il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2018
Quelli capaci (di tutto)
L’ultima volta da Lilli Gruber, Matteo Renzi ha attaccato la solita equazione farlocca: siccome hanno alcuni sindaci indagati come la Raggi, mentre lui non ha “mai ricevuto un avviso di garanzia”, tutti i 5Stelle sono incapaci. E Di Maio più di tutti. La Gruber gli ha fatto osservare che anche il sindaco Pd di Milano, Beppe Sala, è sotto processo (e, aggiungiamo noi, per storie un pochino più gravi: carte truccate sul più grande appalto di Expo e commesse senza gara per il verde pubblico, con spesa triplicata). A quel punto Renzi, anziché di Sala, s’è messo a parlare della Appendino. Ora, per carità: può darsi che Di Maio, se mai avrà l’occasione di governare, si riveli un disastro, ma questo lo sapremo solo allora. Arguirlo dalle indagini sui sindaci sarebbe arduo, visto che nessuna dimostra la loro incompetenza. A Roma la Raggi è imputata per una dichiarazione all’Anticorruzione sulla nomina di uno dei 190 dirigenti comunali, fratello del suo capo del Personale Raffaele Marra. A Torino la Appendino è indagata per falso per avere spostato di un anno, nel bilancio comunale, la restituzione di un prestito contratto dalla giunta Fassino, che a sua volta aveva postdatato per anni quella voce di spesa; e per omicidio e lesioni colpose nella tragedia di piazza San Carlo (1 morto e 1500 feriti), dove si proiettava la partita Juventus-Barcellona in base a una delibera analoga a quella adottata da Fassino due anni prima, già in piena emergenza Isis. A Livorno Nogarin è indagato per la bancarotta di una municipalizzata mai fallita (ma salvata da lui col concordato preventivo) e per omicidio e disastro colposo in una alluvione (accusa simile a quella toccata a molti altri sindaci: dalla pd Vincenzi a Genova, poi condannata, all’ex M5S Pizzarotti a Parma).
Le vicende che non investono la questione morale, perché non celano interessi privati e attendono la verifica processuale, non andrebbero usate in campagna elettorale, anche perché è inutile: per quanto disinformati da tg e giornaloni, gli italiani non hanno l’anello al naso e sanno ancora distinguere fra una mazzetta e una disgrazia. In alternativa, bisognerebbe parlare di tutti i sindaci indagati, anche dei propri. Ma concentriamoci sull’altro refrain renziano: “Mai ricevuto un avviso di garanzia”. Il che è vero: le nostre critiche alla persona di Renzi hanno sempre riguardato faccende politiche, mai giudiziarie. Ma con un paio di eccezioni. La prima è lo scandalo che l’ha appena coinvolto per la soffiata sul Decreto banche popolari che ha consentito a De Benedetti di speculare con una plusvalenza di 600 mila euro.
Una circolare del ministero della Giustizia chiarisce che, in casi come questi, il pm deve indagare i sospettati e, se ritiene che siano estranei, chiedere al gip di archiviarli con un’ordinanza trasparente. Invece Renzi e De Benedetti – diversamente da quel che accade in Procure meno “sensibili” – non furono indagati, non ricevettero avvisi di garanzia, furono sentiti come testimoni e morta lì: tutto in segreto. La seconda è il processo contabile per danno erariale che la Corte dei conti di Firenze aprì su Renzi presidente della Provincia, per aver assunto nella sua segreteria personale quattro portaborse (fra cui Carrai) senza laurea, con contratti e stipendi da dirigenti (che per legge devono essere laureati). In primo grado, nel 2011 e nel 2012, i giudici contabili toscani condannarono due volte Renzi e una ventina di suoi collaboratori a risarcire 50 mila euro (14 a suo carico) allo Stato per colpa grave, a fronte di un danno erariale per la collettività di 2,1 milioni. Poi nel 2015, già premier, Renzi fu assolto in appello con una motivazione grottesca quanto inedita: “Il Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”. Cioè: Renzi, laureato in Legge, ex presidente della Provincia, ex sindaco e infine premier, non era in grado di percepire l’illegittimità del suo operato. Assolto perché ignorante. E non capì neppure la portata devastante del verdetto, infatti se ne vantò in un tweet perché trionfava “la verità”: quella sulla sua enciclopedica incompetenza. Che ora strilli contro l’incompetenza altrui, fa molto ridere.
Ma intanto Davide Vecchi del Fatto scopre un altro altarino. Nel 2007, sempre da presidente della Provincia, il capacissimo Renzi assume quattro dirigenti al posto di uno, aumentando i costi da 3,5 a 4,2 milioni. La Procura della Corte dei conti toscana apre un fascicolo per danno erariale, archiviato su richiesta della viceprocuratore generale Acheropita Mondera Oranges, che dà tutte le colpe ai tecnici e non al presidente, anche se le nomine sono sue. Nel giugno 2016 la Oranges viene promossa procuratore capo, cioè primo controllore contabile della PA in tutta la regione. Il suo primo controllando è il renzianissimo sindaco di Firenze Dario Nardella. Il quale che fa? A settembre assume Celeste Oranges, 28 anni, figlia del procuratore Acheropita come “figura specializzata in ambito giuridico” della Città metropolitana per 47 mila euro l’anno. Per concorso? No a chiamata diretta, ma “visto il curriculum” (laurea con 106/110, nessuna esperienza professionale, ma esperta in “grafica, ritrattistica e arte canora”). Ora si spera che sia tutto regolare, altrimenti la mamma della neoassunta dovrebbe aprire un’inchiesta. Chissà che l’Anticorruzione del solerte Cantone, se avanza tempo dalle indagini su Spelacchio, ha qualcosa da obiettare. E questi sono gli amministratori bravi e oculati, tutti competenza e distintivo. Poi ci sono gli incapaci.