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 2018  gennaio 19 Venerdì calendario

«Noi siamo i giovani». Intervista a Antonio Percassi

BERGAMO Sede del governo Percassi dove vivono società, imprese, affari nazionali e internazionali, si studiano nuove tendenze commerciali che superano ogni confine e le strategie dell’Atalanta, la rivelazione del calcio italiano. Si respira un’aria giovane, una piacevole atmosfera. Capo del governo Antonio Percassi, 64 anni, portati che è una meraviglia, giustamente orgoglioso della sua Atalanta. Un piacere per lui raccontarla. A partire dall’identikit della squadra nerazzurra. «Un gruppo unito, è questo il segreto. Non ci sono voci stonate, c’è una guida capace, l’allenatore, Gian Piero Gasperini, bravissimo a far crescere il complesso». 
Ottimo quadro d’insieme. Ma con chi stona, con chi si permette di cantare fuori dal coro, come si comporta l’Atalanta, cioè lei, il presidente Antonio Percassi? 
«Abbiamo ogni attenzione nel curare questa crescita, ma non tolleriamo le sbandate. Diventiamo durissimi, con chiunque, giovane calciatore o esperto che sia. Un nostro vanto, anche mio personale, è la cura del settore giovanile, dove prima cresciamo il ragazzo e poi il calciatore. Studio e scuola prima di tutto. L’educazione è un valore che deve accompagnare sempre il giovane. Che soddisfazione ricevere i complimenti, magari la lettera di ringraziamento, di chi ha organizzato un torneo giovanile e ha apprezzato il comportamento dei nostri atleti». 
Il settore giovanile è così determinante per l’Atalanta? 
«Addirittura vitale. Per tanti motivi, ma anche per l’atmosfera che crea. Per i camp estivi eravamo abituati a 500 adesioni, ne abbiamo avute 3.500. Abbiamo dovuto porre un limite, con dispiacere, ma non potevamo andare oltre, non avevamo i dipendenti necessari per gestire e disciplinare al meglio una massa simile. Noi siamo abituati a fare le cose per bene...». 
Perché ha voluto prendere in mano l’Atalanta? 
«Una doppia follia...». 
Come sarebbe a dire? Si vede che l’Atalanta la rende felice. 
«È vero, ma voglio spiegarmi: com’è noto, c’è stata una prima e una seconda volta. Ecco perché le chiamo le due mie follie. Ma nel 2010, ragionando con i miei figli, ci siamo detti che era giusto e bello ritornare alla guida dell’Atalanta: siamo animati da vera passione, mio figlio Luca, che gestisce la società, è ancor più appassionato di me. Tutti i miei figli sono impegnati con le rispettive responsabilità e competenze nelle varie imprese del mio gruppo». 
Usa gli stessi metodi imprenditoriali per l’Atalanta e per le sue aziende? 
«Non c’è dubbio. La prima regola è antica ma eternamente valida, almeno per me: il rispetto della parola data. Qui non transigo. Poi c’è l’organizzazione. E i conti economici devono sempre tornare». 
Queste regole sono un po’ difficili da applicare nel calcio. 
«Si può, si può, anzi si deve. Conoscendo naturalmente le dinamiche contrattuali, il peso dei procuratori, le condizioni del mercato, i desideri dei tifosi, i piani dell’allenatore, le volontà dei giocatori». 
Quanto costa l’Atalanta? 
«Da un milione e mezzo a due al mese». 
Avete cresciuto giocatori fatti e finiti, poi li avete ceduti: Gagliardini all’Inter, Kessie al Milan, il destino di Caldara e Spinazzola è juventino. Impossibile contraddire questa legge del cresci e lascia andare? 
«Non credo nemmeno sia giusto impedire il naturale trasferimento a grandi società di giovani dal sicuro talento. Perché contrastarli nelle loro ambizioni, a maggior ragione se sostenute da contratti e ingaggi per l’Atalanta impensabili? Ho appena detto: far tornare i conti... Ma c’è dell’altro: un gio
vane calciatore che riceve offerte prestigiose da un club di primissima fascia, se lo si blocca, se lo si frena, sì magari rimane, ma non convinto. Poi è chiaro che resta condizionato. È accaduto con Bonaventura, serio, professionale, un ragazzo d’oro, il suo rendimento ne soffrì quando saltò il suo primo trasferimento». 
Non c’è il rischio che le sfugga anche Gasperini, il creativo di questa Atalanta? 
«Ma nemmeno per sogno. Gasperini è fondamentale per questa Atalanta». 
Perché fondamentale? 
«Perché è un grande lavoratore, sul campo, a livello tecnico, atletico e anche dal punto di vista culturale. Il suo messaggio viene applicato anche nella squadra Primavera e i risultati si vedono. Sa che piacere per me passare quelle 2-3 ore a Zingonia a vedere il lavoro d’insieme di squadra e allenatore». 
Preoccupato per il calcio italiano? Dopo la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali, in Federazione e in Lega si pensa poco e si litiga molto: ma le pare serio? 
«Si lavora anche tanto, almeno in Lega. Per trovare una soluzione univoca, un presidente capace di gestire i problemi. Ci sono segnali positivi in questo senso». 
Chi è il c.t. giusto? E se fosse Gasperini? 
«Mi sono un po’ preoccupato quando ha detto che gli piacerebbe una esperienza da c.t.», ride Percassi. Poi riprende sereno: «No, Gasperini ha un contratto ed è molto attaccato all’Atalanta». 
Le emergenze del nostro pallone come si risolvono? 
«Curando bene i settori giovanili. Sono convinto che la nuova Nazionale, quella che uscirà dallo choc del mancato Mondiale, godrà di 4-5 innesti nuovi, tipo Bernardeschi, Chiesa, Verdi, i nostri talenti è chiaro. E poi affrontare il problema degli stadi, ormai superati, inadeguati a ospitare una famiglia. Bisogna costruire nuove strutture». 
Lei sta lavorando al nuovo stadio dell’Atalanta? 
«Noi settimana prossima presentiamo il progetto definitivo. Possiamo partire, siamo pronti. Da tempo chi ci blocca è la bu-ro-cra-zia con i suoi permessi». 
Domenica arriva il Napoli. 
«Si affrontano le due squadre che giocano il miglior calcio: bravo anche Sarri. Certo che fermare quei tre piccoletti là davanti, Mertens, Insigne e Callejon sarà dura. Sono convinto che ne verrà fuori una grande partita». 
Chi vince lo scudetto? 
«Da Juve e Napoli non si scappa». 
Semifinale di Coppa Italia con la Juve, Europa League sedicesimi di finale con il Borussia Dortmund e una Europa League da riconquistare in campionato: dove arriverà l’Atalanta? 
«L’Atalanta deve salvarsi». 
Si vede, oh come si vede, che non ci crede nemmeno lui. Quest’Atalanta si è abituata al bello. Certo che «i conti devono sempre tornare». È la regola del governo nerazzurro di Percassi.