gli ottomani si lanciarono alla sua conquista, agli inizi del Cinquecento, era appetito non solo per la ricca produzione di incenso e spezie, ma anche per la posizione strategica. Il gran visir dell’epoca, Hadım Suleiman Pasha, lo considerava la chiave per la conquista dell’India; e per la stessa ragione, la città di Aden fu ambita all’epoca dai portoghesi, prima di essere assoggettata dagli inglesi tre secoli più tardi.
Già ai tempi della conquista turca, lo Yemen era preda di feroci guerre tribali: l’aspra conformazione geografica ne fa ancora oggi una delle più dense concentrazioni tribali del mondo (vi sarebbero 400 tribù solo tra gli zaiditi, la minoranza sciita). I britannici applicarono il principio del divide et impera, fino a creare 23 sultanati ed emirati, sostenendo però anche l’autonomia di numerose tribù rispetto agli stessi staterelli fantoccio. Il Nord, meno interessante strategicamente, rimase indipendente sotto un imanato zaidita, che aveva però l’ambizione di riunire tutti gli yemeniti; non solo quelli del Sud, sotto dominazione britannica, ma anche quelli del Nord (regioni dello Yem e dello Yemama) caduti vittime dell’espansionismo di una tribù dell’Arabia centrale – i Saud – a loro volta appoggiata dagli inglesi contro gli storici protettori della Mecca e di Medina, gli Hashemiti del regno occidentale dell’Hijaz. La storia del conflitto tra i Saud e le tribù zaidite dello Yemen del Nord, oggi rappresentate dal movimento Houthi, comincia allora. Il tentativo di unificazione nazionale yemenita fu schiacciato dell’intervento a tenaglia delle armate religiose wahabite al servizio dei Saud e dell’esercito di sua maestà britannica, preoccupata peraltro dall’appoggio offerto fin dal 1926 da Mussolini agli zaiditi. Negli anni Sessanta, fu Nasser a offrire allo Yemen del Nord un cospicuo sostegno in funzione anti-saudita, e per questo Riad non esitò a sostenere lo Yemen del Sud (il vecchio protettorato britannico di Aden, indipendente dal 1967), benché questo si fosse proclamato «socialista», mettendosi al servizio dell’Urss. Come si vede, la geopolitica fa poco caso all’ideologia. Dopo la caduta di Nasser, i sauditi appoggiarono invece il Nord (benché a maggioranza sciita) contro il Sud, riallineandosi sulle posizioni binarie della guerra fredda.
Oggi, la minaccia per Riad non viene più dall’Egitto, ma dall’Iran alleato degli Houthi. Come recita un famoso detto, «a volte anche i paranoici hanno nemici reali»: l’Arabia Saudita è uno Stato artificiale, nato assoggettando con cupa violenza territori dalla ricca e orgogliosa tradizione come l’Hijaz, governato da una famiglia rissosa, grande 4 volte la Francia, con soli 20 milioni di abitanti, dove il wahabismo è solo la terza religione del Paese, dopo il sunnismo tradizionale e lo sciismo. Gli altri Paesi del Medio Oriente considerano i Saud dei parvenu, degli intrusi capaci di sopravvivere solo grazie agli appoggi internazionali, britannici prima, americani poi. La paranoia (benché giustificata) li ha portati all’ennesima guerra contro lo Yemen nel tentativo di riportare in sella il presidente Hadi; ma la paranoia, in politica, è la ricetta sicura per fare danni irreparabili: agli altri, ma anche a sé stessi.