la Repubblica, 19 gennaio 2018
Ha chiuso El Gráfico, la rivista di calcio mito del Sudamerica
BUENOS AIRES «Il sogno di ogni pibe è arrivare in prima squadra, giocare con la Selección e uscire sul Gráfico». Giugno 1947, un Alfredo Di Stefano a colori, camiseta bianca e banda rossa, è in copertina sulla rivista più famosa d’Argentina. Nata nel 1919, rivendica l’astuzia e le gambetas sconosciute agli inglesi.
Russia 2018 sarà il primo mondiale senza El Gráfico in edicola, chiuso a un anno dal suo centesimo compleanno e a pochi giorni dall’uscita del numero di febbraio. «Crisi della carta stampata e deficit economico» ha comunicato l’impresa Torneos, proprietaria dal 1998, quando l’allora presidente Carlos Avila era in cerca di prestigio per negoziare con Blatter. Con il Fifa-gate del 2015, il ceo di Torneos, Alejandro Burzaco confessa all’Fbi le milionarie tangenti pagate per i diritti TV del futbol: da allora il Gráfico è abbandonato, fuori dai piani di un colosso le cui azioni sono in mano alla statunitense DirecTV. «Abbiamo lavorato fino all’ultimo minuto senza sapere nulla. La sera ci hanno riuniti e licenziati, senza possibilità di rimanere in un’impresa che è un gigante». Martin Mazur (cronista di Gráfico, Gazzetta e Guardian) aveva pronti 10.000 caratteri sulla Croazia, avversaria ai Mondiali dell’Argentina. «Un massacro, e un capolavoro. Mentre ci informavano usciva il loro comunicato. Ci hanno lasciato da soli, è facile parlare di crisi del giornalismo». Se il 2017 ha visto la fine dei quotidiani Buenos Aires Herald (dal 1876 per le strade della capitale, unico a nominare i desaparecidos in piena dittatura), e La Razón, fondato nel 1905, l’Argentina perde ora un altro simbolo, la rivista di calcio cara a Garcia Márquez, Vargas Llosa e Jorge Valdano. Dal titolo “Don’t cry for me Inglaterra” dopo la mano de Dios a Messico ’86, al grido “Vergogna!” su fondo nero per lo 0-5 con la Colombia di Valderrama nel ‘93. Dalle dimissioni di Dante Panzeri, padre del giornalismo sportivo ispanico che nel 1962 rifiuta la propaganda imposta dal ministro golpista Alsogaray, al sostegno pro-regime durante il Mundial ’78, con la falsa lettera dell’olandese Krol alla figlia Mabelle («Questa è la Coppa della Pace, qui tutto è tranquillità e bellezza») e le critiche ai capelloni Tarantini e Villa. «Mode d’altri tempi», recitava l’editoriale. Sul Gráfico, dopo quella finale, due scatti più celebri: nel primo, il paraguaiano Higinio González ritrae la giunta della morte Massera, Videla e Agosti festeggiare il 3-1 di Bertoni; cinque minuti dopo, Ricardo Alfieri firma l’Abbraccio dell’Anima tra Fillol, Tarantini e un ragazzo senza braccia, in ginocchio in mezzo al campo.
Il direttore Elias Perugino è stato l’ultimo a uscire dal 510 della calle Balcarce. Sotto chiave, il tesoro dell’archivio del Gráfico, dove un pomeriggio del 2001 il veterano Diego Borinsky cominciò a gridare, fuori di sé, con una foto inedita in mano, rimasta nascosta per un ventennio. Un ricciolino in maglia rossa, al debutto, tocca il suo primo pallone: tunnel. Il sogno di Maradona cominciava.