Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 19 Venerdì calendario

Così Truffaut imparò tutto dal signor Balzac

È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle...”. Così scriveva Luigi Pirandello nelle prime righe de La tragedia d’un personaggio. Anche Honoré de Balzac intratteneva questo genere di stretti rapporti con i protagonisti delle sue storie, future e passate. Gli amici lo sapevano e qualcuno ne approfittava per qualche scherzo innocente. Un giorno uno di loro, dopo essersi affacciato all’uscio dello studio di Honoré – quello studio il cui silenzio gli ispirava le idee e la cui penombra gli suggeriva le parole, ma che lo scrittore chiamava “l’inferno del calamaio e dei fogli bianchi”– annunciò l’arrivo di madame Marneffe, la piccolo-borghese avida e intrigante che è tra i protagonisti della Cousine Bette. Balzac a quel punto alzò la testa dai fogli che riempivano disordinatamente il piano della scrivania, si ravviò i capelli ed esclamò con il tono di voce più naturale: “Su andiamo, fatela entrare!”. Si racconta anche che, sul letto di morte, dopo essersi lagnato per il fatto che quegli ultimi otto giorni di febbre gli avevano impedito di lavorare – “Avrei avuto ancora il tempo di scrivere almeno un libro!” – Balzac avesse chiesto la presenza al suo capezzale di Horace Bianchon, il medico alle cui cure lui stesso aveva affidato gran parte dei personaggi della Comédie Humaine.
Per quel che riguarda Esther Gobseck, la cortigiana che compare principalmente in Splendeurs et misères des courtisanes, l’amante di Lucien de Rubempré soprannominata “la Torpedine” per via del sensuale magnetismo che irradia intorno a sé, la vicenda dei rapporti tra il personaggio e il suo creatore è ancora più curiosa. Fu Pierre Louys a combinarne l’incontro, in un racconto che intitolò: La fausse Esther. Louys immagina che una giovane olandese di nome Esther Gobseck, donna dalla condotta di vita esemplare e i cui interessi sono esclusivamente indirizzati alla conoscenza e all’approfondimento della filosofia di Johann-Gottlieb Fichte, si imbatta un giorno, casualmente, nel romanzo in cui Balzac racconta le vicende scandalose e patetiche della Torpedine. Non potendo tollerare di vedere il suo nome “trascinato nel fango”, si lamenta Esther con un’amica, “da un francese che non conosco”, decide di raggiungere Parigi con il proposito di incontrare lo scrittore nella sua abitazione e di avere con lui un chiarimento. Balzac la accoglie con malagrazia. “Chi vi autorizza a chiamarvi con questo nome?” le domanda sgarbatamente, comparendole davanti: “grosso laido e tuttavia superbo”. “Ma io sono Esther Gobseck” risponde la donna intimidita.
Honoré sembra convincersene solo dopo aver visto i documenti di identità che gli porge la giovane, ma a quel punto ne approfitta subito per chiederle “un’informazione”, dice, di cui ha “assoluto bisogno”. Vale a dire: “Da quali mobili era composto l’arredamento della stanza dove vivevate, al tempo in cui danzavate all’Opéra?”.
“Io ballerina?” reagisce risentita Esther “ma io sono una filosofa fichtiana!”. Per Balzac lo scherzo è durato anche troppo. Spazientito inizia ad elencare, una dopo l’altra, le vicende della vita di Esther Gobseck.
Dal giorno della nascita sino al momento della morte, avvenuta per suicidio: “Dopo aver ingerito un veleno proveniente da Giava e racchiuso all’interno di una perla di vetro nero”. “Come lo so?” risponde Balzac alla donna che glielo chiede. “Che stupida domanda, sono io che vi ho creato!”.
La storia di Louys proseguiva descrivendo la metamorfosi della giovane olandese che, acquisita, pirandellianamente potremmo dire, coscienza del proprio personaggio, di quella cioè che le appariva ormai come la propria vera vita, da filosofa si tramutava in cortigiana, percorreva irresistibilmente tutta la scala del degrado e finiva per porre termine ai suoi giorni ingoiando una dose di veleno contenuta dentro una perla di sottilissimo vetro nero.
La Vita, insomma, si era scontrata con il Personaggio e, complice l’Autore, alla fine aveva dovuto cedergli. Poco meno di tremilacinquecento, se si contano anche gli animali, sono i personaggi presenti nella Comédie Humaine di Balzac. Ebbene, secondo Charles Baudelaire, di tutti loro il più romantico, il più poetico, il più eroico è quello che, in apparenza, non compare mai: lui stesso.
È noto quali fossero i gusti, in fatto di letteratura, di François Truffaut. In cima alle sue preferenze c’era Balzac.
Passione e ammirazione che Truffaut condivideva ovviamente, con il più famoso dei suoi personaggi: quell’altro se stesso che era Antoine Doinel. Antoine da adolescente ha rischiato, come sappiamo, di mandare a fuoco l’appartamento dei genitori approntando in casa un piccolo altare in onore dello scrittore e lasciando poi distrattamente accesa una candela davanti alla sua immagine. In seguito è stato espulso dalla scuola per aver copiato un brano de La Recherche de l’Absolu, sperando di farlo passare, agli occhi dell’insegnante, come opera sua. Diventato poi adulto, Doinel ha incontrato una donna matura e affascinante, e innamorandosene ha immaginato di rivivere assieme a lei nella realtà – nella realtà cinematografica, si capisce – le stesse vicende che nella finzione letteraria avevano legato Félix de Vandenesse e madame de Mortsauf: i protagonisti de Le Lys dans la vallée ( Il giglio nella valle). Per spiegare quali fossero il genere di rapporti che intercorrevano tra lui e questo suo personaggio, François Truffaut, amava raccontare un episodio.
Una domenica gli era capitato di vedere, durante un programma televisivo del mattino, una piccola sequenza tratta da Baci rubati.
Il giorno dopo era entrato in un bar e il barista, dopo averlo osservato un po’, gli si era rivolto dicendogli: «Ma io la riconosco! L’ho vista ieri alla tivù». Naturalmente non era Truffaut che aveva visto, ma Jean-Pierre Léaud nel ruolo di Antoine Doinel. Il barista aveva poi aggiunto: «È da un po’ che ha girato quel film, vero?
Era più giovane».
Vita, Autore, Personaggio insomma, ancora una volta, si rincorrevano.