il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2018
Il fantasma di Moro, il carcere con le Br: così Negri si racconta
Con il primo volume della sua autobiografia, scritta a quattro mani con Girolamo De Michele, Toni Negri aveva lavorato sulla propria formazione intellettuale e sul racconto dell’esperienza militante lungo tutti gli anni Settanta.
Con il secondo volume, Galera ed Esilio, storia di un comunista (Ponte alle Grazie, 448 pg, 19,50) in libreria oggi, è costretto a narrare la vicenda che più di ogni altra ne segna la vita e a fare anche lui ancora i conti con il “fantasma Moro”.
La galera, per Negri, è uno shock anche se l’aveva messa in conto. Ma non avrebbe mai pensato di vivere la “vicenda kafkiana” di un’accusa per “insurrezione armata contro i poteri dello Stato”. Negri sarebbe il capo delle Brigate rosse e responsabile del sequestro e omicidio di Aldo Moro. Subisce riconoscimenti all’americana circa la sua presenza in via Fani e sulla telefonata che avrebbe fatto alla famiglia Moro per annunciarne l’assassinio. L’Espresso allegò al settimanale un dischetto con la registrazione della telefonata: “Fai da te la perizia telefonica”, invitando i lettori a riconoscere la voce di Negri.
Nel carcere le vicende si fanno drammatiche. L’arrivo nella cella a Rebibbia avviene “in un braccio svuotato del carcere: soli compagni, a 20 metri, Liggio e Vallanzasca”. Questi lo chiama dalla finestra e Negri “non sa se rispondere: ignora che è doveroso farlo nell’etica carceraria”. È niente rispetto a quello che accadrà quando gli arrestati dell’area dell’Autonomia operaia dovranno vedersela con i detenuti delle Br. La convivenza è dura, gli uni si sentono schiacciati dagli altri i quali a loro volta temono di essere denunciati. Nel carcere speciale di Palmi la convivenza con le Br arriva fino alla minaccia di morte per l’ex professore padovano: “Quando, discutendo con Franceschini, espresse l’opinione che, se era vero che i compagni tedeschi a Stammheim (la banda Baader Meinhof, ndr), erano stati uccisi dallo Stato, pure nella situazione in cui il loro estremismo li aveva cacciati, il suicidio era immaginabile”. Apriti cielo, i brigatisti si sentirono criticati nella loro azione politica. Ancora più dura sarà nel carcere speciale di Trani, dove per tre giorni una rivolta mette a soqquadro la prigione e autonomi e Br si trovano fianco a fianco anche se la direzione della rivolta è delle Br. Scatta da qui un percorso di aperta dissociazione che finirà per rendere pericolose le frequentazioni con quei detenuti: “Nell’ora d’aria, il cortile poteva nascondere un Caino che preparava il cordino per strangolarti”.
Negri uscirà dal carcere nel 1983, grazie all’elezione in Parlamento con il Partito radicale. Nel frattempo è in cella da quattro anni e mezzo, tutti di carcerazione preventiva, e le accuse vengono modificate nel tempo. Quell’elezione è sponsorizzata a sinistra, in particolare da Rossana Rossanda del Manifesto, che sarà delusa invece dalla fuga, ma l’artefice è Marco Pannella, capo dei radicali: “Pannella lo conosco da sempre, dai tempi dell’Unuri (…) c’è sottesa fra noi una sorta di generazionale fratellanza… Mi piace ascoltarlo, tuttavia è quasi impossibile interloquire”. L’operazione viene preparata con cura e riesce, i radicali ottengono 800 mila voti e Negri viene eletto. La Dc chiederà al presidente della Camera, Oscar Luigi Scalfaro, di non farlo entrare, inutilmente. Si apre subito la partita dell’autorizzazione a procedere che alla fine viene concessa anche se la richiesta di sospensiva spacca la sinistra e non passa proprio a causa dei 10 voti del Partito radicale. E a un Pannella, “Guru traditore”, Negri riserverà ben altri trattamenti più tardi, fino ad apprezzare lo sputo in faccia a Pannella da parte del Pci Giancarlo Pajetta: “Ha fatto bene”. Paradossi di una vicenda complicata che si conclude, prima dell’esilio, con la fuga in Francia, “l’evasione” su una barca dal porto di Punta Ala fino in Corsica. Per questo Negri dovrà affrontare la delusione di molta sinistra fino a essere considerato un traditore da molti dei suoi ex compagni. In Francia però riesce a reinventarsi una vita di studi e di nuova elaborazione politica, “un aggiornamento dell’operaismo” con i seminari al College international de philosophie la fondazione della rivista Futur antérieur e che si concluderà con Impero scritto con Michael Hardt a cui il volume oggi in libreria è dedicato. Negri, in appello, verrà condannato a 12 anni (contro i 30 del primo grado) mentre molti suoi compagni del “7 aprile” saranno assolti e altri condannati a pene di 3 o 4 anni. Oggi, l’emblema del “cattivo maestro” è invece uno degli intellettuali italiani più noti all’estero tanto da alimentare quella “Italian theory” a cui si guarda con attenzione anche negli Usa. Il fantasma di Moro, quarant’anni dopo, è ancora lì a condizionare la politica italiana.