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 2018  gennaio 17 Mercoledì calendario

Giggino ’a purpetta (avvelenata)

A pagina 7 Marco Lillo racconta una storia illuminante e istruttiva, tratta dalla nuova edizione del suo libro Di padre in figlio (in edicola col Fatto). Una delle tante storie emerse dalle intercettazioni del caso Consip. Riguarda Luigi Di Maio, candidato premier dei 5Stelle. Di lui parla Carlo Russo, il faccendiere di Scandicci che fa l’intermediario di Tiziano Renzi con l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, ansioso di entrare nelle grazie del Giglio Magico e dunque nel giro degli appalti Consip. L’8 ottobre 2016 Romeo gli domanda: “Che tipo è (Di Maio, ndr)? L’hai conosciuto?”. E Russo: “No! Allora noi abbiamo un rapporto storico con un dirigente del ministero dell’Istruzione che, di fatto, fa il ministro. Tale dottor Schiappetta (Luciano Chiappetta, dirigente di prima fascia e capo del Dipartimento per l’Istruzione) è… una vita che è lì, è vicino alla pensione insomma è stato consigliere di tutti i ministri. Lui ora non mi ricordo il paesino…, questo s’è fatto questa casetta laggiù e si ritira nei fine settimana si va a fare le vacanze lì con la moglie…. E Di Maio andò a chiedergli di far lavorare la mamma, di spostare la mamma e di assumere la sorella nelle scuole cioè quindi poi insomma tutto sto perbenismo”. Romeo replica: “Vabbè, ma pure quello… ma di che stiamo a parla’?!”. La madre di Di Maio insegna italiano e latino in un liceo scientifico, la sorella è architetto ed era socia del fratello in una società edilizia.
Letta l’intercettazione, Lillo ha verificato le parole di Russo. Se fossero vere, sarebbero imbarazzanti per Di Maio, candidato premier di un movimento che fa della trasparenza e della legalità le proprie bandiere, decisamente incompatibili con raccomandazioni per la madre e la sorella. Se fossero false, bisognerebbe domandarsi se qualcuno fra Russo, Romeo e altri a conoscenza della storia intendeva usarla contro Di Maio, indicato dai sondaggi come il politico ritenuto più credibile dagli italiani. Lillo contatta Chiappetta: è vero o no che Di Maio gli raccomandò la madre e la sorella? Il dirigente cade dalle nuvole: “Non conosco Russo, non conosco Di Maio, non ho nemmeno una casa al mare e quindi sono stupito da queste affermazioni… Ho abitato nel paese di Di Maio, Pomigliano d’Arco, ma sono andato via dalla Campania 15 anni fa e non ho mai parlato con lui, tanto meno di questa storia”. Che, a questo punto, potrebbe finire nell’archivio delle tante millanterie che la gente si scambia al telefono. Ma potrebbe anche non finire qui, per il ruolo dei protagonisti.
Di Maio è l’uomo da battere il 4 marzo, e possiamo immaginare il lavorio dei partiti, con i loro agganci investigativi e d’intelligence, a caccia di qualche scheletro nell’armadio che ne scalfisca l’immagine di politico nuovo, giovane e onesto. Russo è intimo della famiglia Renzi, vicinissimo al padre e alla madre del segretario Pd, uno che già nel 2014 poteva permettersi di spendere i nomi di Matteo, Boschi e Lotti con l’allora sindaco Pd di Bari Michele Emiliano per chiedere udienza per sé e per papà Tiziano a proposito di un affare immobiliare in Puglia. Millantava? Mica tanto: quando Emiliano, nell’ottobre 2014, domandò via sms all’allora sottosegretario Luca Lotti se fossero vere le entrature vantate da tale Russo, si vide rispondere: “Lo conosciamo… Ha un buon giro ed è inserito nel mondo della farmaceutica. Se lo incontri per 10 minuti non perdi il tuo tempo”. Allora Emiliano lo incontrò e Russo si qualificò “come rappresentante di Renzi e dei suoi”. “Mi invitò a cena – racconta Emiliano – col presidente della Confindustria di Lecce, che io peraltro già conoscevo di mio. Non capii il senso. Diffidai a fiuto anche se diceva di essere amico di Matteo Renzi e di tutti i suoi uomini di fiducia… Poi ad agosto 2015 si fece risentire tramite la mia segretaria, a cui disse di riferirmi che aveva mandato da Matteo in persona a incontrarmi riservatamente per ‘trovare una quadra’, cioè per fare la pace. Ma non lo incontrai più”.
L’intercettazione fu trascritta dal Noe ed entrò negli atti dell’inchiesta Consip, dunque fu “bruciata”: impossibile tenerla lì per poi usarla a fini elettorali, ricattatori o diffamatorii. Tanto meno ora che Lillo l’ha controllata e smontata. Ma che sarebbe accaduto con la “riforma” Orlando delle intercettazioni (varata a dicembre per entrare in vigore nel giugno prossimo)? La nuova legge vieta alla polizia giudiziaria di trascrivere e persino di riassumere nei brogliacci tutti i fatti penalmente irrilevanti o relativi a “terzi” non indagati. Anche se, come le presunte raccomandazioni di Di Maio, sono politicamente ed eticamente importanti. Dunque di quelle presunte spintarelle oggi saprebbero tutto, oltre a Russo e a Romeo, solo i carabinieri del Noe (che non avrebbero potuto né trascriverle né riassumerle) e i loro superiori, che in base al decreto Renzi dell’agosto 2016 devono essere informati dai sottoposti. Nessun pm, avvocato, giudice, giornalista ne saprebbe nulla. E nessun Lillo potrebbe verificarne la fondatezza.
Così la polpetta avvelenata continuerebbe a circolare indisturbata nelle segrete stanze e uno dei tanti mascalzoni potrebbe usarla per ricattare o sputtanare Di Maio: anche se è falsa, basterebbe soffiarla a un giornale amico alla vigilia del voto e farla uscire quando l’interessato non potrebbe più smentirla in tempo, perdendo un sacco di voti. Ennesima prova del fatto che la “riforma” favorisce e fomenta i ricatti, inquina vieppiù la vita pubblica e sottrae alla stampa e ai cittadini notizie cruciali per votare informati. Si spera che il prossimo premier la prenda con le pinze per non sporcarsi, la butti nel cesso e tiri l’acqua.