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 2018  gennaio 19 Venerdì calendario

Lucia Mascino: «Da bambina pensavo di essere problematica, invece ho scoperto di avere un talento»

Gli occhi traslucidi di Lucia Mascino, che sembrano presi in prestito dall’altra parte dell’Adriatico – invece è nata ad Ancona quasi 41 anni fa, sotto il segno dell’acquario —, diventano due fessure azzurre quando l’argomento si fa più personale. «Pensavo di essere problematica – sospira —, ho scoperto di avere un talento». 
Arriva trafelata (e se ne andrà trafelata), stritolata tra un treno in ritardo, le prove di uno spettacolo e il pranzo con l’amico di una vita, Filippo Timi, più ansimante e spiritosa dell’esilarante mamma imperfetta cui ha dato vita sul sito del Corriere, portatrice sana di una leggerezza che fa fatica a riconoscersi: «Da piccola ero la ragazzina in ultimo banco con il cerchietto, invidiosissima della compagna di classe con il chiodo nero e il reggiseno in vista. Mai stata giamburrasca. Crescendo, poi, ho capito di avere degli accumuli emotivi che strada facendo si erano trasformati in una valanga». Benedetto palcoscenico («al primo corso di teatro ho intuito di essere nel posto giusto»), che dentro le pieghe di ogni ruolo nasconde un sorso di elisir di guarigione.
E dove non arriva il teatro, provvede l’esistenza, geniale a farti deragliare – con stridore di freni e di tumulti interiori – dai binari. «Il punto di frattura, mia e famigliare, è stata la morte di mio padre». Occhi strizzati, luce blu imprigionata dentro, nessuna parola messa lì a caso. Lucia, ultima di quattro figli in una casa senza tv (per scelta), racconta che all’epoca aveva 19 anni, qualche esame dato alla facoltà di Scienze matematiche fisiche naturali (alla fine saranno 16 e tali rimarranno fino ai titoli di coda), un passato da ginnasta che le ha lasciato in dote un fisico flessuoso e la capacità di fare la verticale, oplà, a freddo, e di tenerla a lungo, con disinvoltura, neanche fosse la parte di Miss Emerald in «Favola» (di cui si è perso il conto delle repliche) o la pirotecnica Claudia di «Amori che non sanno stare al mondo», la maschera di prima attrice del cinema italiano che le ha consegnato Francesca Comencini, illuminandola d’immenso. «Quel lutto ha aperto il recinto: liberi tutti. Nel dramma, ha prevalso l’obbligo di prendere in mano la mia vita. Facevo studi scientifici. Mai avrei pensato alla strada della recitazione…». Invece.
Un film in avanzamento veloce 
Invece, come fotogrammi di un film in avanzamento veloce, sono arrivati il Centro di sperimentazione di Pontedera, la compagnia di Corsetti e i classici, l’opera (quasi) omnia di Filippo Timi, co-protagonista di un’amicizia viscerale e casta («Una volta che recitavamo moglie e marito mi ha proposto: dai, facciamolo, così lo spettacolo viene meglio!»; non è successo: «Ecco perché siamo amici da vent’anni»), folgorato nel ‘97 da questa marchigiana impavida per esigenze di scena («Di base sono timorosa, però quando l’onda emotiva sale non la so fermare»), che nei tormenti di Claudia ha riversato il travaglio di un’anima in viaggio e l’eterno anelito di libertà.
Timi oggi è il suo regista («Favola» è diventato film), il compagno di lavoro («I delitti del BarLume» su Sky), l’animale da palcoscenico con cui esplorare gli anfratti reconditi di personalità speculari («Condividiamo un’esigenza infantile di gioco, verticali incluse, e le domande sull’esistenza»), l’amico con cui fare shopping («Gli piace vestirmi: una volta, in giro per negozietti vintage a Parigi, mi ha conciata che non mi riconoscevo più…») e all’occorrenza, in trasferta, dividere il letto. È l’uomo che vorresti essere, Lucia? «Non lo so… Di sicuro ha la voce profonda che vorrei se fossi maschio. Con Filippo abbiamo un metabolismo simile: è una persona di rara sensibilità, con un fiuto per gli ultrasuoni delle emozioni. Un cane da tartufi…». E sia detto come complimento. Anni fa, mentre Timi spiccava il volo con il libro «Tuttalpiù muoio», Lucia ebbe una piccola crisi di vocazione: «Lui non mi ha mai mollata: è venuto a prendermi ad Ancona e mi ha rimessa sul palcoscenico».
Adesso che la Mamma Imperfetta e il Bar Lume le hanno dato una dimensione meno di nicchia, ora che «Amori che non sanno stare al mondo» l’ha fatta sbocciare dopo una gavetta di piccoli ruoli preziosi (De Maria, Moretti, Piccioni, Andò, Mazzacurati), è arrivato il momento di svelare i capisaldi del romanzo di formazione di Lucia Mascino, le muse che l’hanno portata a tagliare la sua linea d’ombra. Al vertice della piramide lei, l’immensa Meryl: «In camera avevo il suo poster. Non la Meryl Street del cinema, però: quella con la maschera di cerone del teatro». Poi Eastwood («Clint nei film di Leone non mi esce dalla testa») e Redford («In ogni sua espressione: dopo aver visto “La mia Africa” sognavo di buttarmi sul letto con lui strappandomi i vestiti»); poi Totò, Ciccio e Franco, la superba vena drammaticamente comica di Monica Vitti («Enorme». Sappi, Lucia, che nel film della Comencini la ricordi) e naturalmente l’immensa Melato. Per pudore non lo direbbe, ma – sollecitata – racconta l’aneddoto: «A Roma, al Quirino, venne da Filippo in camerino. Ci riempì di complimenti: bravissimi, tra voi c’è una chimica pazzesca! Poi fece per andarsene. Tornò indietro, si voltò: sono seria eh!, disse con il suo vocione. Fantastica».
Salto di qualità
Fan sfegatata delle attrici/autrici Usa più istrioniche del momento (Greta Gerwig, Lena Dunham e Kristen Wiig: «Nei miei sogni proibiti immagino che mi vedano nel personaggio di Claudia»), Lucia spera che la piccola meritata fama dell’ultimo periodo, sostenuta da ottime recensioni, sia l’inizio di qualcosa di nuovo: «Dopo un percorso un po’ zoppicante, vorrei aver fissato un livello. Anni fa mi chiedevo: ce la farò a vivere di questo mestiere bellissimo? Non c’è niente che mi piace di più dell’essere ispirata da un ruolo». Perché hai fatto l’attrice, Lucia? «Per decompormi e ricompormi. Per rimanere focalizzata su una cosa per volta e creare progetti artistici di gruppo. Per vivere la vita mi serve il salto nel fuoco: religione o arte, i riti laici dell’essere umano».
Che arte sia. Lucia Mascino ha imparato a stare (bene, a modo suo) al mondo.